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MILANO | Officine dell’Immagine | 4 febbraio – 16 aprile 2016

Intervista a GOHAR DASHTI di Eleonora Roaro

L’artista iraniana Gohar Dashti torna, con LIMBO, la sua seconda personale da Officine dell’Immagine di Milano, inaugurata il 4 febbraio, dopo la mostra Inside Out del 2013.
Il titolo esprime condizione di precarietà esistenziale di profughi ed esiliati: è un luogo d’attesa privo d’identità e memoria, dominato dal senso di solitudine e di abbandono. L’artista non parla solo dell’Iran, della sua infanzia o del presente ma di tutti i conflitti e di tutte le situazioni in cui la libertà viene meno.

Veduta della mostra "Gohar Dashti. Limbo", Officine dell'Immagine, Milano

In ogni suo progetto Dashti fa sì riferimento alla propria esperienza personale ma è, al contempo, capace di alludere all’universale grazie ad eleganti metafore visive. Sono fotografie allestite in paesaggi incontaminati, in cui l’individuo si scontra con la durezza e l’indifferenza della natura in serie come Stateless (2014-2015), e Iran, Untitled (2013). O ancora, in Me, She & the Others (2009) riflette sulla schizofrenia sociale di un Paese dominato da forti contraddizioni e ambivalenze socio-politiche, con un enorme divario tra vita pubblica e privata. L’Iran è un Paese scisso tra una spinta verso la modernizzazione da una parte e la salvaguardia delle tradizioni islamiche dall’altra, tra libertà di espressione e censura. Così, ogni parola dell’artista è soppesata con cura: nel pericolo di dire troppo, il pensiero è spesso taciuto o non esternato fino in fondo.

In occasione dell’uscita di Espoarte #91, anche grazie alla curatrice Silvia Cirelli, siamo riusciti ad intervistarla e a farci raccontare della vita, della guerra, dell’Iran, della sua infanzia e, naturalmente, dell’arte…

Veduta della mostra "Gohar Dashti. Limbo", Officine dell'Immagine, Milano

Sei nata in Iran nel 1980, agli inizi della guerra durata dieci anni tra Iran e Iraq. Ciò ha inevitabilmente influenzato il tuo lavoro. Vorrei sapere di più riguardo la tua infanzia e i tuoi primi ricordi. Come hai iniziato a scattare fotografie? Chi ti ha influenzato da bambina in famiglia?
Sono nata nei primi anni della Rivoluzione Islamica e ho mosso i primi passi durante la guerra Iran-Iraq. Negli anni della guerra vivevo con la mia famiglia a Ahvaz, vicino al confine con l’Iraq e si può quindi dire che sia cresciuta con la guerra. Ciò ha insegnato a me e a tutta la mia generazione a vivere in una costante condizione di pericolo. Vita e guerra sono inseparabili l’una dall’altra; procedono insieme, vivono simultaneamente e in parallelo.
Negli anni tra il 1996 e il 1997 ho studiato graphic design a scuola. Forse è la ragione per la quale ho scelto l’ambito fotografico al college. A quei tempi ho partecipato ad un corso gratuito di regia e ne ero molto appassionata. Così, a volte, penso che ci sia una correlazione tra il mio interesse nella regia e la fotografia allestita. Nel 1999 sono stata accettata presso la Tehran University of Art per studiare fotografia. L’università è stato il momento iniziale per me per quanto riguarda l’arte. Mehran Mohajer e Bahman Jalali sono due professori che hanno giocato un ruolo chiave agli albori della mia carriera nella fotografia contemporanea.

LIMBO è la tua seconda mostra in Italia presso Officine dell’Immagine. Pensi che questo titolo sintetizzi il tuo lavoro?
Limbo è un nome che viene direttamente dai miei lavori, perché sono sempre in between. Combinando elementi contraddittori intendo creare un’atmosfera sospesa tra due situazioni: silenzio e rumore, felicità e paura…

Gohar Dashti, Stateless #8, 2014-2015, archival digital pigment print, cm 80x120, edition of 10

Stateless, la tua ultima serie, è la parte centrale della mostra LIMBO. Penso che questo lavoro sia un buon esempio della tua capacità di creare metafore universali da esperienze personali. Puoi dirmi qualcosa di più riguardo questo progetto?
Oggi vediamo le condizioni di vita di immigrati che vivono in campi profughi o in altri luoghi senza prospettive. Provano ad iniziare una vita da zero in una terra straniera. Abbiamo sempre assistito a sforzi del genere nella storia – esseri umani e terre.
La location delle foto è l’isola di Qeshm, nel sud dell’Iran, un luogo che ha una natura diversa dal resto della nazione: montagne di questo tipo, pianure e nuvole sono difficili da trovare in altre aree. Queste differenze ci fanno sentire come in una terra sconosciuta. Si può vedere il senso di non appartenenza a nessun luogo o tempo in ogni luogo della regione. È degno di menzione il fatto che Qeshm, molti anni fa, sia stata una terra di esiliati e questa è una delle ragioni principali per cui è stata scelta per le mie foto.
In questa serie, si è tentato di unire forma e contenuto; la forma ha delle qualità espressive di per sé. Per me, lo spostamento e il cambiamento di luogo delle persone si possono trovare nei campi lunghi: questo è lo stesso angolo che si può vedere nei dipinti classici, come nei lavori di Hieronymus Bosch e Pieter Brueghel, ricreando gli angoli classici dell’inferno, limbo e paradiso che sono vasti quanto le azioni umane.
Molte immagini mi hanno ispirato indirettamente, che siano dipinti classici o film ma suppongo che alcuni vecchi libri come la Divina Commedia o la raccolta de Le Mille e una Notte mi abbiano influenzato maggiormente in questo progetto.

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA SU ESPOARTE #91 (TRIM. N.1 2016)

Gohar Dashti. LIMBO
a cura di Silvia Cirelli

4 febbraio – 16 aprile 2016

Officine dell’Immagine
Via Atto Vannucci 13, Milano

Ingresso libero

Orari: martedì – venerdì: 15-19, sabato: 11-17; lunedì e festivi su appuntamento

Info: +39 02 91638758
www.officinedellimmagine.it

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