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MILANO | Pirelli HangarBicocca | 15 ottobre 2020 – 21 febbraio 2021

di ALICE VANGELISTI

Nelle grandi Navate di Pirelli HangarBicocca prende vita un’esplorazione profonda, immersiva e magnetica nel cuore dell’estetica e della poetica di Chen Zhen (Shanghai, 1955 – Parigi, 2000), protagonista assoluto di Short-circuits, la grande retrospettiva che lo spazio milanese dedica all’artista cinese, dando vita a un viaggio ideale tra Oriente e Occidente, tra tradizione e modernità. Si svolge così un percorso senza un ordine di visione prestabilito che traccia gli ultimi anni di ricerca dell’artista attraverso l’esposizione di una ventina delle sue installazione più significative. In queste, Oriente e Occidente si incontrano, dialogano e si scontrano per dare vita a un universo creativo fatto di “cortocircuiti” attraverso i quali l’artista ha cercato di superare il divario tra le diverse espressività tipiche di ciascuna cultura. Idee ed elementi sembrano infatti collidere tra di loro, ma sono abbinati da Chen Zhen in interventi magistrali di sintesi estetica in grado di aprire a ulteriori connessioni e riflessioni. Un processo che ha portato l’artista ad accostare questi diversi oggetti della vita quotidiana provenienti da differenti culture per dare vita a composizioni che li privano della loro funzione originaria in modo da svelare una riflessione profonda sulla complessità dell’esperienza umana e sul conseguente concetto di contaminazione. In questo senso, Chen Zhen ha saputo coniugare all’interno delle sue grandi installazioni dal forte impatto visivo e di significato una serie di connessioni che ben identificano la complessità del mondo contemporaneo attraverso l’indagine di temi chiave nella sua intera produzione come la globalizzazione, il multiculturalismo, il consumismo e il loro rapporto con la tradizione.

Chen Zhen, Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000, veduta dell’installazione e performance, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2020 – Pinault Collection © Chen Zhen by ADAGP, Parigi – Courtesy Pirelli HangarBicocca – Photo Francesco Margaroli

Si tratta di un dialogo costante e proficuo che caratterizza tutta la sua ricerca, il quale si concretizza attraverso una serie di accostamenti insoliti per dare una forma visiva alla contaminazione delle differenti culture. È qui infatti che sta il cuore della mostra – e più ampiamente della sua attività artistica: la silenziosa meditazione e il rigoroso minimalismo tipici della cultura orientale entrano in collisione con la forsennata serialità e l’eccessiva abbondanza rappresentativi del consumismo occidentale. Infatti, la sua produzione riflette il concetto di transesperienze – termine da lui stesso coniato: Chen Zhen aspira così a trovare una sintesi visiva, formale e ideologica che sappia inglobare in uno scambio fluido e constante le caratteristiche estetiche e culturali alla base del suo paese d’origine con quelle dei luoghi con cui è entrato successivamente in contatto. L’esperienza di vita dell’artista, nato in Cina ma trasferitosi poi in Francia, è in effetti fondamentale nello sviluppo della sua ricerca: la sua anima è divisa tra i due poli opposti del mondo, che emergono nelle sue installazioni attraverso un dualismo chiaro e potente, in cui si stratificano su più livelli la visione reale e la dimensione metaforica.
Questo aspetto di contaminazione di transesperienze è palese già dalla prima opera che si incontra entrando nella mostra: Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song) (2000) è una monumentale installazione composta da una serie di sedie, letti e sgabelli ricoperti di pelli di vacca e provenienti da luoghi, contesti e culture differenti. Un’opera che coniuga alla perfezione questo carattere di connessione propria dell’attraversamento multiculturale che anima l’esperienza umana, ma che allo stesso tempo va oltre alla sua struttura statica, presentandosi anche in una sua versione performativa. Infatti, la complessa composizione è pensata dall’artista come un grande strumento a percussione, che può essere attivato da danzatori, i quali, sfiorando e percuotendo le pelli di rivestimento tramite i movimenti del loro corpo, fanno sì che l’opera si configuri su ulteriori livelli di lettura: l’installazione diventa così un potente strumento in grado di evocare un’atmosfera di meditazione, ma al contempo anche la performance stessa richiama all’azione del massaggio tipico della medicina tradizionale cinese, alludendo in questo modo a temi legati alla cura del corpo e dello spirito.

Chen Zhen, Purification Room (dettaglio), 2000 – Courtesy Galleria Continua – Photo Sebastiano Pellion di Persano

