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Mart Rovereto | VIII EDIZIONE PREMIO FONDAZIONE VAF | 16 marzo  – 12 maggio 2019

Intervista a SILVIA GIAMBRONE di Livia Savorelli

Il 15 marzo scorso Silvia Giambrone è stata decretata vincitrice – dal Presidente della Fondazione VAF Klaus Wolbert e da Volker Feierabend, Daniela Ferrari, Lorand Hegyi, Silvia Hoeller, Marion Piffer Damiani – di uno dei premi più ambiti di arte contemporanea riservati ai talenti italiani under 40: il Premio VAF, giunto quest’anno all’ottava edizione. Oltre al primo premio, la giuria ha deciso di assegnare  inoltre due menzioni speciali a Emanuele Giuffrida e Michele Parisi.
I lavori dei finalisti di questa edizione del Premio saranno esposti fino al 12 maggio al Mart di Rovereto, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione in concomitanza all’opening, per poi spostarsi in Germania, alla Stadtgalerie di Kiel, dal 14 giugno al 1 settembre prossimi.
Un momento importante per questa giovane artista italiana, il cui lavoro si è caratterizzato per la forte coerenza e ricerca costanti, che abbiamo voluto suggellare con questa intervista…

Silvia Giambrone_Ph Mart Alessandro Nassiri

Il Premio VAF offre al vincitore una doppia opportunità: l’opera acquisita entra a far parte della prestigiosa collezione VAF, in deposito permanente a lungo termine al Mart, e l’artista si aggiudica un premio in denaro di 15mila euro, che è sicuramente un buonissimo incentivo per un artista della tua generazione
. Cosa hai provato e quali fattori hanno secondo te contribuito alla tua scelta quale vincitrice?
Credo che il Premio VAF sia per i giovani artisti italiani il premio più ambito in assoluto, non solo per la vincita di denaro ma innanzitutto per il prestigio che il premio garantisce e la serietà con cui si svolge il processo di selezione degli artisti. Per tutte queste ragioni sono molto contenta di averlo vinto, lo considero una conferma importante del mio percorso.
Non so con certezza cosa abbia convinto la giuria a premiare il mio lavoro ma posso immaginare che uno degli aspetti più convincenti sia stata la coerenza che esso mantiene seppure declinato attraverso diversi media. Quello che io cerco di fare è parlare la lingua delle cose silenziose e sotterranee, le cose che con apparente semplicità si infiltrano nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni, negli oggetti, nella familiarità domestica e la trasformano capillarmente e radicalmente. Credo che la giuria del Premio VAF sia riuscita a sintonizzarsi con questo mio tentativo linguistico e con il problema, l’ossessione che vi sta dietro.

La scelta degli artisti finalisti e quella del relativo vincitore sono tappe di un percorso a più livelli che inizia con l’incontro e il dialogo tra i candidati all’interno dei loro studi con i delegati, e continua con successive sessioni, volte alla definizione della rosa dei finalisti. Ci racconti come, nel tuo caso, si sono svolte queste “operazioni” e qualche aneddoto?
Il confronto con Norbert Nobis è stato molto interessante, molto stimolante. Lo studio visit avrebbe dovuto svolgersi in un’ora e, invece, siamo rimasti a parlare per tre ore. Ho avuto l’impressione di confrontarmi con una persona intellettualmente molto creativa e vivace, che ama davvero l’arte e che, dopo tanti anni, non si è addomesticata alle sue logiche, tenendo viva dentro di sé una passione ancora ardente. La differenza culturale tra il mio retroterra italiano e quello tedesco di Norbert, si è rivelata stimolante. Mi ha permesso di leggere il mio lavoro da una prospettiva storica diversa. Quando questo succede ci si arricchisce reciprocamente ed è una cosa di cui in Italia si ha grande bisogno, a dispetto di quel che la propaganda politica urla a gran voce, dello straniero noi abbiamo molto bisogno.

Silvia Giambrone, Il danno, 2018, scultura in resina, tessuto sintetico, cm 89x37x30. Courtesy dell’artista e di Studio Stefania Miscetti. Ph. Giordano Bufo

Parliamo dell’opera in mostra al Mart, Sotto Tiro (2013), performance che come da te dichiarato “mette l’accento sulla familiarizzazione con la minaccia come paradigma relazionale”… Il domestico, i luoghi più intimi e apparentemente più sicuri, diventano emblema di pratiche relazionali alterate che si basano sul linguaggio della violenza.
 Come indaghi queste modalità nel tuo lavoro e quale valore attribuisci all’oggetto in questa pratica? Penso ad esempio alle sculture della serie Frames e Mirrors (tra l’altro protagoniste del bellissimo stand della Galleria Marcolini alla scorsa Arte Fiera) o a Il Danno
Sotto tiro è un’opera del 2013 e all’epoca mi sembrò abbastanza diversa da quelle che avevo realizzato prima. Non voglio dire che fosse un’opera isolata rispetto alle precedenti perché manteneva comunque un’urgenza coerente con le altre ma sentivo che si trattava di una performance differente dalle altre sia nel merito che nel metodo.
Mi sono resa conto invece con il tempo che Sotto tiro era un’opera di transizione e che rappresentava il primo tentativo di investigare qualcosa che sarebbe poi diventata fin qui la mia più cara ossessione, dando inizio ad un ciclo di opere sul domestico che adesso compongono la cifra più riconoscibile del mio lavoro. Con Frames e Mirrors ho fatto quello che sento più naturale fare attraverso la scultura, ovvero guardare con sospetto gli oggetti con i quali si ha grande familiarità e trasformarli in quello che essi possono rappresentare nella vita di chi ne viene circondato, lasciando emergere il loro potenziale emotivo, una delle loro possibili verità. Così per Il danno che tratta il corpo della donna anche quello come oggetto di proiezione, come luogo di grazioso addomesticamento. Esistono da parte nostra delle sacche di resistenza, naturalmente, però credo che, a dispetto di quel che si crede comunemente, siano gli oggetti ad addomesticarci e non il contrario.

Silvia Giambrone, Frame n.11, 2019, legno, ottone, resina, cera, acacia spinosa, cm 17,5x22x23. Courtesy dell’artista e di Galleria Marcolini.

La tua poetica usa indistintamente video, scultura, performance, collage ed installazione. Ricordo tue performance (come Eredità, 2008 o Teatro Anatomico, 2012) dove a partire da pratiche legate al mondo femminile, utilizzavi il tuo corpo per rappresentare i risvolti negativi e svilenti di certe “pratiche di genere”…
 A distanza di un po’ di anni da quelle opere, come ti poni nei confronti del linguaggio della performance, lo senti sempre adeguato alla tua ricerca?
Negli anni ho esplorato vari aspetti del performativo e credo che la mia fiducia in questo linguaggio, per definizione molto sfuggente, sia cresciuta con me. Recentemente mi sono trovata a realizzare performances che tempo fa non avrei mai immaginato di poter fare, come Atto unico per mosche, alla Fondazione Rossini, che mi ha richiesto di misurarmi con cose con le quali non mi ero mai confrontata prima: scrittura scenica, qualità attoriali, maniacale coordinazione con un’altra performer e, successivamente, anche il confrontarmi con una documentazione di tipo cinematografico.
Ogni volta che realizzo una performance nuova mi rendo conto di dover rinegoziare il senso stesso di quello che faccio sia dal punto di vista concettuale che linguistico e mi accorgo di quanti registri diversi questo linguaggio possa offrire. Il performativo è come la vita, è infinito e si può dispiegare in innumerevoli realtà parallele. Credo che sia il linguaggio più rischioso perché più degli altri è sensibile alla vanità, alla lusinga. Io cerco di utilizzarlo solo quando mi è strettamente necessario, quando quello che ho da dire non accetta di essere detto in nessun altro modo che in questo, è così, ogni volta ogni mia performance deve passare al vaglio del più severo principio di necessità.

Silvia Giambrone, Atto unico per mosche, 2018, a cura di Francesca Guerisoli, performance con Silvia Giambrone e Dalila Cozzolino, Padiglione James Wines, Parco sculture, Fondazione Pietro e Alberto Rossini, Briosco (MB), videoproiezione col., loop. Collezione privata. Courtesy dell’artista e del collezionista. Ph. Giuseppe Fanizza

VIII EDIZIONE PREMIO FONDAZIONE VAF
Nell’ambito della mostra PASSIONE.12 PROGETTI PER L’ARTE ITALIANA
Artisti finalisti: Nico Angiuli, Davide Balossi, Giulia Berra, Martina Brugnara, Nina Carini, Federica Di Carlo, Andrea Fontanari, Giovanni Gasparro, Silvia Giambrone, Emanuele Giuffrida, J&Peg, Dario Maglionico, Domenico Antonio Mancini, Michele Parisi, Susanna Pozzoli, Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto

16 marzo  – 12 maggio 2019

Mart Rovereto
Corso Bettini,  Rovereto (TN)


Info: +39 0464 438887
www.mart.trento.it

e

14 giugno – 1 settembre 2019

Stadtgalerie, Kiel, Germania

Info: www.fondazione-vaf.it

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