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NAPOLI | Museo Nazionale Archeologico | 14 novembre 2014 – 11 gennaio 2015

Intervista a GIOVANNI FRANGI di Micole Imperiali

Pittura, scultura, incisione, fotografia, installazione, video. Giovanni Frangi (Milano, 1959) è un artista che ha toccato tutti i mezzi espressivi e li ha fatti propri, dando consistenza alle mille voci di una Natura che torna nei suoi svariati volumi fino ad asciugarsi all’essenzialità della linea. Da lì il tratto, l’accenno, si rianimano attraverso gli occhi profondi dell’immaginazione che stimolano, sussurrando le infinite lingue dei mondi creati dalla sua arte.

Per la prima volta a Napoli, il Museo Nazionale Archeologico ospita la mostra dell’artista milanese Lotteria Farnese, a cura di Michele Bonuomo e Aurelio Picca, scegliendo come spazio da affidare alla serie di venti teleri di grandi dimensioni (sei metri per tre) il primo piano e, in particolare, l’ampia Sala della Meridiana che ospita l’ellenistico Atlante Farnese un tempo affiancato al celebre ciclo degli arazzi D’Avalos della prima metà del’500, ora al Museo di Capodimonte di Napoli.

Giovanni Frangi, Lotteria Farnese, veduta della mostra, Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Proprio come se si trattasse di arazzi contemporanei – stoffe di vari colori cucite tra loro su cui Frangi ha disegnato i paesaggi del suo Io creativo – i teleri riconfigurano uno spazio dalla spessa consistenza storica definendo nuovi percorsi apparentemente casuali fatti di pause, giravolte, passi in avanti e ritorni, sguardi d’insieme e analisi dettagliate, alternandosi tra il fronte e il retro degli stendardi, che tracciano un panorama per rivelarne alle loro spalle uno diverso, tutti in contrapposizione ma allo stesso tempo saldamente uniti tra loro nella denotazione di un insieme di opere in quanto opera unica. Abbiamo chiesto a Frangi di accompagnarci nella scoperta di questo suo mondo di cui ci ha indicato la via, tra rimandi a figure artistiche di riferimento e personalizzazioni che tracciano sentieri interpretativi da percorrere in piena libertà.

Giovanni Frangi: Rosso Adige, 2014, 300x460cm, Pastelli grassi su telaIn Lotteria Farnese ci sono due opere che sono un omaggio al duo artistico Gilbert & George, tanto da portarne il nome. Un richiamo che si rispecchia non solo nella loro produzione degli anni ’70 – caratterizzata da disegni su carta di grosso formato ottenuti dall’accostamento di più pannelli – ma anche nella concezione di allestimento, da loro considerato come parte integrante dell’opera e mezzo per sconvolgere lo spazio liberando l’opera stessa dalla sacralità del concetto di arte. Si tratta quindi di un riferimento che percorre l’intera mostra?
Il riferimento a Gilbert & George riguarda in particolare due dipinti, ma in questo caso è una scelta casuale. In realtà il vero riferimento riguarda l’adesione all’esperimento critico-espositivo cominciato da loro negli anni ’70, che per me resta un punto di riferimento fondamentale che tocca il concept dell’intera mostra. Quello che mi interessa non è ragionare su una singola opera, ma su un gruppo di opere che si esprime e si presenta come unità. In questo senso c’è un’aderenza con quanto fatto da loro tanti anni fa: Lotteria Farnese è in primis un lavoro concepito per la Sala della Meridiana e il suo spazio, è un intervento che acquista significato nell’insieme di opere disposte in maniera disarticolata all’interno della sala.

Giovanni Frangi, Lotteria Farnese, veduta della mostra, Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Cos’è nato prima nella tua mente, l’omaggio alla coppia di artisti o il collegamento con gli arazzi che erano conservati nella Sala della Meridiana del Museo Archeologico?
L’idea degli arazzi nasce dal fatto che fino agli anni ‘50 nella Sala della Meridiana erano presenti gli arazzi D’Avalos dedicati alla Battaglia di Pavia, ora conservati al Museo di Capodimonte. Questo mi ha suggerito l’idea di lavorare sfruttando tessuti cuciti insieme su cui poi ho disegnato. Il riferimento invece a Gilbert & George torna spesso nella mia arte, c’è sempre stato.

