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BOLOGNA | Spazio Testoni | 20 ottobre 2012 – 14 gennaio 2013

Maria Rebecca Ballestra e Paola Valenti collaborano dal 2004, spesso coinvolgendo nei loro progetti l’Archivio d’Arte Contemporanea (AdAC) dell’Università degli Studi di Genova, del quale Paola Valenti è una dei responsabili. Oltre che nella ricerca e conservazione, infatti, l’AdAC è impegnato nella realizzazione di eventi espositivi e nella promozione, a livello nazionale e internazionale, di meritevoli artisti. Nel 2011 Ballestra e Valenti hanno ideato insieme il progetto Changing Perspectives/Cambiando Prospettive, un ciclo di esposizioni, installazioni e incontri dedicato al lavoro di Rebecca Ballestra, che si è svolto da giugno a novembre in varie sedi museali della città di Genova. Al termine del progetto espositivo è stata presentata l’omonima monografia, curata da Paola Valenti ed edita da De Ferrari Editore. Questa pubblicazione è stata di recente presentata presso la Galleria Spazio Testoni di Bologna, in occasione della mostra di Ballestra Meta-architetture, curata sempre da Paola Valenti.

Espoarte ha inviato Paola Valenti e Maria Rebecca Ballestra a consegnare un dialogo intorno a questa intensa collaborazione…

Paola Valenti: I tuoi lavori sono spesso progetti site e time specific; come affronti il problema della loro fruibilità e della loro “memoria”?
Maria Rebecca Ballestra: Tutte le mie opere site e contest specific sono temporanee, hanno senso solo nello spazio e nel tempo per cui sono state progettate, ed una volta conclusa la mostra per la quale sono state pensate, non esistono più. La limitatezza temporale è ciò che permette al concetto dell’opera di sopravvivere all’opera stessa, attraverso quel processo che trasferisce il concetto dall’opera all’osservatore che lo assimila, lo elabora e lo trasforma interiormente. Proprio il fatto che l’opera sia temporanea, e quindi destinata a scomparire, pone il visitatore in una posizione di maggior predisposizione alla percezione dell’opera e ad un conseguente maggior coinvolgimento emotivo. Di conseguenza anche la memoria dell’opera permane nell’osservatore. La documentazione delle installazioni e dei progetti site specific non diventa mai un’opera a sua volta, ma è realizzata al solo fine documentale e di archiviazione.

Quanto è importante, a tuo avviso, che l’arte esca dai luoghi istituzionali e si ponga a diretto contatto con un pubblico eterogeneo e non necessariamente specialistico?
Considero l’arte un luogo di incontro, discussione ed interazione tra diverse discipline come la scienza, l’ecologia, la politica, la biotecnologia, le energie rinnovabili. Viviamo in un mondo in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e imprevedibili; ora, mai come prima, l’umanità percepisce la sua fragilità e sfiora l’idea di un collasso globale.
Di fronte ad un mondo così interconnesso, di fronte a cambiamenti così drastici e globali, che vanno al di là dei confini nazionali, delle differenze culturali o religiose, possiamo forse immaginare una nuova visione dell’arte, così come della politica e della società, in grado di pensare e discutere insieme sugli interessi dell’uomo come specie?
Mi piace pensare che l’arte possa essere in grado di collegare, proporre, suggerire, immaginare infinite possibilità creative per il progresso collettivo, e di conseguenza immaginare l’artista come un visionario capace di offrire la sua prospettiva immaginifica per proporre e costruire nuovi modelli sociali. Da qui la conseguente ed inevitabile necessità nel mio lavoro di cercare costantemente un dialogo oltre ed al di là del sistema dell’arte.

Possiamo quindi definire la tua un’arte pubblica? Oppure potresti riconoscerti nell’arte relazionale?
Sicuramente sì, possiamo definirla arte pubblica per il mio forte interesse a realizzare installazioni site e contest specific, spesso ambientate in luoghi pubblici, e per i temi sociali trattati nei miei lavori.
Mi riconosco anche nell’arte relazionale, non solo alcuni miei progetti rientrano in questa definizione, ma potrei affermare che l’obiettivo finale del mio lavoro è sempre di tipo relazionale; in ogni opera mi interessa la trasformazione che questa suscita nell’osservatore più che l’opera stessa.

