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FOLIGNO (PG) | CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea | 24 marzo – 30 settembre 2018

Intervista a GIUSEPPE STAMPONE di Matteo Galbiati

Al CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno (PG) abbiamo incontrato Giuseppe Stampone (1974) che, con Ugo La Pietra (1938), condivide gli spazi del museo umbro in un progetto che li vede confrontarsi in due personali indipendenti, pur in stretto dialogo. Abbiamo posto all’artista alcune domande, questo il report della nostra lunga conversazione:

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Global Dictature/1, 2012, penna Bic su carta 20 elementi, 48x42 cm ciascuno Courtesy Prometeogallery e l’artista, Collezione Calabresi, Roma - Cortona), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Global Dictature/1, 2012, penna Bic su carta 20 elementi, 48×42 cm ciascuno Courtesy Prometeogallery e l’artista, Collezione Calabresi, Roma – Cortona), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

La tua personale ha un titolo particolare. Ce lo spieghi? Come si lega ai contenuti proposti?
L’arte, oggi, ha una responsabilità etica prima che estetica. Ho scelto di intitolare la mia personale Perché il cielo è di tutti e la terra no? partendo dal presupposto che ci siamo dimenticati che il cielo simboleggia qualcosa di universale che sottende tutte le nostre differenze. Quando l’umanità è apparsa sullo scenario terrestre ha compiuto un gesto primordiale e stupefacente, ha alzato lo sguardo dal fango e ha guardato il cielo, come scriveva Wilde. Un gesto che, oggi, rappresenta l’antitesi fisica dell’azione quotidiana, dato che siamo tutti – me compreso – impegnati a tenere il capo chino su uno schermo, su un computer, su uno smarthphone. Questo ci fa assumere inevitabilmente un atteggiamento di chiusura, io voglio invitare il fruitore a compiere nuovamente un gesto di apertura. Sollevare lo sguardo e guardare lo spazio infinito del cielo che accomuna tutti gli esseri umani. Indipendentemente dalle differenze antropologiche, culturali, fisiologiche, il colore della pelle, se siamo nati in Michigan o in Papuasia, quando il nostro sguardo è rivolto al cielo decidiamo di essere tutti e nessuno. Al contrario, quando poggiamo i nostri piedi sulla terra, lo facciamo sempre sulla terra di qualcuno, che sia la nostra o quella di un altro. Il cielo non conosce la proprietà privata o la gerarchia di appartenenza.
Tutti possono alzare lo sguardo verso cielo, ma non tutti possono camminare, abitare, vivere in qualsiasi luogo della terra.
La mia intenzione è quella di tornare all’immaginazione e il cielo è il luogo d’eccezione per i sognatori, ma non uso il termine sognatore nella sua accezione più romantica e forse un po’ qualunquista del termine, come colui che guarda in alto, sopra di sé, senza temere il nuovo, verso inedite meraviglie e che si prende gioco di un sistema che ristagna. Come il sistema dell’arte omologato e manieristico, che strizza l’occhio ad uno stile consolidato e poco rischioso che ha esaurito i suoi feticismi legati alla produzione di oggetti di qualcosa di già visto, già vissuto. Forse cambiano le forme, ma i contenuti rimangono gli stessi, come in un terribile déjà-vu. Come ha commentato ironicamente Enzo Cucchi definendoli il ready made del rest made, del rest made, del rest made… Per fortuna c’è sempre qualche esempio positivo in questo nostro mondo come Tomàs Saraceno, Francis Alys, Ryan Trecartin.

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Linea retta finita, 2015, installazione interattiva, mini camion elettrico, struttura di legno, telecomando, 300x20x30 cm Courtesy dell'artista e di Prometeogallery di Ida Pisani, Milano - Lucca), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Linea retta finita, 2015, installazione interattiva, mini camion elettrico, struttura di legno, telecomando, 300x20x30 cm Courtesy dell’artista e di Prometeogallery di Ida Pisani, Milano – Lucca), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Hai parlato di temi chiave della tua ricerca che questo progetto mette in risalto: quali sono? Come li può leggere il pubblico?
Sebbene io sia legato al recupero del fare, il mio approccio all’arte è un approccio concettuale, pertanto non esiste, da parte mia, una ragione manieristica legata al concetto del fare intesa come il bel fare, piuttosto è un’urgenza sempre più incombente di dare una forma (fare) ai propri pensieri. Questa azione fattiva nutre l’esigenza di un tempo preciso. Un tempo reale, che non deve subire l’accelerazione imposta dal mercato, da internet e dal nuovo villaggio globale. Uno spazio-tempo all’interno dell’opera determinato innanzitutto dalla dilatazione del tempo stesso. Il fare che implica un tempo di realizzazione che ci fa recuperare il nostro tempo intimo. Warhol si definiva una macchina, io una fotocopiatrice intelligente che, però, fa una sola copia. Quando scelgo un’immagine globale, un’immagine presa da Internet, l’importante non è l’appropriazione dell’immagine in sé, ma l’appropriazione del tempo che impiego a riprodurre quell’immagine.
Io sono per il recupero del made in, del ri-fare. L’artigianalità non è più un fatto manieristico, ma concettuale. Se ti chiedessi di fare un vaso e, ipoteticamente, tu ci impiegassi un’ora e se poi lo chiedessi a qualcun altro e quest’ultimo ci mettesse sei mesi, quei sei mesi implicano il tempo per riscoprire la storia di quell’oggetto, la memoria, conoscerne il materiale, ma sopratutto dare qualità attraverso il giusto tempo dilatato alla formalizzazione del pensiero. Quindi questo significa prendersi il proprio tempo per fare le cose con un’attenzione nuova. Vedrei molta più rivoluzione in un gesto simile piuttosto che rispondere violentemente a questa dittatura globale legata ad un modo di vivere troppo frenetico, veloce e ossessivo. Siamo la generazione-sommario, ci basta leggere l’indice per dire di aver letto il libro, guardiamo il trailer e pensiamo di aver visto il film, compriamo il posacenere con la stampa di Van Gogh e raccontiamo che siamo esperti d’arte, questo è possibile perché l’approssimazione viene incoraggiata come un valore, un sapere orizzontale, ma mai verticale, un sapere da fast-food. Dobbiamo ricominciare a dedicare il giusto tempo alle cose che facciamo e ai contenuti che assorbiamo. 

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Dittatura, 2012, penna Bic su carta 20 elementi, 48x42 cm ciascuno Courtesy Prometeogallery e l’artista, Collezione Calabresi, Roma - Cortona), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (Dittatura, 2012, penna Bic su carta 20 elementi, 48×42 cm ciascuno Courtesy Prometeogallery e l’artista, Collezione Calabresi, Roma – Cortona), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Ti sei definito “una fotocopiatrice intelligente”, una definizione particolare per un artista, cosa intendi?
Ognuno di noi, ogni giorno, viene bombardato da milioni di immagini, come possiamo comprenderne il significato, il contenuto di queste immagini se non abbiamo il tempo materiale per osservarle?
Come una fotocopiatrice intelligente, estrapolo dei file da Internet, quindi file liquidi, iconici e li ricopio tali e quali. Ricopiandoli in modo uguale, trasformo la maniera in concetto, perché rifare il file, innanzitutto, trasforma un’immagine iconica da liquida a solida. Si badi al semplice dato di fatto che un file pescato dal Web, quindi che chiunque potrebbe trovare e decidere di stampare infinite volte, io lo rifaccio come un pezzo unico, disegnandolo con la penna Bic. Rifaccio un Mao, una guerra o altri drammi sociali del mondo. Non mi interessa confrontarmi con archivi storici, voglio creare dei nuovi archivi, attuali e contemporanei, archivi che possano raccontare il mio tempo, il mio vissuto e non quello di una generazione passata, che ha affrontato, sì, delle sfide, sicuramente diverse dalle mie.
Sarebbe riduttivo e semplicistico dire che si tratta di mera gratificazione estetica, c’è più un godimento fisico. Nell’attimo in cui disegno, rallento il mio tempo e dinnanzi ad Internet e alla globalizzazione reagisco e mi riapproprio della mia intimità e del mio tempo, ottenendo in questo modo anche una gratificazione non solo fisica, bensì mentale.
Riappropriarsi del proprio tempo, rallentarlo, goderselo, ti permette di riflettere su qualsiasi azione tu stia (o non stia) per compiere. Credo che sia inevitabile rimanere coinvolti nella frenesia dello spazio-tempo contemporaneo, la dilatazione del tempo ti ridà, ti fa ri-conoscere, ti riporta all’Archè. E riprendersi il proprio tempo attraverso la dilatazione significa riappropriarsi della propria vita, avere il tempo di decidere ma soprattutto di scandire ogni passaggio.
A questo proposito, faccio sempre l’esempio della cerimonia del tè: un rito che prende un’estetica del quotidiano, come quella di bere il tè, e la eleva ad opera d’arte. Un maestro giapponese della cerimonia del tè, ripete sempre le stesse azioni per trent’anni ed è proprio la ripetizione che conduce alla perfezione.
Succede lo stesso nel disegno, ogni giorno, quando copio, compio questo gesto quotidiano e questo gesto si trasforma in una sorta di mantra per tentare di raggiungere la perfezione. È interessante, parlando proprio del rito del the, le diversità fra Occidente ed Oriente.
Si pensi che in Europa, nel 1400, l’uomo voleva adattare la natura a sé, tutto è possibile all’uomo, mentre nello stesso periodo storico, in Oriente, l’uomo si voleva adattare alla natura.