Giovanni Frangi, Fondale, 2014, 300x600cm, Pastelli grassi su tela

Lotteria Farnese ha fatto la sua prova generale al MAXXI, quando a maggio in occasione della tua mostra Mollate le vele hai esposto due dei teleri presenti oggi nell’esposizione napoletana. Cosa ti ha spinto a dare questa “anteprima”?
Nel momento in cui ho fatto l’installazione al MAXXI, Lotteria Farnese era ancora un embrione, stava prendendo forma. L’opera romana nasce in realtà da quanto anche lì mi era stato suggerito dal luogo, dallo spazio. Nella sala Corner che mi era stata concessa per l’installazione, ci sono due grandi colonne di ferro che sostengono il soffitto e lì mi è venuta l’idea di creare una vela tra esse. Poi ho pensato che fosse un’idea forte, che avrebbe potuto avere uno sviluppo. Questo per spiegare una questione sostanziale e cioè che l’opera d’arte vive certamente anche di per sé, ma la sua potenza poetico-creativa risulta più efficace quando è legata allo spazio che l’accoglie, come nel caso del MAXXI e del Museo Archeologico. La Sala della Meridiana è di dimensioni enormi per cui creare un’opera ad hoc è abbastanza complicato. Da qui lo scegliere una strada che creasse un contrasto con “la densità” anche storica del luogo, scegliendo di seguire una via più lieve, più fluida. Il mio lavoro precedente era supportato da una tecnica differente ma in questo caso mi è sembrato interessante creare un contrasto del genere.

Giovanni Frangi: Russeau, 2014, 300x460cm, Pastelli grassi su tela
I tuoi teleri fanno in un certo senso pensare a degli specchi: su di loro si riflette la realtà vista attraverso i tuoi occhi, e chi guarda, attraverso la propria interpretazione dell’opera, entra in un altro mondo, che è il prodotto insieme della tua e sua interpretazione. Se questo “scambio” non avviene da entrambi i lati, se la tua visione non si riflette e completa in quella del pubblico e viceversa, il telero resta indefinito, quasi sospeso, come in attesa di prendere la sua forma definitiva…
A volte ci si rende conto di quanto realizzato quando l’opera è conclusa. Nel caso della mostra di Napoli mi sono reso conto di avere una duplice necessità: da un lato quella di rendere chiaro il fatto che quelle immagini nascono dalla riflessione su un dato reale, le fotografie su cui lavoro ritraggono paesaggi reali che rielaboro; dall’altro lato, di lasciare il pubblico libero di navigare tra quelle immagini, con la possibilità di dare interpretazioni che magari io non avevo neanche immaginato. Così facendo, guardando le mie opere senza porsi domande, lasciando che le linee si muovano liberamente quasi come una sinfonia, un’espressione musicale che va lasciata procedere per conto suo, le opere acquistano un’efficacia molto maggiore.

Giovanni Frangi, Lotteria Farnese, veduta della mostra, Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Il titolo della mostra fonde insieme due elementi costitutivi dell’esposizione: da un lato l’interpretazione molteplice che si può dare dei paesaggi tracciati e gli innumerevoli punti d’osservazione da cui analizzarli – quasi si trattasse, come hanno scritto, di “una lotteria dalle infinite possibilità” – e dall’altro lato l’identità dello spazio ospitante, legato all’Atlante Farnese esposto. Ma cos’hanno significato per te questi paesaggi specifici? Sono il risultato di quale percorso? Come li hai fatti tuoi?
Le immagini che sono state utilizzate per questi teleri fanno parte del mio mondo creativo, che nel corso del tempo posso riutilizzare con diverse soluzioni tecniche. È qualcosa che appartiene al mio modo di essere artista, di lavorare e che viene fuori in modo molto automatico. Anni fa, ad esempio, ho fatto una mostra che per me è stata molto importante: Il richiamo della Foresta (1999, Palazzo delle Stelline di Milano). Avevo esposto 13 tele a formare un bosco, immagine che mi appartiene, creando l’illusione di entrarvi. C’era quindi la pittura che diventava anche installazione, e non un solo quadro a sé stante, bensì un insieme di opere che interagivano tra loro, come nel caso del Museo Archeologico. Il bosco è stato stilizzato, semplificato, come uno schizzo privato che diventa un grande disegno.

Giovanni Frangi: Delta, 2014, 300x420cm, Pastelli grassi su tela
Anche l’acqua è molto presente nel tuo creare. Che sia fiume, mare…
Sì, è un elemento che mi ha sempre affascinato perché c’è quest’idea di movimento, di riflesso, d’interpretazione, se vuoi. Mi ha suggestionato spesso. Nel bagaglio creativo dell’artista ci sono una serie di “ossessioni” che ritornano, e così sono queste per me. Poi ad un certo punto si esauriscono perché non hanno più dentro di sé l’energia necessaria perché l’artista continui ad utilizzarle, ma molte hanno un lungo cammino.

Il mio mondo di riferimento è sempre stato una particolare osservazione della natura.

Lotteria Farnese. Giovanni Frangi
a cura di Michele Bonuomo e Aurelio Picca

14 novembre 2014 – 11 gennaio 2015

Museo Archeologico Nazionale
Piazza Museo Nazionale 19, Napoli

Info: 039.081.4422149
cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale

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