Il tuo attuale progetto Journey into Fragility, che ti terrà occupata in un viaggio intorno al mondo per quasi due anni, è a tutti gli effetti un progetto che esce dal sistema dell’arte per dialogare con settori diversi della società su un tema di pressante attualità quale quello dell’emergenze ambientali? Puoi riassumerne i tratti salienti e fare il punto della situazione?
Journey into Fragility è un progetto itinerante ispirato alla Carta di Arenzano per la Terra e per l’Uomo.
La Carta, composta da dodici tesi e sottoscritta da alcuni tra i più noti poeti al mondo (tra i quali Derek Walcott, Seamus Heaney, Adonis, Bei Dao, Mario Luzi, Yves Bonnefoy, Andrea Zanzotto e John Ashbery), è stata ideata da Massimo Morasso nel 2001, al fine di ripensare in modo costruttivo il tema della crisi ambientale. Journey into Fragility è un progetto a cui tengo particolarmente per il forte valore etico e filosofico del Manifesto a cui si ispira, per le importanti tematiche che affronta e per l’eterogeneità delle collaborazioni e delle esperienze che il progetto implica. Si tratta di un progetto itinerante in 12 tappe in giro per il mondo,  che mi ha portato e mi porterà in paesi e culture molto diverse, per osservare da 12 differenti prospettive un bene comune come l’ambiente.
Ho appena terminato la sesta tappa a Singapore, dopo Ghana, Svizzera, Madagascar, UAE e Cina, in ogni tappa ho avuto modo di affrontare una tematica ambientale differente, come il riciclaggio dell’acqua, l’energia solare, la biodiversità, l’aumento della popolazione mondiale, spesso collaborando con enti scientifici, politici, ONG o multinazionali come NEWater, Masdar City, Total, ecc…
Journey into Fragility è sicuramente il progetto più trasversale ed impegnativo che ho realizzato fino ad ora.
Ogni fase del progetto è documentata su web: www.journeyintofragility.com.


In Changing Perspectives, la monografia dedicata alla tua ricerca e pubblicata nel 2011, si può individuare una sorta di bipartizione all’interno del tuo lavoro: una prima fase in cui riveli una forte fascinazione per l’essere umano e una seconda in cui trai ispirazione da tematiche postumane. Cosa ha determinato questo cambiamento?
Credo che lo spostamento di interesse dall’uomo al Post Umano sia avvenuto nel 2009 in occasione della mostra The Future is Near. The Future is Now! alla Galerie Alberta Pane di Parigi. In quell’occasione ho iniziato ad occuparmi di tematiche che riguardavano l’uomo su scala globale, con particolare riferimento all’aumento della popolazione mondiale, ai cambiamenti climatici, alle pandemie, alla manipolazione genetica del cibo, tutti argomenti che sono poi confluiti in quell’esposizione. Dovendomi confrontare con questi temi simultaneamente, ho iniziato a provare un forte senso d’insicurezza e di relatività. È in quell’occasione che ho iniziato ad avvicinarmi al concetto del Post Umano, sviluppandolo successivamente con un presenza sempre più frequente dell’animale nelle mie opere.

Cosa rispondi a chi dice che la tua ricerca si avvicina molto a quella antropologica?
L’antropologia si occupa di comprendere gli aspetti socio-culturali che influenzano i comportamenti umani, come le relazioni sociali, gli usi e i costumi, le ideologie, le credenze religiose, le relazioni di potere, le leggi e le istituzioni. Nelle opere d’arte, spesso, l’artista esprime le proprie idee, i propri valori ed i propri sentimenti che sono inevitabilmente il prodotto del tempo e della società a cui questo appartiene. L’artista è, come tutti gli uomini, condizionato dall’ambiente e dalla società in cui vive e le sue opere sono espressione unica di un’epoca, di una civiltà, di una cultura. In tal senso il mio lavoro è antropologico, in quanto appartiene totalmente al suo tempo ed è il prodotto delle riflessioni della società a cui appartiene.

Maria Rebecca Ballestra. Meta-architetture

20 ottobre 2012 – 14 gennaio 2013

Galleria Spazio Testoni
Via D’Azeglio 50, Bologna

Orari: martedì-venerdì | 16.00- 20.00 | sabato 10.30-13.00 e 16.00-20.00
domenica e lunedì su appuntamento

Info: +39 051 371272 – +39 051 580988 – +39 335 6570830
la2000+45@giannitestoni.it
www.giannitestoni.it

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