SIRACUSA | ANTICO MERCATO | Fino al 31 ottobre 2023
di FRANCESCA DI GIORGIO
Se il Mito è ciò che può essere tramandato, manipolato e, perché no, tradito, sarebbe, più naturale parlare di Medee, una sola potrebbe bastare a patto che contenga tutte le altre. Impossibile, poi, non pensare a Medea come madre e come donna e a tutto ciò che questi termini portano con sé dal passato al presente. «La cultura patriarcale ha concepito la maternità come un destino ineluttabile della femminilità, come purificazione del carattere ritenuto (ideologicamente) peccaminoso della femminilità. Diventare madre per una donna significava, quindi, liberarsi dal carattere anarchico e irrequieto della femminilità, normalizzarsi, civilizzarsi. L’accudimento del focolare familiare e dei figli coincideva dunque con la morte della donna nel nome della madre», scriveva Massimo Recalcati. E, ancora, Ivano Dionigi descrive Medea come «un grumo di delitti. L’atto di uccidere i figli non mostra solo l’insubordinazione della donna alle leggi che regolano la vita della famiglia e che la costringono a sottomettersi al potere dell’uomo, ma, più radicalmente, mostra che nemmeno la maternità è sufficiente ad appagare il desiderio di una donna, a compensare la ferita d’amore che ha subito, che, in altre parole, diversamente da quello che crede l’ideologia patriarcale, nessuna donna può mai essere assorbita del tutto nella madre».
Una delle ermeneutiche vuole il nome Medea dall’aggettivo (μηδείς, μηδεμία) che significa nessuno, niente, nulla. Da qui proviene anche la parola greca (μηδέν) cioè niente. La (μηδεμία) è l’antitesi della virtù cioè dell’(areté). Virtù (dal latino virtus; in greco ἀρετή “areté”) è la disposizione d’animo volta al bene. Anche senza addentrarsi troppo in una interpretazione semiotica e psicoanalitica di Medea è chiaro che siamo di fronte ad una perfetta complessità a cui l’arte contemporanea può attingere a piene mani ibridando i filoni del mito con le culture di appartenenza. Ed è ciò che avviene nella mostra Medea, a cura di Demetrio Paparoni, all’Antico Mercato di Siracusa, in corso fino al prossimo 31 ottobre.
La Medea (Μήδεια, Médeia) della tragedia di Euripide resta un riferimento imprescindibile. Andata in scena per la prima volta ad Atene, alle Grandi Dionisie del 431 Ac., si narra la storia di Medea, figlia di Eeta, re della Colchide, che incontrato Giasone, valoroso eroe venuto nella sua terra per impossessarsi del vello d’oro, decide di aiutarlo tradendo la patria, e di fuggire con lui. Quando però i due arrivano in Grecia, Medea viene emarginata dalla società. Medea è la maga barbara, la straniera che soggiogata dalla passione per Giasone, tradisce suo padre e la sua patria. Capace di ogni efferatezza pur di raggiungere il suo scopo, vedrà il suo amato trasformarsi sotto i suoi occhi da coraggioso eroe in meschino opportunista e il suo amore in dolore, umiliazione, odio profondo e rabbia distruttiva che culminerà nell’uccisione dei loro figli.
Quelle realizzate ad hoc, per la mostra all’Antico Mercato di Siracusa, da una selezione di artist* italian* e stranier*, di diverse generazioni e provenienza, sono tutte Medee possibili, non c’è n’è una più vera dell’altra. Così come molte sono le versioni di Medea nella storia dell’arte che raramente si concentrano sul passaggio più famoso: l’uccisione dei figli. Ogni opera meriterebbe un proprio approfondimento perché, al di là del piano comune della pittura (fatta eccezione per l’installazione di Margaux Bricler, L’omelette tragique (Sêma, Sôma)? E il tessuto ricamato, Neither Created Nor Destroyed dell’artista filippino Cian Dayrit), il mondo portato sulla scena dagli artisti è filtrato dal tono a volte partecipato (più evidente nelle artiste donne) altre più distaccato e proiettato al vissuto contemporaneo in un autoalimentarsi continuo del mito.
La prima che incontriamo in mostra è la monumentale Medea di Nicola Samorì, la maga del dipinto seicentesco Medea rende la giovinezza a Esone di Pasquale Ottino, «un piccolo dipinto su lavagna che offre una Medea carismatica, bella, selvatica, in uno scenario notturno carico di mistero» si tramuta in una Medea “da palcoscenico”, teatrale e imponente come solo una vera protagonista sa essere.
Nella Medea nel giardino di Colchide, Francesco De Grandi a prendersi la scena è il paesaggio, un giardino esotico popolato da piante rigogliose e da animali che coglie un momento della vita di Medea: l’età dell’innocenza.
Al teatro fa riferimento Medea, a Play in Three Acts, dell’artista georgiana Rusudan Khizanishvili, che sottolinea il dissidio irrisolto della specie umana che nasce dal voler differenziarsi dal mondo animale senza mai potersene affrancare del tutto.
Medea, capace di crimini atroci ma anche donna “libera” torna nel lavoro Medea and Jason in my Blossoming Garden di Rafael Megall in cui l’artista, con un linguaggio fantasy, sonda un aspetto sociale determinante per inquadrare la posizione di Medea: donna in una polis greca governata dal potere assoluto maschile.
Come Samorì le due artiste italiane Chiara Calore e Nazarena Poli Maramotti scelgono di attingere dalla storia dell’arte.
La Mater terribilis di Chiara Calore ha il suo precedente iconografico nella settecentesca Medea di Henri Klagmann. «Nel rapportarsi alla Medea di Klagmann, Calore ha innanzi tutto decostruito l’immagine di partenza con pennellate larghe, grasse, gestuali, sulle quali è poi intervenuta per far riaffiorare i resti di quell’immagine, come ciò che torna in superficie dopo un naufragio. La strategia utilizzata dall’artista richiama nel metodo quella cubista: scompone e ricompone l’immagine mostrandola frammentata da angolazioni diverse e in momenti temporali sfalsati» scrive Demetrio Paparoni.
Nella Medea pensosa, Nazarena Poli Maramotti prende l’avvio dall’immagine quasi didascalica di un dipinto della bottega di Corrado Giaquinto del 1752 per poi dissolvere letteralmente la figura della donna all’interno del paesaggio. Medea è natura nonostante tutto, nonostante l’orrore indicibile dell’infanticidio che torna suggerito dal particolare dello stiletto, che userà contro i figli, impugnato dalla mano destra, in primo piano.
Il tema dell’infanticidio domina inaspettatamente la scena nell’opera di Natee Utarit, che in Two boys and the sacrifice, trasferisce il dramma dell’infanticidio in un elegante appartamento dei nostri giorni e in Medea and her sons di Daniel Pitin che cala il dramma tra mura domestiche odierne utilizzando come punto di partenza una foto di famiglia in vacanza per riflettere sull’incremento degli episodi di violenza che talvolta si insinuano patologici nella routine familiare.
I toni cupi assumono risvolti politici dell’arazzo di Cian Dayrit che riflette su barbarie e civiltà e su come queste si riverberino in una dinamica di sfruttamento selvaggio delle risorse del Pianeta.
Margaux Bricler per affrontare Medea di mettere in gioco, se stessa, il proprio corpo proprio nel momento in cui sta per diventare madre: si è così autoritratta nuda in una fotografia, con una catena al piede saldata a un uovo di struzzo. Il corpo per la donna è Sêma, segnale: è innegabile che la maternità ha sempre una doppia valenza, è desiderio ma anche limite.
Da una parte è chiaro che la cultura di appartenenza sia un’interessante conditio sine qua non per trovare una chiave interpretativa possibile dell’opera d’arte. Lo sguardo de* artist* coinvolt* non può che essere parziale.
Dall’altra parte a noi spettatori non resta che sospendere il giudizio, come conviene ad una società civile, basata sulla convinzione che nessun punto di vista circoscritto possa essere all’istante elevato ad universale. Di fronte a Medea siamo portati all’ἐποχή (epochè), all’astensione dal giudizio univoco ed unanime e alla buona abitudine di non dare mai nulla per scontato, una storia, come il mito, ha sempre molte facce.
MEDEA
Artisti: Margaux Bricler, Chiara Calore, Cian Dayrit, Helgi Thorgils Fridjónsson, Francesco De Grandi, Rusudan Khizanishvili, Sverre Malling, Rafael Megall, Ruben Pang, Daniel Pitin, Nazzarena Poli Maramotti, Vera Portatadino, Nicola Samorì, Natee Utarit, Ruprecht Von Kaufmann, Wang Guangyi, Yue Minjun.
a cura di Demetrio Paparoni
promossa da Amministrazione Comunale di Siracusa
Organizzata da Aditus S.r.L
Catalogo Skira Editore
5 maggio – 31 ottobre 2023
Antico Mercato
Via Trento 2, Siracusa
Orari: da lunedì a domenica ore 11.00-20.00. Ingresso gratuito
Info: https://aditusculture.com/esperienze/siracusa/mostre-eventi/ medea