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BAGNOLO DI LONIGO (VI) | Villa Pisani Bonetti | 9 ottobre – 14 novembre 2021

Intervista ad AQUA AURA e ANTONELLA DE NISCO di Lisa Bellentani

Villa Pisani Bonetti a Bagnolo di Lonigo (VI), realizzata da Palladio fra il 1544 e il 1545 dopo il primo viaggio a Roma, ospita la mostra Racconti sulla Natura. Gli spazi interni e esterni della celebre dimora, già arricchiti da opere di arte contemporanea, accolgono i progetti di Aqua Aura e Antonella De Nisco. Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti, invitati dall’Associazione Culturale Arteam di Albissola Marina (SV), hanno assegnato un Premio Speciale in occasione di Arteam Cup 2019. L’apertura delle due personali, prevista nel 2020, ha dovuto attendere un anno; oggi, finalmente, gli interventi site-specific “abitano” i due seminterrati e il giardino della Villa. Matteo Galbiati, curando un allestimento minimale, ha lasciato parlare le opere che, entrando in empatia con l’irrazionalità del visitatore, richiedono di essere vissute. Come suggerisce l’opera Ascolta di Manuela Bedeschi, una panchina posta di fronte alla facciata della residenza, la mostra è da sentire attivamente; di conseguenza, sollecita un atteggiamento partecipativo.
I percorsi degli artisti, apparentemente distanti, sfruttano supporti opposti per narrare l’epopea della natura incontaminata. “Aggiunte poetiche ai luoghi”, i loro lavori si allontanano da una dimensione autoreferenziale, dialogando con interni pervasi da giochi chiaroscurali e consegnando al giardino monumenti transitori.

Aqua Aura, Where The Lost Things Are, 2019, video-installazione, Full HD 2/3 canali, colore, audio, durata 32’ (still da video), (collocazione: cantine di sinistra, sala 1)

Aqua Aura comunica l’urgenza espressiva attraverso l’utilizzo di mezzi tecnologici che, citando Marshall McLuhan, hanno la facoltà di estendere i nostri sensi. La forza millenaria della natura, in dissoluzione durante l’era dell’Antropocene, viene tradotta da un linguaggio frammentario, denso di suggestioni poetiche e scientifiche. Schermi bidimensionali tele-trasportano il pubblico in uno spazio visionario, dove illusori paesaggi fantastici e elementi naturali decontestualizzati veicolano sia un senso di nostalgia per un passato di splendore incontaminato, sia un sentimento di rammarico per un futuro di inarrestabile disfacimento. Così, le immagini – accompagnate da malinconici canti, nel caso di Millenial Tears – si elevano a epifanie, o amari singhiozzi. La ricerca del dettaglio non esclude né la dimensione onirica, né la partecipazione emotiva; basti pensare alla maniacale cura del particolare che accumuna alcuni tra i più grandi surrealisti.

Antonella De Nisco, Spiatoi, 2021, serie di 6, tondino di ferro, spago, sisal, midollino, dimensioni ambientali variabili, cm 210 x 70 x 70 circa (collocazione: cantine di destra, sala 1)

Antonella De Nisco trasmette il calore vivo della terra modellando fragili, ma tenaci, sculture vegetali, dispositivi visivi che modificano le loro forme in relazione alla luce. Le sue opere – in particolare Innesti, appendici naturali assimilabili a specie di “megafoni piangenti”, essendo costituiti da rami di salici – amplificano i sussurri del paesaggio. Le fessure tra le intricate fibre degli Spiatoi, o del Monocolo, come buchi neri, attraggono lo sguardo offrendo nuove prospettive e inaspettati “angoli visuali”. In un presente assalito dalla bulimia delle immagini, l’artista genera spazi contemplativi, educando lo sguardo a porre attenzione. Forme mutevoli e leggere, quasi intessute d’aria, promuovono materiali di scarto a icone di bellezza. Intrecciando tessiture complesse con la precisione di Aracne, Antonella De Nisco sfonda i confini delle pareti e ci convince che effimeri “esseri” possano resistere all’inesorabile scorrere del tempo continuando a vivere, come se una vera Radice affondasse nel terreno.

Aqua Aura: il suo pseudonimo, ispirato al nome di un quarzo modificato dall’uomo, svela l’importanza che ha il tema del doppio nella sua ricerca espressiva. In che modo concilia gli opposti (natura-tecnologia, visionarietà-precisione matematica, micro-macro), e rende il loro sodalizio così emozionante?
Aqua Aura – Sì, il tema del doppio è un pilastro fondamentale della ricerca. Per essere più precisi: più che un tema è un processo linguistico che porta immancabilmente ad un “quasi”. Ad una quasi-simmetria, ad una quasi-visibilità (e per contro ad una quasi-invisibilità), ad una quasi-specularità, ad un quasi-lirismo e così via. Considero l’opera come la manifestazione di una monade imperfetta, un intero incompleto, una perfezione mancata. Per costruire il territorio del “quasi”, parto sempre dalla considerazione di elementi in perfetta opposizione, che si negano vicendevolmente. La rappresentazione di un paesaggio interamente speculare è negata dalla presenza di un “oggetto” che sfugge a questa regola. La rappresentazione di un soggetto appartenente alla sfera del visibile è inquinata da qualcosa che appartiene all’”invisibile”. In genere il tentativo è sempre quello di arrivare ad un’emozione imperfetta che appartiene al trascendente. Imperfetta in quanto abitata da elementi immanenti. In effetti “Aqua Aura”, il nome che mi rappresenta, è l’esempio stesso della negazione di una diade in assoluta specularità. Una sola consonante “ribelle” nega il piacere di una possibile perfezione.

