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LIGHT ART PARADIGMA DELLA MODERNITÀ | Meltemi

Intervista a JACQUELINE CERESOLI di Matteo Galbiati

Jacqueline Ceresoli ci regala, con la completezza di una ricerca determinata, netta, conscia di osservazioni e scelte individuali e precise volontà d’analisi, un determinante saggio critico che diventa un importante e colto, scientifico e esaustivo, punto fermo per quanto riguarda la Light Art e le sue letture critico-estetiche. È da poco uscito nelle librerie, infatti, il suo Light Art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, volume pubblicato per Meltemi, di cui approfondiamo la progettualità e i contenuti con la stessa autrice:

Quando è nato il tuo interesse critico per la Light Art?
È stata un’attrazione fatale nel 1985, quando in bicicletta, avvolta dal buio, in piazza Duomo a Milano c’erano ancora le insegne luminose pubblicitarie, rimosse nel 1999, che coprivano la facciata di Palazzo Carminati, un simbolo di una città pulsante, dinamica definita all’epoca “da bere”. Guardandole, mi immaginavo a New York, mi sentivo una Alice nel mezzo di Time Square. Queste insegne al neon cominciarono a comparire dagli anni Venti del secolo scorso, come testimoniano alcuni film e riprese. A pochi passi da piazza Duomo, in via Santa Radegonda, nel 1883, su progetto di Giuseppe Colombo, fu inaugurata la prima centrale termoelettrica italiana, un segno di energia di una città per vocazione futurista. Delle insegne luminose mi ipnotizza l’aura che emanano al buio e come modificano la percezione dello spazio urbano. Così ho cominciato a guardare Milano sotto un’altra luce, il neon, come materia dell’effimero. Poi dalla fine degli anni Novanta, ho iniziato a collaborare con la rivista Luce, diventata nel corso del tempo una rivista internazionale di cultura progettuale intorno alla luce sotto l’innovativa direzione di Silvano Oldani.

Jacqueline Ceresoli, 2018 © Renato Corpaci

Perché hai voluto dedicare un saggio così esaustivo a questo argomento?
Come ho scritto nell’introduzione si trovano molte pubblicazioni sulla storia della Light Art, fino agli anni Ottanta, però studiando, mi sono accorta che mancavano saggi analitici sul valore estetico-poetico del neon e altri materiali luminosi, come elementi di congiunzione tra Arte e Scienza, tecnica e creatività, passato e presente. Mi sono occupata di Light Art quando, negli anni Novanta, con l’evento di arte pubblica Luci d’Artista a Torino, è avvenuto il passaggio dalle luminarie alle opere-sculture o installazioni site-specific e la contaminazione tra arte e design ha rigenerato la nostra cultura progettuale. Nel libro, ho messo in evidenza le rivoluzioni della percezione dello spazio interno ed esterno che la luce artificiale provoca. Dal neon al Led – e sappiamo che l’arte si fa con tutto – l’opera è più brillante, nel senso letterario del termine e se ubicato in piazza, “spiazza”. La luce artificiale è un evento di per sé, è l’essenza dell’immaginazione, una rivelazione di alterità tesa verso l’assoluto. È l’icona dell’idea, manifesto di una intuizione creativa, qualcuno ricorderà la lampadina accesa nelle strisce di Disney, quando Eta Beta aveva una idea per testa.

Che artisti hai voluto prendere in esame e che arco temporale copre la tua ricerca? A quale modernità fai riferimento?
Il libro percorre le tappe più significative della storia della Light Art come linguaggio artistico innovativo, non c’è avanguardia senza tecnologia, dall’avvento dell’elettricità a partire dall’utilizzo della luce artificiale nell’arte e nella società moderna prodotta con diversi mezzi, dal XIX secolo con la seconda rivoluzione industriale. Il filo conduttore della luce muove intorno al suo mistero e nasce dall’oscurità. Dagli anni Venti del secolo scorso con Laszlo Mohly-Nagy, a Lucio Fontana, padre della Light Art, Dan Flavin, Bruce Nauman, Arte Programmata e Cinetica, James Turrell, Mario Merz, fino a Olafur Eliasson, Carsten Höller, Anthony McCall, Martin Creed e altri ancora. In particolare ho messo in evidenza la differenza della Light Art italiana rispetto a quella americana e anglosassone.
La modernità è figlia della rivoluzione industriale, quando comincia a modificarsi la percezione dello spazio e del tempo nel segno dell’energia. La luce è il logos artificiale del XX secolo, come il marmo è referente di eternità, universalità, che nell’arte produce immaginari e coincide con la ricerca di un’astrazione, di una nuova visione e dimensione. Con Giacomo Balla la luce elettrica diventa manifesto della modernità con Lampada ad Arco (1909-1911). La luce nello spazio segna l’esserci qui e ora.

