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ARZIGNANO (VI) | Atipografia | 21 marzo – 23 maggio 2015

Intervista a MATTIA BOSCO di Matteo Galbiati

In occasione della sua personale negli spazi di Atipografia ad Arzignano (VI), abbiamo intervistato Mattia Bosco che, per questo mostra, si è speso in un progetto di grande respiro, incentrato su interventi inediti e pensati per questo luogo. L’installazione site-specific dell’artista milanese si fonda sulla qualità di materiali nobili – come il legno recuperato da alberi abbattuti sul territorio e vero attore protagonista delle sue opere – che indagano gli impegnativi e sempre ricchi temi della forma e della materia.
Lasciamo spazio al pensiero dell’artista che ci ha regalato intensi spunti di riflessione:

Mattia Bosco. Fiori violenti: fototropismo verso la forma, Atipografia Associazione Culturale, Arzignano (VI) Foto Luca Peruzzi (veduta dell'allestimento site-specific)

Come nasce questo progetto? Come hai sviluppato l’idea di queste opere?
La suggestione primaria è stata senz’altro l’incontro con lo spazio di Atipografia. Però va detto anche che quegli spazi io li ho guardati con una domanda senza la quale non avrei potuto trovare in quel luogo una risposta per me. In Atipografia ho trovato le grandi dimensioni che il lavoro in legno che stavo già facendo chiedeva per trovare un’espressione più efficace. C’erano poi quei due puntelli che aiutano una trave del soffitto, sono stati uno spunto a continuare nella direzione che ho poi sviluppato in tutte le varianti di Disordine Corinzio.

Che connessioni hanno con la tua ricerca?
Direi che tutto il corpo di lavori che è confluito nella mostra ha avuto il pregio di svincolare la mia poetica da un materiale, la pietra, mostrandone la trasversalità rispetto ai materiali. Lo ha mostrato a me e spero anche a chi guarda il mio lavoro.

In questo caso determinante è il valore site-specific… Cosa vuoi sottolineare nell’opera che hai proposto per Atipografia?
Come ho già detto, determinante è stato l’incontro con lo spazio di Atipografia. È uno spazio aperto, scabro e proprio per questo l’ossatura architettonica era allo scoperto. Per quanto elementare però si trovava già al di là della soglia dello spazio costruito. Quello che ho fatto è stato di fare un passo al di qua di questa soglia, verso lo spazio non fabbricato a partire da esigenze abitative umane, come lo possiamo incontrare in una foresta, riconducendo i primi elementi architettonici – pilastri e architravi – a ciò in cui originariamente l’uomo ne ha intravisto la possibilità, agli alberi. Questa consanguineità tra l’albero e la colonna è conservata ancora nel nome: il fusto, che vale tanto per l’albero quanto per la colonna. I pilastri in cemento armato di Atipografia, come del resto ogni pilastro, portano con sé questa invisibile provenienza dagli alberi; è guardandoli che l’uomo ha imparato a costruire, intercettando questa disponibilità (non volontaria ovviamente) del tronco a sorreggere e innalzare. E che cosa meglio di un tronco d’albero poteva prestarsi a guadagnare la verticalità, a innalzarsi? L’albero è innalzamento allo stato solido. Il vapore, per quanto tenda verso l’alto, non sarebbe servito altrettanto bene allo scopo.

Mattia Bosco. Fiori violenti: fototropismo verso la forma, Atipografia Associazione Culturale, Arzignano (VI) Foto Luca Peruzzi (veduta dell'allestimento site-specific)

Come deve affrontare la visione dei tuoi interventi lo spettatore?
Potrei suggerire di guardare alle mie sculture come a delle metafore di un altro e possibile modo per l’uomo di abitare il mondo. Anche se può sembrare in contrasto con quello che appare nei miei lavori, penso che per poterli vedere si debba togliere la “e” tra Uomo e Natura.

Fiori violenti: fototropismo verso la forma: perché l’attribuzione “violenti”? Che forma insegue la natura secondo te?
Violento è l’atto che apre ciò che è chiuso, interno, segreto, invisibile. Violento non è il fiore che si dischiude, ma il gesto che apre il corpo del tronco, dissigillandone gli anelli e divaricando l’alleanza delle sue fibre. L’invisibile, l’interno dell’albero, cede, e diventa esterno, visibile, fiore.
Quando dico fototropismo verso la forma sto estendendo un concetto dal mondo vegetale all’immaginazione. Le piante captano la luce, non la creano: la riconoscono e se ne nutrono, così si accrescono e vivono. Quando dico “fototropismo verso la forma”, intendo dire che la forma è il risultato di un processo, che include il movimento che conduce al suo raggiungimento. La forma è ciò che ci consente di riconoscere le cose, e la stessa cosa fa la luce, rende visibili le cose rimanendo invisibile per se stessa, noi vediamo le cose illuminate, non la luce. La scultura segue la forma come le piante seguono la luce: questo in sintesi era ciò che intendevo dire con quella formula senz’altro un po’ ostica. E come le piante non inventano la luce, lo scultore non inventa la forma, la trova nelle cose e ne continua il processo di formazione. Una forma inventata sarebbe tanto aleatoria quanto un fiore che non si sveglia al mattino.
Per quanto riguarda l’ultima parte della domanda, penso che la natura, ammesso che esista e ammesso che segua qualcosa, segua solo se stessa.

Mattia Bosco. Fiori violenti: fototropismo verso la forma, Atipografia Associazione Culturale, Arzignano (VI) Foto Luca Peruzzi (veduta dell'allestimento site-specific)Affermi che gli alberi hanno – per il fototropismo – regole precise, quali sono? Come le fai emergere nel tuo lavoro?
Come ho appena detto, come le piante seguono la luce, la scultura (come azione) segue la forma, la riconosce, è inclusa in un processo di formazione che a sua volta racchiude e conclude in quanto opera.