Aqua Aura, Empty Spaces #4, 2014, stampa Lambda su pellicola Duratrans – lightbox, basamento in legno verniciato, 48x85x120 cm (collocazione: cantine di sinistra, sala 2)

Legnose sculture si ergono come architetture effimere nello spazio. Equiparate a creature vive, respirano. Matteo Galbiati scrive che esse si “assorbono” alla natura. Partendo da questa riflessione, che importanza ha la transitorietà nella sua poetica?
Antonella De Nisco – Nel mio lavoro è fondamentale il legame con i luoghi e la natura, che mi porta a creare oggetti intrecciati, in connessione con l’energia della terra e dell’aria, inseriti nello spazio come aggiunta poetica. L’intento è quello di creare sorpresa, anche attraverso trasformazioni e installazioni temporanee. Sono da sempre interessata alla dimensione fragile dell’esistenza, che necessita di comunicazione tra le persone e i territori, distrattamente, abitati; immagino opere come osservatori del paesaggio e di noi stessi. Nel tentativo di “collaborare con la terra”, non imprimo segni irreversibili ma uso materiali naturali, potature vegetali, midollino e fibre varie, alla ricerca di un dialogo attivo con i luoghi. Anche per il parco di Villa Pisani Bonetti ho creato Innesti, inseriti a sorpresa nella vegetazione dei grandi platani; si tratta di sensibili sculture, capaci di muoversi al minimo alito di vento. Sono forme sempre mutevoli che filtrano la luce, nel trascolorare della giornata e nei raggi di sole che le investono, vivono, respirano, proiettano ombre caleidoscopiche d’intrecci, sempre diverse. Nella transitorietà delle opere temporanee credo si manifesti quel sentimento di fragilità e vulnerabilità che è per me una qualità estetica supplementare. I progetti effimeri ci invitano a riguardare lo spazio con affetto, nella consapevolezza dell’assenza, di qualcosa che non dura e si fa subito ricordo, dando vita ad un sentimento di tenerezza, amore. 

Antonella De Nisco, Radice, 2021, radice intrecciata a tecnica mista con materiali naturali legno, sisal, stoppa, cotone, spago, 240x100x80 cm circa (collocazione: cantine di destra, opera sospesa alla volta del soffitto, sala 3)

Secondo lei, il sentimento del Sublime ha perso il suo antico prestigio, rimanendo ultimo nella maratona della nostra affannosa epoca. Le sue opere puntano al coinvolgimento del pubblico per veicolare un senso di Assoluto, generato dall’elegia della Natura?
Aqua Aura – Il Sublime è solo uno dei terreni di riflessione dai quali si generano i miei lavori. Nella mia personale graduatoria di urgenze assume, però, un’importanza fondamentale nell’elaborazione di un pensiero portante. Riferendomi alla tua domanda, sostituirei il termine “prestigio” con “funzionalità”. In effetti, sembra che oggi abbia perso la sua funzione di catalizzatore espressivo. Il pensiero della nostra contemporaneità si esprime sempre più per frammenti; il superfluo sostituisce l’essenziale, la copia assume il valore dell’originale. Si assiste sempre più ad una relativizzazione dei “motivi” dell’opera d’arte; processo che ci porta via via più lontani da un’esperienza dell’arte come verifica dell’assoluto, a favore di particolarismi espressivi che ricordano più una forma di decorazione che una ricerca artistica vera e propria. Del resto, viviamo nell’onda discendente del Post-Modernismo conclamato. Perché impiego il mio tempo nel cercare i confini, validi ancor oggi, di un pensiero così vecchio come quello del Sublime? Perché ritengo che l’arte, rinunciando all’ambizione del trascendente, corra il serio rischio di trasformarsi in gadget.