Jacqueline Ceresoli, Light Art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi (copertina del volume)

Dai rilevanza agli autori italiani, quali connessioni hanno con gli aspetti internazionali della Light Art?
Nell’epoca globale, della riproducibilità web, i light artists italiani, dal padre della Light Art italiana Lucio Fontana, inventore dello Spazialismo, a Maurizio Nannucci, fino a Massimo Uberti, la luce è uno strumento del pensiero di matrice umanistica, in cui forma, colore, testo e immagine diventano materia ideale del fare arte, capace di coinvolgere il fruitore sul piano emotivo e cognitivo. Light Art italiana e internazionale poiché è foriera di diversi significati, narrazioni ed evocazioni e dipende dal contesto.

Come hai strutturato gli argomenti all’interno del volume? Che “itinerario” hai seguito?
È un itinerario trasversale d’intrecci tra arte, design, ed architettura nel segno della luce come fenomeno visivo, cognitivo, emotivo e pratica sperimentale. Luce come linguaggio che attiva processi culturali, creativi in armonia tra tradizione e innovazione. Light Art come intreccio tra estetica e scienza, poetica e tecnologia, perché la luce è l’essenza dell’evento.
Nella seconda parte del libro metto in evidenza la nuova sensibilità artistica insita nei progetti di illuminazione dei siti di archeologia classica, Ercolano, Pompei, la Valle dei Templi, I Fori Imperiali, il Colosseo, tanto per citare alcuni esempi del Grand Tour italiano, attraverso una antologia critica di articoli di autori diversi pubblicati sulla rivista Luce, aperta a nuovi linguaggi in via di sperimentazione. Come e perché i progetti di illuminazione dei siti di questi luoghi della classicità sembrano evocare le vedute stranianti, metafisiche di Giorgio de Chirico, sospese tra l’effimero e il rigore tecnico.

Se penso alla tua attenzione per il peso delle parole, mi colpisce molto il sottotitolo del volume: Luce come oper-azione di arte relazionale. Cosa vuoi definire con questa specifica?
Tra una serie di altre risposte che si deducono leggendo il saggio, basta pensare a un fatto semplicissimo: al buio vediamo l’altro e percepiamo lo spazio. È una rivelazione di possibilità di conoscenza, un “agente” di sconfinamento, un’area neutra dove si attua metaforicamente l’incontro tra l’io e il noi, in un dato ambiente. La luce opera aperture verso ciò che immaginiamo, ci mette in relazione con l’altro da noi, creando architetture effimere in cui siamo i protagonisti. La luce aziona molteplici relazioni.

Massimo Uberti, Spazio Amato, 2020, ferro, neon e trasformatori, 350×1600 cm Courtesy Hypermaremma

Inevitabilmente non parli solo del valore della luce, ma anche del senso e del valore del buio…
Senza il buio non ci sarebbe la luce e viceversa, se la luce alimenta conoscenza, visione delle cose, verità e bene, l’oscurità, l’ombra è il suo contrario, evoca il non-essere, l’assenza, e i miti della creazione prima della luce; è il territorio dell’immaginazione.

Una domanda su cui abbiamo già avuto modo di confrontarci: non potrebbe questo tuo lavoro sfociare in una grande mostra dedicata alla Light Art?
Perché no. Mi accendi di entusiasmo, la progettiamo insieme? Da sola mi annoio. Quando usciamo dal tunnel di questa claustrofobica pandemia, ci mettiamo all’opera.

I tuoi prossimi progetti? A cosa stai lavorando?
Sto lavorando ad un libro sull’importanza delle fiction prodotte dalla Rai ambientate nelle regioni italiane per valorizzare all’estero il nostro patrimonio culturale, paesaggistico e artistico. Per esempio si pensi alle vicende del commissario Montalbano, quasi sinonimo della Sicilia, l’isola baciata dagli dei, e ancora l’Amica Geniale che ci ha restituito una Napoli degli anni Cinquanta e Sessanta. Napoli è la location più utilizzata per diverse fiction, si pensi alla serie Bastardi di Pizzofalcone, tratta dall’omonimo romanzo di Maurizio Giovanni. Torino è misteriosa, ermetica, dove è stata ambientata la serie La fuggitiva. E qui mi fermo. In breve, ripercorro il Viaggio in Italia, da Nord a Sud, attraverso le fiction televisive, un prodotto molto richiesto nel mercato internazionale.

Titolo: Light Art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale

Autore: Jacqueline Ceresoli

Anno: 2021

Pagine: 296

Prezzo: Euro 22.00

Collana: Meltemi Linee

ISBN: 9788855193351

Editore: Meltemi (www.meltemieditore.it)

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