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MILANO | Pirelli HangarBicocca | 20 febbraio 2020 – 10 gennaio 2021

di ALICE VANGELISTI

Videoinstallazioni e sculture in ceramica contaminano l’affollata visione della mostra The eye, the eye and the ear, la prima esposizione istituzionale in Italia dedicata a Trisha Baga (Venice – USA, 1985), artista americana di origini filippine, di cui Pirelli HangarBicocca allestisce all’interno dello SHED l’universo ironico, distorto e multiforme, in cui elementi chiave della nostra epoca tecnologica e iper-connessa diventano degli emblemi di questo tempo cristallizzati in continui rimandi completamente destrutturati e decontestualizzati. Si tratta, infatti, di una mescolanza di differenti input: dalle nuove tecnologie alle icone mainstream, il caotico mix che ne risulta dà vita a un racconto inusuale, emblema della velocità e dalla sempre crescente e forsennata “voracità” che caratterizza la realtà odierna, in cui i contenuti della cultura di massa e tipicamente pop, che oggi ci sono forniti quasi esclusivamente attraverso la tecnologia, sono assorbiti da ogni individuo in maniera inconscia e bulimica andando a creare in ognuno un’insaziabile e irrefrenabile affollamento visivo e mentale.

Trisha Baga, There’s no I in Trisha, 2005-2007_2020, veduta dell’installazione Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca Foto Agostino Osio

In questo senso, il percorso labirintico, dispersivo e caotico della mostra ci invita a entrare in un universo fatto di visioni e frammenti di un mondo parallelo – ma pur sempre strettamente connesso – alla nostra reale quotidianità. Dalla penombra dello SHED emergono così delle forme realizzate in ceramica, una tecnica classica e tradizionale, che si contrappone alla contemporaneità dettata dalle grandi opere a video che si stagliano potenti nell’oscurità. Tecniche, media e linguaggi differenti che l’artista però padroneggia in una contaminazione multidisciplinare che caratterizza la sua intera ricerca, attingendo da un immaginario composto da molteplici spunti di indagine per far emergere una diversa prospettiva della contemporaneità, esplorata attraverso temi come il rapporto tra mondo reale e digitale, l’evoluzione tecnologica e i cambiamenti sociali che ne conseguono.
La ceramica ha sicuramente un posto privilegiato in mostra: all’entrata, questi oggetti accolgono da subito il visitatore, illuminati ad hoc come dei pezzi insoliti di una “archeologia umana”, esposti e classificati ironicamente all’interno di un ipotetico e futuro “museo del reale”.
Hypothetical Artifacts è, infatti, una ricca selezione delle ceramiche realizzate da Trisha Baga a partire dal 2015, la quale dà forma a delle rappresentazioni rudimentali e primordiali degli artefatti tipici della realtà che ci circonda: proiettori di diapositive, microscopi, macchine da scrivere, telefoni, ai quali si affiancano anche icone della cultura pop, come Elvis Presley e la celebre drag queen RuPaul. Tutti gli oggetti appaiono così come fossilizzati in forme abbozzate nella ceramica per riproporre idealmente il complesso tessuto di relazioni che intercorre tra ciò che è reale e ciò che non lo è. In particolare, alcune di queste ceramiche sono a loro volta contaminate dalla tecnologia: in esse sono infatti incorporati scarti di apparecchiature elettroniche come chip e cavi – ma c’è anche la possibilità per quelli della serie Calcified Encasements for Virtual Assistants di contenere al loro interno dispositivi di intelligenza artificiale – che sottolineano in questo modo l’eccessiva dipendenza tecnologica odierna.

Trisha Baga, Hypothetical Artifacts, 2015-2020, veduta dell’installazione Courtesy l’artista, Giò Marconi, Greene Naftali, Société e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Ma a far da padrone nello spazio dello SHED è sicuramente la ricerca video dell’artista, influenzata sia dall’immaginario più professionale, tipico della produzione televisiva e cinematografica, ma anche dall’aspetto più personale e “rudimentale”, rappresentativo dei filmati amatoriali. Così, azioni performative e immagini dalla qualità visiva spesso volutamente bassa – combinati anche a elementi generati dal computer stesso – animano i differenti schermi dando vita a una narrazione estetica e fortemente pop che mette l’accento su come i mezzi tecnologici abbiano influenzato fortemente la nostra vita: la sua peculiare ipertestualità, spesso senza una logica rigorosa e consequenziale, permette di dare forma a una sorta di moderno “flusso di coscienza” – veloce, tecnologico e innovativo. La rapidità tipica dell’immagine digitale contamina così la ricerca di Baga e concorre a donare ai suoi video una visione aleatoria e intangibile, come del resto lo sono i contenuti digitali che ci bombardano quotidianamente. Si concretizza in questo modo il dualismo odierno che viene a crearsi tra reale e virtuale, in cui il nostro io è sempre più spersonalizzato e sovraccaricato di stimoli rapidi ed effimeri. Questo dualismo è sottolineato anche dall’espansione del video nello spazio espositivo: l’artista infatti in molti casi inserisce degli oggetti di scena che danno vita a giochi di volumi e ombre, stratificando la percezione fisica dell’opera in ulteriori livelli visivi e sonori. In questo modo, essi entrano a far parte della proiezione stessa, così che la narrazione apparentemente frammentata e sconnessa – ma volutamente studiata per essere così – rifletta anche sull’eccessivo affidamento e sulle speranze che riponiamo nella tecnologia, rivelandone così attraverso uno sguardo ironico e inusuale gli aspetti più fragili e fallimentari.

Trisha Baga, Self Portrait with Webbed Feet_Calcified Encasing for Virtual Assistant, 2018, veduta dell’installazione Courtesy l’artista, Greene Naftali, Sociéte e PHB Foto Agostino Osio

Le cinque installazioni video, infatti, indagano la relazione tra l’essere umano e l’evoluzione del mezzo tecnologico, partendo dal suo primo lavoro There’s No “I” in Trisha (2005-2007/2020), esposto all’interno della ricostruzione di un salotto, che idealmente richiama al tipico set delle commedie americane, in cui un televisore trasmette una sitcom televisiva in cui l’artista stessa interpreta tutti i ruoli, fino ad arrivare al più recente 1620 (2020), realizzato appositamente per l’occasione e ispirato alla Plymouth Rock, che simbolicamente rappresenta lo sbarco dei Padri Pellegrini e l’origine degli Stati Uniti d’America, raccontata attraverso una narrazione performativa frammentaria e immaginifica che ruota intorno alla storia di questa roccia. A quest’ultimo lavoro si collega anche No Source Found (2019), un pavimento composto da frammenti di ceramica che ricrea idealmente una delle scene legate alla storia dei Padri Pellegrini e che in questo modo richiama alla roccia protagonista del video, frantumata e dispersa nel corso dei secoli, alludendo così anche alle alterazioni a cui sono sottoposti i fatti storici nel loro essere tramandati.
Marginali rispetto ai video e alle ceramiche, ma comunque dal grande impatto visivo e di significato, sono infine i sei lavori della serie Seed Paintings (2017), realizzati con semi di sesamo, che materializzano idealmente i pixel tipici del video, ma che danno vita allo stesso tempo a paesaggi stranianti e desertici nei quali trovano spazio elementi generati al computer combinati con personaggi abbandonati e soli che sembrerebbero incarnare perfettamente la desolante spersonalizzazione dell’io contemporaneo e il conseguente distaccamento dal reale imposto dal crescente affermarsi della vita virtuale. 

Trisha Baga. the eye, the eye and the ear
a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli

20 febbraio 2020 – 10 gennaio 2021

Pirelli HangarBicocca
via Chiese 2, Milano

Orari: giovedì-domenica dalle 10.30 alle 20.30
Sulla base di quanto previsto dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli spazi di Pirelli HangarBicocca sono temporaneamente chiusi al pubblico fino a nuove disposizioni.

Info: +39 02 6611 1573
info@hangarbicocca.org
www.hangarbicocca.org

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