Non sei registrato? Registrati.
VENEZIA | Serre dei Giardini di Castello | 29 maggio 2013

Intervista a ROBERTO PACI DALÒ di Jack Fisher

Jack Fisher è allo start up di una nuova avventura. Il caso vuole che, come successe due anni fa con la rubrica che tenevo per ArteSera, il mio inizio sia con Roberto Paci Dalò. Mi ritrovo anche oggi a parlare di storia e di persone. Allora era Enklave Rimini, un’opera creata per il Teatro Galli chiuso (come teatro) dal 1944 dopo i bombardamenti alleati, che raccontava una storia sorprendente. Tra il 1945 e il 1947 la più grande città di lingua tedesca fuori dai confini della Germania è Rimini, sulla costa nord orientale italiana. 150.000 persone vivono in “Enklave Rimini”, il campo di prigionia controllato dall’esercito inglese che ospita ex soldati e ufficiali della Wehrmacht. Un campo molto particolare fatto di università, giornali quotidiani, orchestre sinfoniche e da ballo, club filatelici, gallerie d’arte, cinema, ospedali, tipografie, compagnie teatrali. Il primo laboratorio europeo di denazificazione.

Ora è Ye Shanghai un’altra storia sconosciuta a tanti: il ghetto della megalopoli cinese, un fazzoletto di terra che ha accolto 23.000 rifugiati in fuga dall’Europa prima e durante la seconda guerra mondiale, formando la più grande comunità ebraica in oriente. Una città nella città, estremamente eterotipa, dove ogni comunità yiddish ha riportato e ricostruito le proprie radici e la propria vita. Dal 1903 al 1949 più di cinquanta tra giornali e riviste ebraici sono uscite in inglese, russo, tedesco, francese, cinese, giapponese, polacco, ebraico e yiddish a Shanghai. Ye Shanghai nasce dalla scoperta di un fondo di immagini rimasto in giacenza per 90 anni e culmina in una performance dove questi materiali visivi, leggermente modificati e con l’aggiunta di suoni, mutano in una straordinaria opera contemporanea. La performance – proposta fino ad oggi a Shanghai, Bruxelles, Barcelona e Vienna – il 29 maggio, in occasione della 55. Biennale di Venezia, sarà visibile alle Serre dei Giardini di Castello. Ne parliamo con il protagonista….

Cosa hai provato la prima volta che ti hanno mostrato queste immagini?
Emozione profonda. Una macchina del tempo dove all’improvviso sono riemerse dagli archivi del BFI a Londra immagini rimaste nascoste per quasi un secolo.

Mi racconti la genesi dell’opera?
Un invito da parte di Massimo Torrigiani (direttore di SH Contemporary, la fiera d’arte contemporanea di Shanghai) e Davide Quadrio (direttore e co-fondatore di Arthub Asia) mi ha portato a effettuare un primo viaggio a Shanghai nel maggio del 2012, per immaginare un progetto da presentarsi alla fiera stessa. Si trattava per me della prima volta in Cina. Durante il viaggio ho potuto fare sopralluoghi e un workshop all’università Fudan che mi hanno permesso di disegnare la forma del progetto. A questo è seguito un grosso lavoro negli archivi e con il team creato all’università per arrivare a costruire il plot narrativo dell’opera che poi è stata realizzata sul posto nel settembre scorso. I miei produttori (Davide Quadrio e Francesca Girelli di Arthub Asia) hanno creato le condizioni affinché si potesse realizzare l’opera e altri partner (Messagerie) hanno sostenuto economicamente il progetto. Si è poi voluto immaginare un lavoro sui formati per cui l’opera è distribuita sia come performance audio-video sia come film autonomo (che andrà in giro per festival) o installazione audio-video destinata a musei e gallerie.

Hai lavorato a Shanghai con un gruppo di lavoro internazionale, composto in parte da studenti dell’Università, conoscevano questa parte di storia?
No. Nessuno di loro aveva sentito parlare di questa vicenda. Insieme abbiamo visitato i luoghi dove hanno potuto inoltrarsi in un mondo a loro sconosciuto.

