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VICENZA | Casa Gallo – Palazzo Brusarosco Zaccaria | 11 settembre – 5 ottobre 2013

Intervista a ROLANDO TESSADRI di Matteo Galbiati 

In occasione della sua personale nell’eccezionale cornice di Casa Gallo, intervento tra i più significativi dell’architetto Carlo Scarpa, poniamo alcune domande a Rolando Tessadri (1968), artista trentino che da anni segue una rigorosa pittura concentrata su un aniconismo vivo e intenso dove il colore risuona nel silenzio e si accende di vibranti effervescenze luminose. La sua pittura cattura lo sguardo per la capacità che ha di porsi in sospensione nell’attimo e nell’attesa della visione, quando poco per volta svela le sue complesse tessiture e le sue grandi profondità. Dal suo colore emerge un’energia impalpabile, fatta di luce immateriale e di forme e materia labili, ma dalla quale, nonostante tutto, non si riesce a restare immuni.

Tu sei uno tra gli artisti che ha ancora grande fede nella forza pura del colore. Tutto nella tua pittura monocroma si basa su questo e su quelle “griglie” vibranti che esso genera. Ci racconti la storia del tuo colore?
È da parecchio che lavoro sul monocromo e fin da subito ho sentito il bisogno di integrare la ricerca sul colore con quella più specifica sulla texture. Le Tessiture nascono infatti dall’esigenza di sensibilizzare la superficie del quadro e di farla interagire con il colore che supporta. Cerco cioè che questi due elementi si identifichino reciprocamente. Le opere inoltre sono di solito costruite in serie attraverso la combinazione di varie tele affiancate o sovrapposte e messe in relazione mediante richiami strutturali, gradazioni, assonanze, contrasti.

Come sei approdato a questo tipo di linguaggio, quale strada ti ha condotto a questo alto esempio di concentrazione e di profondità lirica?
Ho sempre cercato di entrare in contatto e di confrontarmi con artisti di altre generazioni o della mia, per i quali nutrivo e nutro tuttora stima particolare. Ho costruito quindi il mio linguaggio nel rapporto con tutto ciò che il mondo in cui sono cresciuto mi poteva offrire. Da un lato sta la sensibilità individuale, dall’altro il contesto. È importante che un artista giovane riesca a gestire questa relazione in modo equilibrato e che si conceda i tempi necessari a precisare i propri obiettivi.


La tua pittura ha un grado apparente di monocromia: ci sono, infatti, sfumature, ci sono geometrie semplici, c’è l’intervento calibrato della luce… Quali sono gli elementi chiave che concorrono ad attivare il senso di queste componenti?
Nelle opere recenti intendo la monocromia come un’intonazione complessiva che tiene insieme i rapporti di luce delle singole parti. Spesso i contrasti sono ridotti al minimo, perché voglio che l’immagine sprofondi nel quadro per riemergere con lentezza, come fosse un’apparizione. Ritengo che le geometrie per questa via possano acquisire un senso tutto particolare ed evocare spazi impraticabili, metafisici. Mi interessa crescere l’immagine dentro questa dimensione illusoria della pittura.

Sono interessato alle potenzialità evolutive delle immagini che crei, che escono dalla consueta concentrazione statica di questo genere di pittura. Le tue opere sembrano crescere (nel senso evolutivo) e cambiare sotto lo sguardo. Cosa ti interessa di questo processo e come lo controlli?
Credo che le griglie giochino un ruolo importante in questo processo di decentramento dell’immagine di cui parli. A seconda dell’angolazione o della distanza, l’occhio può percepire dei cambiamenti nella qualità superficiale della tela e sperimentare la sparizione o la riapparizione della texture in una dinamica che in effetti è tutta individuale, soggettiva.

Non voglio parlare di citazioni o di alunnati – il tuo linguaggio risulta essere tanto personale quanto peculiare – ma vorrei chiederti comunque quali sono gli artisti che elevi a modello, che senti più vicini alla tua sensibilità?
Da ragazzo ho nutrito una grande passione per Burri e Morandi, anche se i miei riferimenti più naturali in questo momento sono i classici dell’astrazione geometrica: Malevich e Mondrian in particolare. Poi, chiaramente, ci sono i minimalisti (Ryman e Martin, soprattutto), Castellani, Dorazio, Nigro e molti altri.

