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a cura di Alessandra Redaelli

Loredana Galante ha fatto dell’arte e della performance la sua vita. Il suo lavoro è complesso da definire in quanto permea ogni lato della sua esistenza. Le sue “galanterie” non sono solo momenti condivisi con il pubblico, ma modi d’essere figli di un atteggiamento verso l’altro di accoglienza e cura. Non per niente lei ha anche un’attività di counseling. L’inaugurazione del suo To be Kind a Milano – punto d’incontro, spazio espositivo, studio e anche abitazione – ha concretizzato in un luogo preciso la fusione tra arte e quotidiano che la caratterizza. Tutte le sue opere, del resto, manifestano il loro nascere in seno a una ritualità intima intessuta di memoria, ponendosi non lontano da un lavoro confessionale come quello di Tracey Emin (penso alla tenda da campeggio Everyone I have ever slept with o più in generale ai suoi lavori su stoffa e ai ricami), ma dove l’aggressività spudorata della young british artist è qui sostituita da una delicatezza d’altri tempi. Immensi vestiti da cui le uova pendono come frutti maturi, gusci spezzati, fiori dipinti, parole ricamate, insetti in abito da sera usciti da favole misteriose, teiere e tazzine che non ti sorprenderesti di vedere danzare, all’improvviso, animate da un incantesimo, pasticcini di stoffa, passamanerie, uno scrigno che contiene un roseo sesso femminile decorato da nastri e perle, ragni tessitori vestiti di pizzo, più rassicuranti delle Maman di Louise Bourgeois, ma altrettanto laboriosi, casette per uccelli trasformate in borsette, fontane da cui stilla succo d’arancia, cornucopie piene di pane e poi dipinti dove si raccontano quelle stesse storie di vita, castelli di carte costruiti con le foto di famiglia a rammentare quanto i legami siano preziosi, soffocanti e a volte fragili e poi fotografie dell’artista, travestita da vamp o da infermiera, sono questi gli oggetti di scena per le sue performance inclusive, in cui raduna donne a cucire insieme grandi tovaglie o intreccia e scioglie nodi a simboleggiare l’eterno inseguirsi nel tempo della vita e della morte.

Loredana Galante. Foto di Antonio Delluzio

1 – Definisciti con tre aggettivi.
Eccentrica, affidabile, accessibile.

2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Ho scelto di “fare” l’artista e l’ho scelto con tutta la motivazione e il desiderio che mi animavano ai tempi dell’accademia. Lavoravo e andavo a scuola, costruivo filo a filo la mia rete di sicurezze, testavo la mia struttura caratteriale, il mio senso delle priorità, la fiducia di potercela fare. La mia forte motivazione compensava l’incertezza. E poi un bel giorno, congedandomi dal mio ultimo lavoro part time come restauratrice, ho percorso in equilibrio quel filo su cui avrei imparato a camminare nel vuoto sempre più disinvolta. Il processo creativo rimane ancora oggi il mio sistema esistenziale più funzionale. Insieme alla meditazione.

3 – Hai scelto di spaziare tra performance, pittura, scultura, fotografia, ricamo perché…
Prendo e uso quello che meglio sostiene un’idea e la sua realizzazione. La ricerca è un tempo lento, consapevole, in ascolto, un tempo dell’assimilazione e della riformulazione costruttiva. Mi ha portato anche al ricamo che è come scrivere o disegnare con un filo, ma più lentamente. Ma ciò che credo che mi rappresenti meglio sia sempre lo spazio che abito, l’esperienza vissuta di un tutto insieme, magari più difficile da decodificare ma più immediato da sentire.

4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Sarebbe un luogo e una potente opera di persuasione, entrambi annoverabili tra i lasciti portatori di senso. Ci sto lavorando, potrebbero servirmi un altro paio di reincarnazioni.

5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Mi emoziona meravigliarmi. Il mondo è, per l’artista, uno spazio emozionale che accoglie la sorpresa. Bisogna, però, esservi disposti. In questo modo si afferma uno spazio di possibilità, d’inclusione dell’inatteso, di stupore, di osservazione sospesa. Un luogo d’eventualità.

6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
Concentrazione, costanza, assiduità, intimità e una confidenza che, se la interrompi con pause troppo lunghe, potresti compromettere tutto, come fra due amanti.

7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Avevo un padiglione decorato con stucchi floreali per offrire il tè, ascoltare i musici e praticare la trasgressione, una caverna per la trascendenza e le magie, una tenda nel bosco, aperta a tutti, per le discussioni, le scelte importanti, la risoluzione dei problemi, le notti in cui non si riesce a dormire. Oppure ballavo il charleston in qualche locale equivoco. Mi si sovrappongono i ricordi.

8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Visione sistemica, responsabilità personale, lungimiranza.

9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Non ho esaurito la soddisfazione per aver realizzato il To be Kind, uno spazio molto grande e accogliente a Milano. Potrei desiderare di mettere sotto un laser potenziante quello che già ho, diversificare e aumentare la mia crew di animali adottati, percepire con più chiarezza l’utilità del mio lavoro ed essere sostenuta quando mi spendo tutta.

10 – La bellezza salverà il mondo?
Credo che la bellezza nel concetto più ampio della parola e nella sua valenza di sacralità potrebbe salvare il mondo e la pace, secondo i due significati della traduzione della parola russa “mir”. Noi abbiamo il compito di custodirla, onorarla e rispettarla.

Leggi anche: Archivio Pillole d’Arte da #1 a#26

Loredana Galante, Intervista, 2015, Museo Nacional de la muerte di Aguascalientes, Messico

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