PESCASSEROLI (AQ) | Sentieri C1 e C2 – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise | Dall’ 1 agosto 2020
Intervista a ALESSANDRO PAVONE di Matteo Galbiati
Per il terzo anno torna ARTEPARCO. L’arte della natura che, per questa nuova edizione, ha come protagonista la grande installazione site specific intitolata Un tempo è stato, opera dell’artista Alessandro Pavone (Trento, 1973).
Dopo il gradito riscontro di Animale – Vegetale (Il Cuore) dell’artista-designer Marcantonio e (specchi angelici) dell’artista Matteo Fato, l’arte contemporanea ri-promuove la propria suggestione che, carica di fascino, nasce dalla stretta relazione con l’ambiente naturale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Questo binomio suggella un imprevedibile legame, carico di senso e di scoperta, che lega i contenuti e le riflessioni proposte dalle menti creative del nostro tempo ad uno degli scenari più incontaminati, antichi e sorprendenti d’Italia. Ogni opera vive la propria poesia incontrando lo sguardo del visitatore che qui è sempre libero di acquisire e di vivere nuovi e individuali itinerari di scoperta.
Abbiamo raggiunto Alessandro Pavone per raccogliere la sua testimonianza diretta di questa esperienza:
Ci racconti la genesi del tuo intervento per il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, come sei arrivato a partecipare ad ARTEPARCO. L’arte della natura?
Sono stato contatto dall’agenzia Paridevitale con la richiesta di pensare a un progetto per ARTEPARCO, non lo conoscevo e non avevo mai visitato l’Abruzzo prima. Il progetto mi ha coinvolto immediatamente. Quando mi hanno comunicato di esser stato selezionato, ho voluto effettuare subito un sopralluogo per capire dove sarei intervenuto. Mi sono occupato immediatamente degli aspetti logistici in quanto considero la questione tecnica una parte integrante e fondamentale di ogni progetto. Ho trovato grande professionalità e disponibilità dall’Ente Parco, il Comune di Pescasseroli, PARCO1923 e dallo staff dell’agenzia Paridevitale che hanno ideato il progetto. Ammetto che affrontare un progetto simile sostenuti da sponsor come BMW e SkyArte ha permesso che potessi concentrarmi esclusivamente sul mio lavoro.
Un tempo è stato nasce in relazione stretta con le Foreste Vetuste, entrate nel Patrimonio UNESCO nel 2017 dato l’eccezionale valore naturalistico e l’incredibile biodiversità che le contraddistingue. Tu hai pensato ad una mano (su scala gigante) che si genera da un albero e che sembra rigenerarsi in altro. Quanto è importante questo rapporto naturale-umano?
Nella mia ricerca è fondamentale. Indago frequentemente il tema del limite e della morte. Forse per una questione di esorcizzazione del dolore e celebrazione della vita. Immaginarmi come un organismo ad orologeria mi aiuta ad accettare il deperimento programmato a cui tutti siamo assoggettati. Nel mio lavoro esiste sempre una parte destinata al crollo, al fallimento. A volte cerco di progettarlo, oltre che come esercizio introspettivo, anche come soluzione estetica. in altri casi contemplo l’erosione come conseguenza ineluttabile dell’esposizione agli elementi. Lo misuro costantemente nei limiti della fisicità. Constatare la provvisorietà del corpo che abito mi ossessiona. Indagare questo tema mi offre momenti di leggerezza e periodi di consapevolezza. Non possiamo fare a meno d’essere parte integrante di questa biodiversità e delle sue regole. Il soggetto della mano è probabilmente una trasposizione. Mi sono identificato con il larice abbattuto. Accade mettendosi in ascolto. Si confonde l’ego con il soggetto, il corpo con il luogo. Si è immersi in una sorta di nube satura in cui l’idea si percepisce, ma non si distingue.
Quali sono gli elementi simbolici, le chiavi di lettura che vuoi che emergano agli occhi del visitatore? Quali sono i presupposti di senso che sono per te prioritari?