Un tema che possiamo individuare nel tuo lavoro è la tensione – atavica – tra non finito e finito, tra naturale e artificiale. Come intendi queste componenti, che parte hanno nel tuo lavoro? Come si relazionano agli analoghi esempi dati dalla storia (Michelangelo, ma non solo…)?
Se si toglie la “e” tra uomo e natura, decade anche la distinzione tra naturale e artificiale, oltre che quella tra finito e non finito. Inglobando parti “naturali”, cioè non scolpite da me, in una mia scultura, faccio esattamente ciò che si fa sempre quando si parla: si inglobano parole e pensieri che vengono da un passato irreperibile in una nuova formulazione. Riconfiguriamo sempre qualcosa di già esistente, e facendolo lo transitiamo al di là di noi, gli diamo vita: la nostra.
L’ordine è un tentativo di semplificare il caos.

Le evidenze della natura si fondono e plasmano con il segno del simbolo, per esempio il triangolo, cosa ricerchi? Cosa deve leggervi lo spettatore?
Posso dire solo come leggo io quel triangolo. Ho preso alla lettera la definizione di triangolo in geometria (per come me la ricordo) come “Linea spezzata chiusa”. Ho spezzato un tronco di acacia (dopo averne spezzati altri di altre qualità di legno, che però non si sfibravano come desideravo), e l’ho chiuso alla base.
Quando l’ho fatto mi son detto: ecco cosa vuole dire spezzare una linea!
Il vertice che dà verso l’alto è quello spezzato, come per effetto di una chiusura che avviene alla base, che è la parte lavorata, squadrata, levigata. L’immagine è di un triangolo che è chiuso e allo stesso tempo aperto, qualcosa di non risolto, di sfibrante come una guerra in corso.

Arte e natura si sono spesso legate nella cultura contemporanea, che lettura ne dai? Che compito deve assolvere oggi l’una rispetto l’altra?
Di nuovo quella “e”! … Lascio la parola a Nietsche a questo punto: “Quando sarà che tutte queste ombre di Dio non ci offuscheranno più? Quando avremo del tutto sdivinizzato la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta!”

Mattia Bosco. Fiori violenti: fototropismo verso la forma, Atipografia Associazione Culturale, Arzignano (VI) Foto Luca Peruzzi (veduta dell'allestimento site-specific)

Come si muove il gesto dello scultore? Che rispetto e cura deve avere nel relazionarsi con le forme proposte dalla natura? Il tuo gesto e il tuo fare, del resto, dipendendone fortemente dalla dimensione temporale… Come la natura…
A questa domanda ti proprongo un testo che ho già scritto che entra bene nel merito: Brancusi diceva: “la scultura è l’acqua”. Aggiungerei che la scultura è tempo. Il lento lavorìo dell’acqua sulle rocce, il tempo contenuto nelle rocce stesse, sedimentato, un diario del mondo in cui non manca un solo giorno, nemmeno un istante. La pietra è tempo allo stato solido, un libro con le pagine tutte saldate le une alle altre. La scultura è un modo di affrontare questa chiusura, di dissigillare il mondo, di scalfire la sua carne, di tentare una riscrittura là dove non possiamo leggere. Si scrive per cercare di leggere, di decifrare.
La scultura è tempo perché dispiega le sue risorse, i suoi mezzi, nel tempo. Solo col tempo si conquista il tempo, diceva T.S. Eliot. Attraverso il lavoro di scultura filtra all’interno della stratigrafia della pietra il segno dell’uomo, sovrascrivendo i suoi significati. Il tempo della pietra accoglie nella sua memoria il tempo dell’uomo, e come ci si ricorda delle cose più recenti dimenticandosi delle più lontane, quando guardiamo una scultura percepiamo la sua forma, la sua superficie, dimenticando che quella superficie ha un profondo sotto di sé, la pietra: il tempo del mondo.
Forse quando Brancusi diceva che la scultura è l’acqua voleva suggerire un approccio paziente, profondo, che portasse la mano a entrare in pieno contatto, ad aderire alla pietra come la lambisce l’acqua. Ma se la scultura è l’acqua vuol dire che l’acqua rimane anche quando l’opera è fatta e l’acqua è evaporata. Sulla pietra resta il segno di ciò che ha lavorato come l’acqua, del suo infaticabile potere corrosivo, della sua dynamis. La scultura è ciò che evapora, quello che resta è il significato di un segno scomparso.
Il tempo passato, il tempo presente, il tempo futuro: la pietra, l’uomo, il robot. Questi sono gli scalpelli che uso.

Dopo questa mostra quali progetti ti attendono nell’immediato futuro?
A giugno partecipo a una mostra di Haroon Mirza al Tinguely Museum di Basilea con due sculture in Portoro che sto realizzando a Carrara presso lo Studio Nicoli, frutto di una collaborazione tra me e lui, e sempre a giugno avrò una personale al Museo Diocesano di Milano, nella quale farò convergere le tre linee di ricerca che sto seguendo, con sculture in pietra, legno e ceramica.

Mattia Bosco. Fiori violenti: fototropismo verso la forma
con il patrocinio di Comune di Arzignano

21 marzo – 23 maggio 2015

Atipografia Associazione Culturale
Piazza Campo Marzio 26, Arzignano (VI)

Orari: da mercoledì a domenica 15.00-20.00; lunedì e martedì su appuntamento
Ingresso con tessera associativa con validità annuale al costo €5.00 

Info: info@atipografia.it
www.atipografia.it

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