Questo aspetto del corpo e della medicina, in rapporto anche ai concetti di malattia e guarigione – intese sia in senso fisico che spirituale – è fondamentale nella ricerca di Chen Zhen, in relazione anche in questo caso con la sua esperienza personale. Infatti, all’età di 25 anni gli venne diagnosticata una malattia autoimmune, che lo portò a trascorrere tre mesi in Tibet, dove condusse insieme a un gruppo di monaci uno stile di vita semplice e svincolato dalla dimensione materiale. Tale esperienza influì profondamente sulla sua visione artistica, portando all’interno della sua ricerca anche l’indagine sui diversi approcci messi in campo dalla medicina orientale e da quella occidentale. Tra le opere che approfondiscono questa dimensione si trova Crystal Landscape of Inner Body (Serpent) (2000), parte di una serie di dodici lavori ispirati ai segni zodiacali cinesi – in particolare quello esposto è riferito all’anno del Serpente – nei quali delle riproduzioni in cristallo dei principali organi del corpo umano sono disposte in maniera rigorosa e ordinata su una sorta di lettino medico di ferro e vetro. Per loro natura, gli oggetti di cristallo rifrangono la luce e allo stesso tempo riflettono l’immagine dell’ambiente circostante, evocando uno scambio continuo e costante tra ciò che sta all’interno e ciò che sta all’esterno del corpo, ma il materiale scelto dall’artista apre a un’ulteriore significato: la sua fragilità e la sua purezza richiamano a una condizione di precarietà propria della transitorietà effimera dell’essere umano.
Seguendo sempre il filo rosso della medicina, si inserisce Purification Room (2000), attraverso la quale l’artista si interroga sulla possibilità di purificazione dell’uomo e più in generale del mondo. Il visitatore è così accolto in un ambiente domestico monocromatico e da un forte aspetto post-apocalittico: le pareti della stanza e tutti gli oggetti che la affollano sono ricoperti da uno strato di argilla, individuata come elemento naturale in grado di purificare il mondo e preservare il presente. Da questo punto di vista, infatti, l’argilla sembrerebbe cristallizzare il tutto in un attimo senza tempo, annullando ogni potenziale spinta vitale, ma il mondo che Chen Zhen mette in scena è anche in grado di sprigionare un’energia curativa mediante l’azione della copertura, la quale innesca una sequenza di riflessioni sulla possibilità di decontaminare l’uomo e purificare così il mondo. Il tutto per raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza della propria spiritualità e del proprio corpo, recuperando in questo modo l’equilibrio con la natura e la società contemporanea che la cultura del consumismo sta man mano annullando.

Chen Zhen, Fu Dao/Fu Dao, Upside-down Buddha/Arrival At Good Fortune, 1997, veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2020 © Chen Zhen by ADAGP, Parigi – Courtesy Pirelli HangarBicocca e Galleria Continua – Photo Agostino Osio

Legata a quest’ultima tematica sociale è invece Fu Dao/Fu Dao. Upside-down Buddah/Arrival at Good Fortune (1997), la quale riflette sulle contraddizioni che caratterizzano i cambiamenti della Cina contemporanea, divisa tra un crescente slancio consumistico e una forte tradizione religiosa. In questo senso, infatti, la struttura dell’installazione richiama a quella di un tempio buddista – religione caratterizzata dall’aspirazione al distacco dai beni materiali – sulla quale si innestano una serie di fitti rami di bambù sospesi a copertura della struttura stessa. Tra queste fronde, spuntano inaspettatamente una serie di differenti oggetti di scarto, ai quali sono appese a loro volta delle statuette di Budda, poste però a testa in giù. Questa scelta non è casuale: infatti, il titolo si basa sugli ideogrammi cinesi che indicano l’espressione di “buona fortuna/arrivo della fortuna”, la quale è allo stesso tempo omofona di quella traducibile con “Budda capovolto”. L’artista segue così alla lettera il duplice senso del termine fu dao e coinvolge anche il visitatore stesso nell’azione ambientale in cui inverte le coordinate spaziali del sopra e del sotto. In questo senso, Chen Zhen approfondisce inoltre le riflessioni sull’uomo, sulla natura e sui valori della società contemporanea, la quale è vista sempre più lontana dallo spirito proprio del Buddismo: nascono così molti di quei “cortocircuiti” prodotti dalla rapida proliferazione dei beni di consumo di massa all’interno della società orientale.
Il rapporto tra Cina tradizionale e modernizzazione contemporanea sono alla base anche di Prayer Wheel – Money Makes the Mare Go (Chinese Slang) (1997), concepita come un grande ambiente immersivo che avvolge completamente il visitatore in una struttura rivestita di carta, al cui interno è collocata una ruota di preghiera, ispirata dalla permanenza dell’artista in Tibet e ricoperta da una serie di antichi abachi cinesi e calcolatrici. Il visitatore può interagire con la ruota di preghiera, la quale muovendosi riempie l’ambiente di un suono ripetitivo e cadenzato, che richiama quello tipico di un registratore di cassa. Anche in questo caso Chen Zhen evoca un duplice livello di significato: da un lato il movimento circolare della ruota di preghiera allude a una dimensione di spiritualità e ciclica trasformazione; dall’altro la componente delle calcolatrici richiama l’idea di valore tipica di una società in cui il capitalismo, che si configura come nuova “religione globale”, dà maggiore risalto alla componente monetaria rispetto all’indagine della propria interiorità.

Chen Zhen, Jardin-Lavoir, 1997, veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2020 © Chen Zhen by ADAGP, Parigi – Courtesy Pirelli HangarBicocca e Galleria Continua – Photo Agostino Osio

Ed è per tornare a una dimensione meditativa che Chen Zhen realizza Jardin-Lavoir (2000), allestita nell’ambiente alla fine del percorso espositivo, dando vita a quello che egli stesso definisce “un giardino di purificazione” attraverso l’introduzione dell’acqua all’interno dell’opera. Undici letti sono così riempiti da una serie di oggetti quotidiani, i quali giacciono sotto il pelo d’acqua, che gocciola inesorabilmente attivando un’atmosfera sonora profonda e riflessiva dettata dal ritmo continuo e cadenzato dettato dal flusso costante, evocativo anche di un meccanismo di terapia naturale del corpo umano, il quale si materializza in questi letti-contenitori di storie, memorie ed esperienze in cui l’identità individuale trascende la sua dimensione personale per accedere a un contesto più ampio e universale di purificazione.

Chen Zhen. Short-circuits
a cura di Vicente Todolì

15 ottobre 2020 – 21 febbraio 2021

Pirelli HangarBicocca
via Chiese 2, Milano

Orari: giovedì-domenica dalle 10.30 alle 20.30

Sulla base di quanto previsto dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli spazi di Pirelli HangarBicocca sono temporaneamente chiusi al pubblico fino a nuove disposizioni.

Info: +39 02 6611 1573
info@hangarbicocca.org
www.hangarbicocca.org

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