Un corpo composto di parti. Stanno insieme per pressione. Maggiore è il peso e più è saldo l’incastro. Sento una stretta allo stomaco quando osservo un incastro premere saldamente sulle pareti del legno morso. Durante tutta la lavorazione ho sempre ricordato che stavo realizzando un’opera per l’Abruzzo. Anche con il ricordo del terremoto vissuto da bambino in Friuli, ho lavorato costantemente con il bisogno di ricostruzione dopo il crollo. Il desiderio e la tenacia. Certamente il tema della scultura è la ciclicità della vita oltre la nostra volontà e le singole esistenze. Dalla mano dell’albero schiantato nasce una nuova pianta. Può apparire banale risolvere anche la questione della responsabilità individuale nei confronti dell’altro attraverso una immagine tanto semplice. Eppure considero onesto non aggiungere ulteriori ostacoli ed inutili barriere quando non propedeutici al tema che si vuole raccontare. Non credo che la complessità del soggetto possa sostituire la profondità con cui poi si indaga il concetto. A questo proposito esiste un’altra fase di scavo parallela a quella cognitiva, in cui sento il bisogno di ribellarmi all’immagine confortante che appare. Lo faccio anche ricorrendo all’uso della motosega. Il corpo dell’albero è stato aggredito, smembrato. Ho dovuto farlo per poterlo trasformare riconoscibilmente in un tronco di braccio. L’ho fatto cercando di non cancellare mai la natura del materiale e la memoria dell’albero che costituiva.
Ho scritto le prime parole del progetto ascoltando gli Einstürzende Neubauten ed ora, ad opera conclusa ed abbandonata, le rispondo ascoltando i Meshuggah. La musica nella genesi dei miei lavori è molto importante. Il ritmo, il tempo, il colpo di grancassa di un albero che crolla nella foresta è una parte minima del battito che non riusciamo a cogliere. Forse solo ad immaginare. Quando attacco i tronchi resto in silenzio, ascolto il grido della motosega terribile e potente.
La mano protesa è quanto mai significativa oggi: in tempi di distanziamento sociale, quando la nostra gestualità è venuta meno, il gesto della tua opera sembra allargarsi e “toccare”, raggiungendolo idealmente, il mondo…
Effettivamente il soggetto e la posizione possono suggerire questa lettura. A dire il vero durante la progettazione e la realizzazione non ho mai pensato alla protensione volontaria verso l’altro. Forse ad una assenza di potere, alla privazione del controllo anche muscolare e ad una attitudine insperata all’apertura. Cedo alla terra e venero la forza della tempesta che ha piegato il mio ego. Così mi sono fatto albero. Come larice sono caduto. Nell’ultimo cenno di vita ho aperto il pugno e nell’abbandonare la vita, il nuovo ha trovato alimento dalla mia carne. Restituisco ciò che avevo. La posizione delle dita è molto importante. Volevo che l’eleganza appena suggerita dal gesto, svuotasse temporaneamente della drammatica fisicità la rappresentazione di morte e rinascita. Esiste per sempre un momento d’estasi nell’abbandono del terreno.
Questo soggetto come si lega, nello specifico, ai temi offerti dal luogo e quelli della tua ricerca in generale?
Ho sempre bisogno di studiare il materiale con cui lavoro. lo voglio capire. Non comprendo chi deleghi il lavoro manuale a terzi. Io sono geloso dell’esperienza fisica. Ricordo l’odore che si sprigiona quando spacchi un blocco di marmo. Annusi il passato che era custodito tra i cristalli. Secondo te potrei rinunciare a questo tipo di esperienza? Non credi che quell’odore entri sotto pelle e modifichi il modo di dare forma al materiale? Ho piacere di studiarne i sui aspetti strutturali e di scoprirne le tradizioni con cui è stato utilizzato o piegato alla tecnica. Ammetto che più che accettarne il degrado naturale, tendo a cercarne il collasso. Esperimenti di un ragazzino che di fronte al crollo gode dell’incontrollabile e del fatto di dover ricostruire. Cercare, distruggere, rinsaldare, scavare capovolgere sono azioni che mi tengono sveglio. Nel bosco, nella natura accade la stessa cosa. Questa volta da spettatore mi sono trasformato in emulatore. Gli eventi hanno distrutto in modo violento e rapido. Io ho raccolto, sezionato e ricomposto per cedere il manufatto al tempo.