La residenza Gallo è uno degli interventi di maggior pregio del grande architetto Carlo Scarpa. Come ti sei relazionato a questo luogo che ha specificità particolarissime?
Casa Gallo è un appartamento che negli intenti dell’architetto doveva contemperare le esigenze abitative con quelle espositive. Si passa in tempi molto rapidi da un grande salone centrale (la “piazza”) che svolge una funzione pubblica e che è letteralmente inondato di luce, anche riflessa, alle stanze interne, più scure e discrete, luoghi della vita privata. Mi è venuto abbastanza naturale accompagnare questi passaggi di luce-ombra con opere che in termini cromatici spaziassero da un minimo a un massimo di chiarezza, dai grigio-viola delle sale interne ai bianchi estremi della piazza. D’altra parte l’elemento cromatico è un componente a mio parere molto importante di questo ambiente ed è difficile ignorarlo. Ogni parete ha un suo colore e una particolare elaborazione degli intonaci. Si trattava quindi di mettere a punto dei lavori che nel rapporto superficie-colore fossero sufficientemente discreti e sensibili alle qualità specifiche dell’ambiente.


Quale contestualità incontrano le tue opere con questi ambienti? Come le hai pensate, scelte?
Quando affronto un progetto come questo solitamente compio vari sopralluoghi nella sede espositiva, fotografo l’ambiente, lo mando a mente. Mi piace passarci del tempo da solo e lasciarmi suggestionare dalle tracce che porta su di sé, dalle memorie che suggerisce. Il percorso di preparazione delle opere si intreccia quindi con tutta una serie di evocazioni che condizionano le mie scelte formali a un livello, direi, inconscio. È quanto è avvenuto anche in occasione di questa mostra.

Abbiamo bisogno di impegnarci a vedere e a conoscere e, per me, opere come le tue sono necessarie a questo. Però oggi si pensa che la pittura sia altra cosa: quella modaiola impegnata in un iconismo sciatto, affrettato e banale, frutto della superficialità dei tempi. Perché pensi che certe visioni più “astratte” siano messe ai margini, in modo particolare quelle dei giovani artisti?
Ritengo che l’impegno nel campo dell’arte debba puntare sempre ad un confronto con i tempi lunghi, al di là delle tendenze prevalenti nella contingenza. Non è questione di garantirsi l’eternità, ma di dare una direzione e un verso al proprio procedere. In definitiva, si tratta di dare un senso alla propria esistenza. Il fatto che l’astrazione cresca spesso ai margini del sistema mi pare una logica conseguenza di questa condizione.

Oltretutto si dice che la pittura sia lingua morta. Io conservo sempre grandi speranze verso questo linguaggio e i lavori come il tuo – che accolgo sempre come segni incoraggianti – dimostrano e attestano la validità contemporanea e attuale di questo linguaggio che non ha tempo. Che destino pensi abbia la pittura e, soprattutto, questo “genere” di pittura?
In effetti è difficile pensare a una qualsiasi produzione completamente avulsa dal sistema. Si emerge, si naviga e si affonda in un mare di rapporti (anche economici) che bene o male condizionano tutti, anche gli artisti più intransigenti e ostinati nel perseguire la propria linea. Dentro questo meccanismo la pittura svolge una funzione che credo sia insostituibile. Fino a quando si sentirà il bisogno di immaginare un’arte che sia il manifestarsi della massima libertà individuale, l’astrazione rappresenterà probabilmente il modello principe a cui potersi riferire.

Riguardo ai giovani artisti, quali hanno suscitato il tuo interesse? Quali ricerche ci segnali?
Fra gli artisti all’incirca della mia generazione o più giovani di me, credo sia giusto che io ricordi quelli con cui ho esposto di più recentemente, vale a dire Giuliano Dal Molin e Michele Parisi. Nonostante battano delle strade per certi versi antitetiche, ritengo comunque di condividere con entrambi e a diverso titolo alcuni tratti importanti della mia sensibilità.

Dopo questa mostra, quali progetti hai in cantiere per l’imminente futuro?
Ci sono alcune gallerie nazionali che mostrano da tempo interesse verso il mio lavoro e che vorrebbero concretizzare il loro rapporto con me. Inoltre ci sono buoni riscontri anche sul territorio trentino che, anche grazie allo sforzo degli operatori pubblici, in questo momento sta mostrando molta attenzione alle ricerche avanzate.

Rolando Tessadri
a cura di Daria Ghirardini e Gabriele Salvaterra

11 settembre – 5 ottobre 2013

Casa Gallo
Palazzo Brusarosco Zaccaria
Contrà Porta Santa Croce 3, Vicenza

Info: www.lavigna.it

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