Eva Hesse, impiegando materiali tessili, definì il suo lavoro “il caos strutturato come non caos”. In che modo impalcature strutturate contengono la tensione della casualità?
Antonella De Nisco – L’artista è un soggetto che allena lo sguardo e l’intelletto per comprendere dati fisici, culturali, narrativi di un luogo in vista di un suo arricchimento poetico; così, io lavoro “con” e “nello” spazio, leggo i luoghi, li scopro, cercando inedite visioni. Per un’artista con anni di ricerca alle spalle la “casualità” viene accolta dall’intuizione, entrando nel flusso della sua personale narrazione creativa. La creazione è il meccanismo fondamentale che conduce al dispositivo fisico e semantico dell’opera, come sorpresa e arricchimento percettivo. Certamente, considerando l’influenza attiva e emozionale del materiale prescelto, esso ricopre un ruolo fondamentale nella realizzazione di progetti. Nella mia attività il filo può divenire secondario, lasciando spazio a materiali di scarto non trattati mediante filatura e dominati da una texture sempre mutevole. Il “fare” serve a capire e, nel tempo, anche le nostre mani diventano uno strumento capace di pensare e comprendere quello che i materiali ci suggeriscono.

Aqua Aura, Millenial Tears, 2017, video-installazione Full HD 2/3 canali, colore, audio, durata 30’15’’ (still da video), (collocazione: cantine di sinistra, sala 3)

Concludo formulando la stessa domanda ai due artisti: Schermi luminosi e fibre tessili “abitano” i luoghi, curando la loro “manutenzione poetica”; mezzi espressivi diversi impiegano i concetti di Chiaroscuro e di “vuoto”. In che termini essi aiutano le vostre creazioni a integrarsi con lo spazio?
Aqua Aura – Per quanto mi riguarda, l’integrazione con gli spazi di Villa Pisani Bonetti è cercata attraverso l’uso di due direttrici di relazione opposte tra loro: negando lo spazio che mi ospita e, contestualmente, tenendo in assoluta considerazione i suggerimenti che questo stesso spazio mi offre (si torna alla meccanica del doppio e dell’antagonismo degli opposti come nella tua prima domanda). Durante il primo sopralluogo in Villa non ho potuto non considerare che le opere avrebbero abitato i seminterrati, le antiche cantine. La cosa mi ha portato a valutare l’idea che questi spazi rappresentassero l’essenza della penombra e che, per traslato, le mie opere andassero a risiedere in una sorta di regno della dicotomia di buio e luce. Così, ho assunto tale dato come elemento narrante, trave portante della mia intera presenza. Per realizzare tale assunto dovevo negare lo spazio. Dovevo quindi avvolgere il luogo in un buio completo, affidando ai lavori presenti la responsabilità di farsi uniche fonti di luci residue (anche in senso metaforico). Di conseguenza, è nato il desiderio di dedicare l’intera mostra a quelle opere che fossero per loro natura emissari luminosi (video-installazioni e/o retroilluminati). Come in un cerchio che si chiude ai suoi estremi lineari, quelle opere trattano proprio di Natura e di Paesaggio Culturale (mi riferisco a Millennial Tears del 2017, Where The Lost Things Are del 2019 ma anche ai light-box della serie Empty Spaces – 2012/ 2014). “Natura” come motore narrativo e sue “Sovrastrutture Culturali” come urgenze della meccanica del contemporaneo. In un certo senso l’opera, per manifestarsi pienamente, deve negare il luogo; tuttavia, le ragioni del luogo rendono il senso dell’opera tale.  

Antonella De Nisco, Innesti, 2021, ferro, sisal, midollino, spago, salice con scorza, dimensioni ambientali (collocazione: scultura site-specific in sospensione tra gli alberi del parco)

Antonella De Nisco – Quella che io definisco “manutenzione poetica dei luoghi” ha l’obiettivo di sperimentare nuove forme di utilizzo comune dello spazio, anche attraverso una simbolica ritessitura di esso. Credo che l’arte, tramite opere collettive, possa creare momenti di condivisione e confronto, profondamente sperimentati dalla mia ricerca. Al pubblico viene così offerta la possibilità di elevarsi a co-creatore e di con-vivere, facendo esperienza del luogo attraverso significativi punti narrativi che attivano un sentimento intimo, di armonia tra noi e gli elementi naturali. L’artista, da “operatore estetico”, è capace di individuare delle connessioni tra lo spazio e la società, tra le infrastrutture e il preesistente. La realtà, anche brutta, può essere arricchita; oppure, acquistare nuova linfa vitale attraverso l’immaginazione che disvela i significati nascosti delle cose. 

Racconti sulla Natura. Aqua Aura – Antonella De Nisco
a cura di Matteo Galbiati
progetto promosso da Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art
mostre-premio nell’ambito di Arteam Cup 2019 – V edizione
main partner Arteam – Associazione Culturale, Albissola Marina (SV)
in collaborazione con Accademia di Belle Arti Santa Giulia, Scuola di Comunicazione e Didattica dell’Arte, Brescia

9 ottobre – 14 novembre 2021

Villa Pisani Bonetti
Via Risaie 1, Bagnolo di Lonigo (VI)

Orari: da lunedì a venerdì 9.00-12.00 e 14.30-17.30; sabato e domenica su appuntamento
In ottemperanza alle disposizioni per il contenimento del COVID-19 l’ingresso è consentito ai possessori di Green Pass e con l’obbligo di uso della mascherina

Info: Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art
+39 0444 831104
villa@villapisanibonetti.it
www.villapisani.net

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