Guardo il film, ascolto il sonoro, un tourbillon di sensazioni mi avvolge, è straniante vedere filmati storici dove uomini e donne di etnie diverse vivono Shanghai…
Il vero straniamento è l’eterotopia. Nel cuore della Cina pre-rivoluzionaria, una comunità relativamente ampia che ha ricostruito una Germania ebraica fatta di architetture, negozi, lingue, giornali, attività commerciali di ogni tipo creati da sopravvissuti. La realtà supera spesso l’immaginazione.
Non saprei come definire tutto questo ma mi piace pensarlo come esempio da guardare nel nostro quotidiano quando nella cronaca emergono storie di migranti in fuga che cercano rifugio anche in Italia. Un paese che non è certo pronto a tutto questo e che ancora deve imparare le regole minime dell’accoglienza.

Come arrivi ad una sintesi sonora di questo genere, dove musiche d’epoca si innestato con suoni dell’oggi?
Buona parte del mio lavoro musicale e acustico gioca proprio con questa relazione tra tempi e luoghi. Lavorare in archivio, recuperando materiali dimenticati, permette la creazione di un database inusuale dove convivono tempi diversi. Nel lavoro ci sono ad esempio soundscapes degli anni ’30 e ’40 con le voci di venditori in strada. Relazionare queste voci con quelle della contemporaneità crea un corto circuito che mi interessa sempre più studiare e usare tatticamente.

Roberto, quale è l’importanza di questa tua azione?
Non posso certo parlare in prima persona dell’importanza di un mio progetto. Diciamo che si tratta di un contributo alla storia della Cina sopratutto in un periodo come questo di necessaria recuperata consapevolezza (per i cinesi) del proprio passato e della propria storia prima del 1949. Queste immagini, questi suoni, provengono da quell’era e chiaramente mostrano la bellezza di una cultura soffocata dagli eventi.

Chi ti ha permesso di realizzare Ye Shanghai?
L’opera è stata realizzata grazie al lavoro di un gruppo di partner: SH Contemporary (la fiera d’arte contemporanea di Shanghai diretta da Massimo Torrigiani), Arthub Asia (i produttori Davide Quadrio e Francesca Girelli), il mio gruppo Giardini Pensili, il brand Messagerie (quanto di meglio è prodotto in Italia nella moda per uomo), NOTCH Festival (il festival cinese dedicato a elettronica e performance). A questi si aggiunge la collaborazione decisiva di BFI British Film Institute di Londra e dei suoi tesori custoditi negli archivi, iTOPIA Shanghai, Home Movies (l’archivio nazionale del film di famiglia) e la camera ottica di Gorizia (laboratorio di restauro del film).

Dopo Vienna, Shanghai, Bruxelles, Barcellona, cosa significa (se significato ne ha) per te portarla in Italia ed a Venezia durante la Biennale?
C’è un particolare di estrema importanza in tutta la vicenda. I profughi che fuggivano alla violenza nazista si imbarcavano a Trieste su navi del Lloyd. Il nostro piccolo Adriatico era quindi la via di fuga verso l’estremo Oriente. Città, come Venezia e Rimini, sono luoghi che in fondo fanno parte di questa incredibile vicenda.
Dopo una lunga preparazione con presentazioni in Asia e Europa arrivare finalmente in Italia – e in particolare proprio qui – è un passaggio cruciale nello sviluppo del progetto.

Cosa stai combinando, cosa farai dopo il 29 maggio?
Di nuovo a Lecce e in Salento per proseguire sopralluoghi dedicati ai progetti che realizzerò da quelle parti in settembre e ottobre.
L’uscita del vinile Ye Shanghai pubblicato da Fantom Music (la nuova etichetta che affianca il lavoro visivo della rivista di fotografia Fantom). Ulteriori presentazioni della performance. Un nuovo progetto a Shanghai il prossimo novembre.

Roberto Paci Dalò. Ye Shanghai

Ye shanghai è un’opera distribuita in tre formati: performance audio-video, installazione, film.
Co-prodotta da ArtHub Asia, SH Contemporary, Giardini Pensili, NOTCH Festival, Messagerie. In associazione con BFI British Film Institute Londra. In collaborazione con iTOPIA Management Consulting Co. Ltd., Fudan University Shanghai, Home Movies – archivio nazionale del film di famiglia, La camera ottica Gorizia.

L’evento: Ye Shanghai. Performance
evento parallelo alla 55. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

Serre dei Giardini di Castello, Venezia

29 maggio 2013 ore 21,00

Info: www.robertopacidalo.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •