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Intervista a LUCA VITONE di Luisa Castellini*

L’incontro inizia a Genova con il mio smarrimento, vicino casa, complice uno dei tanti percorsi impossibili imposti dal navigatore, con la retta via indicata non da un passante, ma da un altro programma. Trovo l’evento curioso – nella mente ho le sue mappe con i toponimi cancellati e le carte montate verso la parete – poiché parleremo di identità, origini e confini, di senso e comprensione dei luoghi attraverso l’opera d’arte. Dove questa è dispositivo, ogni volta inatteso perché distillato con quanto necessario, sia questo immagine, oggetto, cibo, canto o polvere, comunque lontano dalla sentenza e vicino alla domanda. Alla narrazione e a una storia, precisa quanto il luogo cui appartiene. «In un certo senso rifletto sempre sulla fine di certe ideologie o sugli eventi che ci hanno traghettato fino a oggi», dove questi possono essere la P2 in guisa di luce popolare e di stele o l’eternit scolpito nell’invadenza di un odore, una raccolta di documenti, interviste o musiche tradizionali come quelle delle minoranze in conflitto con i governi centrali che approdano al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea insieme a una performance di trallalero il 14 ottobre. Su queste note, un possibile racconto dell’antologica a Milano.

Luca Vitone, Souvenir d’Italie (lumières), 2014,  installazione luminosa, 5 elementi, dimensioni ambientali.  Courtesy: l’artista, ON, Bologna, Galerie Nagel Draxler,  Berlin / Köln, Galleria Pinksummer, Genova, Galerie Michel Rein, Paris / Bruxelles. Foto: Anna De Manincor

Luca Vitone, Souvenir d’Italie (lumières), 2014,
installazione luminosa, 5 elementi, dimensioni ambientali.
Courtesy: l’artista, ON, Bologna, Galerie Nagel Draxler,
Berlin / Köln, Galleria Pinksummer, Genova, Galerie Michel Rein, Paris / Bruxelles. Foto: Anna De Manincor

Come è strutturata la mostra al PAC?
L’esposizione ripercorre buona parte dei miei lavori. Il tutto all’interno di una mia opera germinale, una sorta di archetipo da cui mi sono mosso con la mia prima personale (la planimetria in scala 1:1 della galleria Pinta a Genova nel 1988, ndr), ripensata per il PAC e un grande intervento ambientale con la polvere che mette alla prova la percezione dello spettatore. Prima e ultima opera creano una sorta di “scatola”, un mio spazio-tempo in cui si articola il percorso.

Tutto inizia all’esterno con un’opera che catapulta nella memoria collettiva, in che modo?
La memoria è spesso gestita dal potere. Souvenir d’Italie parla di questo, è una luminaria esposta a Bologna nel 2014: tre simboli antichi che in prospettiva formano quello della P2, un’organizzazione che ha influito sulla vita e la coscienza dei cittadini. L’opera è stata inaugurata a metà dicembre: ha suscitato un acceso dibattito, solo in cronaca, che si è spento col Natale. Non si è discusso di arte, ma se delle luminarie giudicate offensive si potevano considerare un’opera d’arte e quindi di censura. Il leitmotiv generale giudicava inelegante parlare di tragedia prima delle festività: un’esperienza interessante in cui la banalizzazione del discorso tentava la spettacolarizzazione prima della comprensione del gesto. L’opera dialoga all’interno del PAC con una lapide in carta dedicata alla Seconda Repubblica, che sotto una frase retorica raccoglie gli affiliati della loggia P2. Lavorare sulla storia equivale ad operare sulla memoria con le sue rimozioni e manomissioni, così è accaduto anche con l’eternit.

Luca Vitone, Souvenir d’Italie (Fondamenti della Seconda Repubblica), 2010, veduta dell’installazione presso Galerie Michel Rein, Parigi; 6 pannelli, stampa digitale su carta,  cm 500x600. Courtesy: l’artista, Galerie Michel Rein, Paris / Bruxelles. Foto: Florian Kleineren

Luca Vitone, Souvenir d’Italie (Fondamenti della Seconda Repubblica), 2010, veduta dell’installazione presso Galerie Michel Rein, Parigi; 6 pannelli, stampa digitale su carta,
cm 500×600. Courtesy: l’artista, Galerie Michel Rein, Paris / Bruxelles. Foto: Florian Kleineren

La tua ricerca si articola tra oggetti, azioni e situazioni dove la visione può abdicare ad altri sensi: come nascono le esperienze con le polveri e l’olfatto?
Per me è importante ragionare sul linguaggio. Le opere sono dispositivi che vogliono riflettere su cosa sia l’arte, come possa evolvere o come un’idea si possa formalizzare in un oggetto artistico. Negli anni ho riflettuto sullo statuto della scultura, che tradizionalmente occupa uno spazio, così come sull’idea di pittura usando dei non pigmenti (la polvere di spazi chiusi, gli agenti atmosferici di Roma e Berlino, la cenere di un termovalorizzatore milanese, ndr). A un certo punto ho pensato che la scultura potesse funzionare anche nella sua invisibilità. Per il Padiglione Italiano alla Biennale di Venezia del 2013, ho lavorato sulla tragedia dell’eternit evocandolo con un’essenza di rabarbaro all’inizio piacevole ma poi sempre più invadente e fastidiosa. L’eternit come metafora del modernismo e del XX secolo, che si trasforma da materiale risolutivo dell’edilizia a oggetto tragico, col tempo portatore di morte e, infine, bandito negli anni ’80. La non visibilità come metafora di un pericolo invisibile. Una scultura olfattiva che occupava lo spazio oltrepassandolo a seconda delle correnti d’aria. Questa esperienza torna al PAC con Imperium, l’odore del potere.

Berlino è una città importante nella tua geografia personale. Come è entrata nel tuo lavoro?
L’ho conosciuta nell’85 in autostop, poi nel ’96 con una borsa di studio. Nel 2001 la galleria tedesca con cui lavoro si è trasferita a Berlino, che stava diventando sempre più rilevante per la scena contemporanea. Adesso ci abito da 7 anni. Al PAC, sempre per Imperium, ci sono quattro monocromi realizzati con le polveri di altrettanti luoghi simbolo del potere tedesco: Corte Suprema di Karlsruhe, Banca Centrale di Francoforte, Parlamento e Pergamonmuseum di Berlino.

L’identità culturale è assunta in un’installazione con le bandiere: quali hai scelto?
Quelle anarchiche, nere e rosse. Alcune seguono il disegno originario ottocentesco, altre recano delle citazioni che raccontano del rapporto tra noi e il mondo e altre ancora sono nere con una ruota rossa centrale proveniente dalla bandiera del popolo rom e sinti. L’ideale anarchico è un pensiero di totale libertà spesso malinteso con un significato di confusione e disordine, benché ci siano testi chiarissimi che ci fanno intuire come il modo migliore per esprimerlo sia un processo di consapevolezza del nostro esistere rivolto all’esterno.

Luca Vitone, Wide City, 1998, veduta della mostra presso Open Space, Milano; modello in legno, carte geografiche, vernice ad acqua, 180 stampe fotografiche a colori montate su alluminio, mappe turistiche di Milano; modello Torre Velasca cm 140x60x37; stampe fotografiche cm 10x15 ognuna. Collezione Museo del Novecento, Milano. Foto: Giulio Buono

Luca Vitone, Wide City, 1998, veduta della mostra presso Open Space, Milano; modello in legno, carte geografiche, vernice ad acqua, 180 stampe fotografiche a colori montate su alluminio, mappe turistiche di Milano; modello Torre Velasca cm 140x60x37; stampe fotografiche cm 10×15 ognuna. Collezione Museo del Novecento, Milano. Foto: Giulio Buono

Dalle bandiere ai confini a bordo della tua opera più autobiografica…
Ultimo viaggio è la storia personale di un viaggio romantico compiuto nel ’77 a 13 anni con la famiglia, da Genova al Golfo Persico. È stata l’ultima occasione di fare un certo tipo di viaggio: il lento voyage, via terra, attraversando dei confini che da lì a poco non sarebbero più stati percorribili a causa della rivoluzione khomeinista e l’invasione dell’Afghanistan. Una riflessione sulla possibilità di muoversi liberamente, oggi paradossalmente minore tra confini più stretti e nuove paure.

Come prosegue la mostra al Museo del Novecento e al Diocesano?
Nel primo è esposto Wide City, opera del ’98 acquisita dalla città, che ne documenta il cambiamento con le ondate migratorie. Al Diocesano, la mostra è totalmente diversa in relazione a uno spazio già connotato, dove ho inserito otto opere, dalla foto della recita scolastica del ’74 accanto a una mappa fino al cerchio di carte geografiche fotocopiate e poi ritagliate che rendono impossibile recuperare un tracciato (compreso quello creato idealmente per questa mostra, ndr).

*Tratta da Espoarte #99.

Luca Vitone è nato a Genova nel 1964. Vive e lavora a Berlino.
www.lucavitone.eu

Eventi in corso:
Io, Luca Vitone
a cura di Luca Lo Pinto e Diego Sileo

PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Museo del Novecento, Chiostri di Sant’Eustorgio, Milano
13 ottobre – 3 dicembre 2017
www.pacmilano.it

Da io a noi: la città senza confini
Palazzo del Quirinale, Roma

23 ottobre – 17 dicembre 2017

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