Giuseppe Stampone, P & W, Peace & War, 2014, penna Bic e smalto su carta, installazione, dimensioni variabili, 114 elementi, 50x40 cm ciascuno Courtesy l’artista e Prometeogallery di Ida Pisani, Milano (dettaglio)

Giuseppe Stampone, P & W, Peace & War, 2014, penna Bic e smalto su carta, installazione, dimensioni variabili, 114 elementi, 50×40 cm ciascuno Courtesy l’artista e Prometeogallery di Ida Pisani, Milano (dettaglio)

Ci sono diverse opere e installazioni ce le riassumi brevemente, anche nei loro significati?
Mi piace questa domanda. Sicuramente sapresti rispondere a questa domanda molto meglio di me e sicuramente daresti al lettore una visione più lucida e più distaccata emotivamente. Non amo quando un’artista parla nello specifico di alcuni suoi lavori, mi fa tornare in mente il concetto di giustificazione.
Mi fa tornare in mente quelle grandi mostra internazionali dove, come ho spiegato precedentemente, al fianco del lavoro c’erano questi grandi ed ingombranti fogli illustrativi che avevano il fine di spiegare e giustificare l’opera. La mostra va semplicemente vista e sicuramente ci saranno immagini che sapranno dar voce in maniera più (o meno?) chiara alle mie intenzioni.
Non a caso, mi piace definire il fruitore spettatore contenuto perché ognuno farà propria la lettura dell’opera a seconda della propria forma mentis. Personalmente chiedo al fruitore solo di fare allo stesso tempo un’esperienza fisica (corpo), mentale (testa), emotiva (cuore) all’interno della mia architettura.
Amo moltissimo usare i più svariati media, li scelgo per ogni caso specifico, per dare forma al tipo di linguaggio personale che ho intenzione di utilizzare quella specifica volta.
Sono letteralmente ossessionato dal ‘400 fiorentino (è il tema sul quale mi sono laureato e lo studio ancora oggi dopo venticinque anni) e la figura che mi appartiene di più, come forma mentis e come artista, è indubbiamente Piero della Francesca. Secondo il dizionario, un’ossessione è un pensiero che si ripresenta costantemente a qualcuno. Il lavoro di Piero della Francesca mi si ripresenta costantemente e quotidianamente. Un pittore, uno scultore, un architetto; nella sua pittura c’era la plasticità scultorea di Donatello, la figurazione concettuale di Masaccio e l’architettura di Brunelleschi, non solo, era anche un grande teorico. Pensiamo semplicemente al suo De prospectiva pingendi oppure alla passione per il suo studio sui cristalli.
Non sottovaluto la produzione teorica di Piero della Francesca, come non è da sottovalutare quella di Leonardo o di Alberti perché è questo il momento in cui nasce la figura dell’artista rinascimentale che non è più un bravo artigiano, bensì un intellettuale.
Sono anche gli anni in cui nascono due strumenti, ai quali sono personalmente molto legato: la prospettiva e il carattere a stampa di Gutenberg. Considero questi due strumenti le due armi di distruzione totale più pericolose che l’uomo abbia mai creato. La prospettiva toglie l’esperienza empirica all’uomo: ferma lo spazio esistenziale per concettualizzarlo. All’interno del quadro prospettico rinascimentale, la realtà non è più una narrazione orale tramandata di genitore in figlio, ma è una visione politica dettata dai committenti. Allo stesso modo, il carattere di Gutenberg trasforma a proprio piacimento l’esperienza.

La tua è un’arte partecipata, condivisa, aperta e dialogante, ricusi la definizione di artista in senso stretto, dichiari di non saper dipingere, di non saper fare tecnicamente… Eppure la tua pratica accoglie lo sguardo dell’altro e lo fa riflettere in modo profondo, segno di una fondatezza chiara di pensiero e di visione. Come ci riassumi la tua attitudine artistica ed intima? Dove guardano i tuoi occhi e la tua mente?
Non faccio nulla di speciale, cerco solo di respirare a pieni polmoni quando parlo di arte. Quando disegno o giro un corto, non faccio altro che respirare bene. Forse respirare bene significa – di nuovo – semplicemente prendersi il proprio tempo.

La mostra non è di facile lettura, occorre impegno e capacità di approfondire: come pensi reagisca il pubblico? Come deve essere percepita? Che spunti, aiuti, indirizzi o chiavi di lettura dai?
Questa domanda mi piace moltissimo ed è determinante in questa nostra chiacchierata, però ti rispondo facendoti un’altra domanda: quando Raffaello ha dipinto la Stanza della Segnatura, in Vaticano, tutti quelli che si sono trovati di fronte a La Scuola di Atene, conoscevano il Neoplatonismo e l’esperienza empirica aristotelica? Sicuramente non molti, tuttavia sono sicuro che quelle stanze fossero talmente magnifiche – allora come oggi – che, anche per colui che non possedeva le chiavi d’accesso per codificare i contenuti delle opere raffaellesche, sarebbe stato impossibile rimanere inermi di fronte a quello spettacolo.

La mostra condivide lo stesso periodo espositivo con la personale di Ugo la Pietra Istruzioni per abitare la città. Quali spunti condividi con lui? Come si legano i due progetti che presentano artisti dalla connotazione e dalla storia differente?
Con Ugo condivido la figura dell’essere artista sia fuori che dentro le mura. Sono entrato in contatto con lui alcuni anni fa, in tempi meno sospetti potremmo dire (era dagli Anni ‘70 che nessuno parlava più di lui, fortunatamente ora si sono accorti dell’errore. Spesso, chi è in anticipo sui tempi, viene ripescato dopo qualche decennio e ci si rende conto che si ha di fronte un vero artista), quando lo portai con me a Parigi, durante Fiac.
Partecipò ad un mio progetto, Studio Visit, dove avevo creato un’architettura con tavoli, sedie, mobili, un vero e proprio studio d’artista, il mio studio d’artista, e vi ospitavo Ugo come artista di un’altra generazione ma con il quale avevo riscontrato delle assonanze nei nostri lavori. Come le sue Mappe tattili degli Anni ‘70 e le mie Mappe partecipative, oppure con il suo recupero dell’artigianato degli Anni ‘80 e il mio Made in Italy. Non è solo una questione di temi, ma anche di pluralità dei media usati. Infine nutriamo entrambi un grande amore per l’architettura anche se lui è un vero architetto, io mi sento un architetto mancato.

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (L'origine du monde, 2017, penna Bic nera su tavola, 30x40 cm , Collezione privata, Napoli ), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Giuseppe Stampone. Perché il cielo é di tutti e la terra no?, veduta della mostra (L’origine du monde, 2017, penna Bic nera su tavola, 30×40 cm , Collezione privata, Napoli ), CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno (FG)

Etica, politica, valore e impegno sociale sono imprescindibili elementi per la tua ricerca come per la sua…
Tutte le mie opere, essendo figlio di emigranti nato in una banlieue francese, sono rivolte prima di tutto ad un fatto etico più che estetico. Sono convinto che, in realtà, tutta l’arte sia politica, ma, attenzione, non in senso descrittivo. Credo sia più politico l’orinatoio di Duchamp o il taglio di Fontana che una rappresentazione didascalica della violenza.
Forse, il termine migliore che mi viene in mente è artista attivista. Ogni uomo si manifesta per le sue azioni ma ogni artista si manifesta anche con le proprie forme e i propri contenuti.
La mia ricerca artistica si manifesta e trova la sua sintesi più riuscita nel concetto di Global Education, dalle installazioni multimediali e interattive a monumentali progetti di arte pubblica e partecipativa, come, allo stesso tempo, provo un’urgenza pratica attraverso il medium della penna Bic nelle mappe e negli abecedari.
Il mio metodo è basato sulla rete di relazioni, collaborazioni, connessioni e condivisioni che si sviluppano col mio network Solstizio Project. Dato che la Global Education è un progetto di un mondo in cui la conoscenza diventa sempre più connettiva, pertanto ho cercato di dare un senso realizzando abecedari in penna Bic – strumento scolastico per eccellenza – che giocano su dei topics, dei tags, dei simboli e delle immagini popolari, spesso inerenti fatti storici e di cronaca contemporanea, a cui seguono mappe concettuali, slogan, installazioni interattive e tours in diversi paesi del mondo, come in quelli che ho organizzato in occasione delle Biennali di Kochi e de La Biennale di Habana (2012) o all’ultima Biennale di Architettura di Seoul (2017).
In queste opere invito il pubblico a meditare su questioni fondamentali come le migrazioni, l’accesso alle risorse idriche e la guerra attraverso progetti come Greetings from… (2010 – in corso), Architecture of Intelligence (2007 – in corso), Acquerelli per non sprecare la vita (2006-2012), Why? (2007 – in corso)…
È la grande storia associata alle nostre storie personali. Queste vengono tradotte in abecedari, una griglia alfabetica di immagini e parole create con le assemblee partecipative in cui si decide quale parola associare a una determinata immagine; ad esempio l’immagine di un lingotto d’oro viene abbinata all’H di H2O, oppure l’immagine di Gesù alla S di Superman. Uso il format dell’ABC perché desidero riparare l’alfabetizzazione dittatoriale a cui siamo stati assoggettati. Una volta che le lettere sono pronte le espongo a modi slogan, come Arbeit Macht Frei (2012), Hasta la Victoria Siempre (2011) o Yes We can (2012). Con le stesse lettere creo, inoltre, guide turistiche che rompono l’immaginario massificato di determinati luoghi riportando percorsi tracciati dagli abitanti coinvolti. Oltre 100.000 immagini compongono il dizionario della Global Education, dove ogni immagine è inserita in ordine alfabetico e corrisponde ai singoli partecipanti. Tutto ciò nasce da un’esperienza personale pregressa.

Giuseppe Stampone, Saluti da L'Aquila, penna Bic su carta, 15 moduli, 40x34 cm ciascuno, Collezione La Gaia Busca, Cuneo Foto di repertorio

Giuseppe Stampone, Saluti da L’Aquila, penna Bic su carta, 15 moduli, 40×34 cm ciascuno, Collezione La Gaia Busca, Cuneo Foto di repertorio

Adesso dopo questa fatica cosa ti aspetta? Altri e prossimi impegni?
Quando si avvicina la conclusione di un grande progetto, come questo di Foligno, arriva la depressione post partum! Ovviamente è una battuta, ma penso renda l’idea del sentirsi svuotati da qualcosa che per molte settimane ha catalizzato tutte le tue energie e il tuo tempo.
I progetti adesso sono tanti, posso parlarti di uno di quelli a cui tengo di più, sia per il contenuto ma anche per il tempo che vi ho investito, è la chiusura di un libro sull’arte a cui sto lavorando da quattro anni insieme a Giacinto Di Pietrantonio. Penso di poter finire gli oltre 300 disegni entro la fine di quest’anno, poi ci sarà l’apertura della mia scuola Global Education sotto il mio amato Gransasso, un progetto al quale sto lavorando ormai da 15 anni. Mi fermo, ti ho già detto troppo, solitamente rispondo a queste domande sul futuro con un ironico: “cercherò un’opzione per uscirne vivo!”.

Giuseppe Stampone. Perché il cielo è di tutti e la terra no?
a cura di Italo Tomassoni, Giacinto Di Pietrantonio e Giancarlo Partenzi

24 marzo – 30 settembre 2018

CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea
Via del Campanile 13, Foligno (FG)

Orari: venerdì 16.00-19.00; sabato e domenica 10.30-12.30 e 16.00-19.00
Ingresso €5.00; biglietto cumulativo con il secondo polo dell’ex Chiesa della Santissima Trinità in Annunziata €6.00

Info: +39 074 2353230
info@centroitalianoartecontemporanea.it
ciacfoligno@gmail.com
www.centroitalianoartecontemporanea.com

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