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di JACOPO RICCIARDI

NICOLA CARRINO, Camusac Reconstructing City. Iron. Steinless Steel. 2016 Costruttivi. Decostruttivi. Ricostruttivi.1959. 2013. Veduta della mostra, maggio 2016, a cura di Bruno Corà

NICOLA CARRINO, Camusac Reconstructing City. Iron. Steinless Steel. 2016. Costruttivi. Decostruttivi. Ricostruttivi.1959. 2013. Veduta della mostra. Courtesy Camusac Cassino Museo Arte Contemporanea

Nicola era piccolo e coriaceo, con una corta barbetta sale e pepe, due belle labbra pronunciate che spuntavano al centro, pronte al dibattito, in risposta atletica alle sue idee progettuali. La scultura per lui ha lo scopo di rispondere alle domande volumetriche e sociali dello spazio ed è la risoluzione progettuale di tutte le problematiche emerse nell’attento studio di queste.
Ricordo quando, passeggiando insieme, qualche anno fa, rivolto alla facciata dell’Oratorio dei Filippini progettato da Borromini, alzando gli occhi a una nicchia vuota, espresse parole compiaciute per quella trovata costruttiva, ossia di rivelare uno spazio vuoto e di utilizzarlo come chiave della struttura tutta, del suo equilibrio. Ho pensato spesso a quel momento, al suo sottile sorriso, accennato, al movimento frenetico della testa sul collo, come se questa avesse bloccato in sé il pieno slancio dell’idea. Forse quel vuoto che era pieno, nella sua mente ragionante, altro non era che una finestra trasparente che legava segno costruttivo di una struttura (fondamenta dell’apparizione) al pensare dell’osservatore che non si perdeva nella rappresentazione di un’immagine di superficie ma che si confrontava direttamente con la fisicità e la sistemazione dello spazio circostante.
Mi venne a trovare, generoso come sempre, al Macro Testaccio, dove esponevo alcune mie opere; mentre facemmo il giro tra i lavori dei giovani artisti presenti, si fermò davanti a dei parallelepipedi di acciaio che sostenevano qualcos’altro, e disse, guardando un suo amico che lo accompagnava: “A me sarebbero bastati i piedistalli”.

Tutto nel suo lavoro e nel pensiero era massima semplificazione, ma non minimale, bensì costruttiva. Fin dagli anni ’60 era riuscito nello scopo di trovare il primo elemento fisico, irriducibile, che mostrava bene il decostruirsi e il ricostruirsi di una struttura.
Ricordo che per il progetto permanente che realizzò all’aeroporto di Fiumicino per Adr (ero direttore del progetto PlayOn e lo avevo coinvolto), seguendolo attivamente nelle diverse fasi di progettazione, fu proprio lo spazio e suggerire le forme, la tripartizione della scultura e la sua posizione. Quindi si può dire che la scultura di Nicola accetti il Dna di uno spazio, e lo inglobi per mostrarlo, trovando una radice costruttiva nella progettualità sociale, in un’umanità che progetta lo spazio per vivere, palazzi, vie, piazze e intere città, in un sistema di sistemi. Nicola trova il centro di questa logica architettonica collettiva e utilizza la sua scultura come fulcro che la svela, mostrando agli abitanti il dono del luogo che già li accoglieva, rafforzato nelle coscienze, e capace di produrre nuove idee, ricostruttive.
In quel periodo lo andai a trovare in un’officina dove stava lucidando una sua grande scultura a forma di vortice di vite orizzontale. Utilizzava una specie di spugna di fili di ferro intrecciati per creare una marezzatura circolare che brillava muovendosi nel movimento centripeto del metallo. Mi stupì l’intensità e la costanza di quel gesto. Sembrava voler far emergere il fulcro estetico e funzionale della logica che abita il costruire. La scultura di Nicola non restava mai nella mente o solo nel progetto, ma sapeva imporsi sullo spettatore scavando fino al nucleo originario dello spazio.

NICOLA CARRINO, Camusac Reconstructing City. Iron. Steinless Steel. 2016 Costruttivi. Decostruttivi. Ricostruttivi.1959. 2013. Veduta della mostra, maggio 2016, a cura di Bruno Corà

NICOLA CARRINO, Camusac Reconstructing City. Iron. Steinless Steel, 2016. Costruttivi. Decostruttivi. Ricostruttivi. 1959. 2013. Veduta della mostra. Courtesy Camusac Cassino Museo Arte Contemporanea

La scultura di Nicola è creata dallo spazio architettonico che la accoglie e non il contrario. Essa svela l’essenza di uno spazio cui è tolto ogni orpello per mostrarsi generoso di ulteriori ricostruzioni, dopo la sua che è la prima, dono di ispirazione civile.
Amava molto la poesia; sulla doppia scultura di Mestre compaiono due versi di Zanzotto, scritti a stampatello in rilievo sul ferro corten. Glieli avevo chiesti per un mio testo letterario, e quando ci vedemmo me li lesse scritti su un foglio piegato dove li aveva annotati. Sempre disponibile, sempre curioso delle riflessioni degli altri, ci ha lasciato il desiderio di ricerca e di approfondimento che deve abitare tutte le menti, non solo quella dell’artista, ma anche, soprattutto, quella dell’osservatore, e di tutti gli abitanti della vita.

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