Il tempo resta una componente fondamentale, si parla del ciclo della vita, del tempo della natura, della marginalità dell’esistenza umana, dell’attesa, della morte e della rigenerazione… Quanto conta per te?
Annientarmi, distruggere e scomparire è per me importantissimo. Devo azzerare tutto molto spesso. La natura lo fa. L’attaccamento alla vita è tenacia. La lotta per l’esistenza mi ha suggerito spesso disegni e sculture. Se guardo uno scheletro godo nel constatare come ogni sua parte sia il perfetto risultato della lotta per l’esistenza. In questo senso nella struttura del polso ho cercato l’essenzialità, se non la brutalità, degli incastri. In montagna ci vado con pesi leggeri. Porto quello che posso portare, il resto lo lascio a valle. L’idea della catarsi la cerco spesso come pratica curativa. Salvifica.
Nel tempo poi la mano si trasformerà (gli elementi naturali di cui è fatta obbligatoriamente “vivono” la propria fisicità e natura), la sua gestualità, quindi, muterà accogliendo altre dimensioni di senso e altri spunti di riflessione…
Abbandonare l’opera è parte dell’opera. Amo camminare nella nebbia, dove non ci sono sentieri. Seguo l’intuito, mi fido. Accetto il rischio di camminare verso l’ignoto. Compresa questa esperienza, abbandonare la scultura è un po’ come non voltarsi a guardare i passi lasciati sulla neve fresca. Provo a conquistare la leggerezza con coraggio.
Credo sia importante, parlando della materia, ricordare che il legno usato per Un tempo è stato è ricavato da un larice secolare, sradicato dalla tempesta di Vaia in Trentino nel 2018. Fai rivivere in Abruzzo, creando così una connessione ideale (torna ad essere significativo il braccio teso), qualcosa che in Trentino era ormai morto. L’idea è anche quella di rimarcare l’importanza della salvaguardia della natura data spesso per scontata?
Avrei voluto utilizzare il grande corpo di un albero caduto nella faggeta vetusta. Immaginavo di incontrare un cetaceo vegetale spiaggiato su un prato o una colonna ramificata crollata in un burrone. Forse in fase di decomposizione, ma ancora buono per farne qualcosa. Invece dopo il sopralluogo non ho trovato ciò che mi ero immaginato. L’esperienza vissuta durante la notte in cui la tempesta di Vaia ha fatto tremare la terra mi ha ricordato che avrei potuto utilizzare un larice della mia zona. Mi è piaciuto molto che questo progetto potesse suggerire simbolicamente un ponte tra Trentino ed Abruzzo.
Quali sono i tuoi prossimi progetti dopo il lavoro per ARTEPARCO? Cosa ti attende per la prossima stagione espositiva?
Sono concentrato su alcuni progetti per possibili opere pubbliche in bronzo mentre ho già cominciato a lavorare su una serie di piccolissime sculture in marmo che esporrò a Milano. Tengo molto a questo lavoro soprattutto perché il materiale che ho in mano ha una storia ricchissima ed affascinante. Ma gelosamente per ora preferisco non raccontare altro a riguardo. È una storia che sembra parlarmi di ossa, ossature e ossessioni.
Alessandro Pavone. Un tempo è stato
III installazione site specific per ARTEPARCO. L’arte della natura
una collaborazione tra Ente Parco, Comune di Pescasseroli e PARCO1923
con il patrocinio di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
con il supporto di BMW Italia, Sky Arte
Dall’ 1 agosto 2020
Sentieri C1 e C2
Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise
Pescasseroli (AQ)
Info: www.parcoabruzzo.it