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a cura di Alessandra Redaelli

Protagonista della nostra quinta Pillola d’arte è la scultrice Silvia Levenson. Se andate a cercarla sul web, la troverete descritta come “artista contemporanea e attivista politica”, e questo già ci dice molto di lei. Nata in Argentina, a Buenos Aires, e diventata madre proprio nell’anno in cui lì si insedia la dittatura di Jorge Rafael Videla, Silvia Levenson ha cominciato adolescente a combattere per la libertà, e non ha mai smesso di denunciare abusi e ingiustizie. Nel 1981 si trasferisce in Italia, ma questo non le fa dimenticare la sua terra e i suoi drammi. Lo dimostrano opere come Identidad desaparecida, ispirata ai bambini strappati appena nati alle madri in Argentina, durante il regime, e cresciuti senza cognizioni delle proprie vere origini: appesi al muro scorrono in sequenza abitini da bebè in vetro colorato, mentre a terra file di seggioline aspettano vuote i bimbi a cui appartengono le scarpine di vetro appaiate lì accanto. Il suo lavoro possiede sempre questa duplice anima della grazia e dell’orrore: da un lato la gioia cromatica e la trasparenza del vetro, dall’altro l’irrompere del dramma, sempre legato al sociale e all’attualità. Come quando per raccontare l’ambiguità misteriosa dell’infanzia e l’incapacità degli adulti di penetrarne i segreti, l’artista ci presenta le sue Strange little girls, inquietanti bambine con la testa di volpi, cerbiatte o pecorelle. O come quando strappa il velo sulle dinamiche disfunzionali della famiglia mostrandoci servizi da tè ricoperti di spine o bombe a mano – dalla zuccherosa tinta rosa – con sopra incisa la parola “amore”, magari issate su gigantesche torte di nozze.
Il tema della violenza di genere è tra quelli che le stanno maggiormente a cuore. L’anno scorso, a Firenze, a Palazzo Vecchio, l’ha raccontata insieme a Natalia Saurin con l’installazione Il luogo più pericoloso: 94 piatti di ceramica che portavano impresse, in tutte le lingue, frasi che troppo spesso sono usate per sminuire la gravità degli abusi nella coppia, ma anche frammenti di dialoghi tipici di un rapporto violento e assiomi sugli stereotipi di genere, come “Era solo un po’ geloso”, “Te la sei cercata”, “Senza di me non sei niente”, “Gli uomini non piangono”.

Ritratto di Silvia Levenson. Foto Marco Del Comune

1 – Definisciti con tre aggettivi.
Resistente, disorientata, ironica.

2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Ho sempre disegnato, ma nel periodo in cui ho vissuto in Argentina (fino ai 23 anni)  ho dato la priorità all’impegno politico. Ho cominciato a esporre il mio lavoro in Italia tardi, a 35 anni, e forse perché ero matura tutto si è svolto molto rapidamente.

3 – Hai scelto la scultura in vetro perché…
Sono affascinata dalle ambiguità di questo materiale, che uso come una lente d’ingrandimento per guardare e cercare di capire ciò che è attorno a me.

4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Sisyphus Sport di Jana Sterbak, lo zaino a forma di sasso.

5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Dipende dalla giornata, possono esserci tanti momenti emozionanti o nessuno. Mi emoziono quando sono trasportata da un’idea, oppure quando finisco un lavoro e sento che sono riuscita a esprimere qualcosa che non sarei riuscita a descrivere a parole.

6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
Per me è un insieme delle due cose. Tutto il mio lavoro è teso a trovare un equilibrio fra l’idea e il processo per renderla visibile.

7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Un ornitorinco.

8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Curiosità, determinazione e flessibilità per capire come cambia il nostro mondo.

9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Avere un conto in banca sorridente.

10 – La bellezza salverà il mondo?
Ne sono convinta. La bellezza fatta di stupore, empatia e condivisione dei sentimenti.


silvialevenson.com

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Silvia Levenson, Tea time is back, 2019. Foto Marco Del Comune

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