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TORINO | Castello di Rivoli | 15 ottobre 2020 – 31 gennaio 2021

di MICHELE BRAMANTE

La mostra di Giulio Paolini al Castello di Rivoli è l’ultima in ordine di tempo che il Museo dedica ai protagonisti dell’Arte Povera, con un programma che lascia intuire, tra i propositi della direttrice Carolyn Christov-Bakargiev, la volontà di raccontare il Movimento patrocinato dal compianto Germano Celant, ma anche di tenere aperto il campo artistico-sperimentale alle sue energie mai sopite. Paolini, il meno “povero” e il più cerebrale del gruppo, dimostra anzi, ancora una volta, una finezza filosofica elegante e precisa come i meccanismi di un orologio barocco o di un astrolabio cinquecentesco. Tre sale dall’atmosfera rarefatta, rigorosa, illusoria ma quasi reale, fissano il tempo eterno e lo mettono in circolo ricominciando dalla fine.

La fine, datata 1960, è il Disegno geometrico, una di quelle opere che scrivono la storia dell’arte. Paolini lo usa come generatore lineare di uno spazio che si estende potenzialmente all’intero universo. Disegno geometrico è una tela bianca ingrigita dal tempo, divisa da linee mediane e diagonali sulle quali l’artista individua, con dei segni a compasso, alcuni punti di orientamento per la futura composizione della figura. Così impostato, in verità, il quadro funziona da matrice non di una figura, ma di ogni figura possibile. A partire dalla squadratura della superficie, che abitualmente serve solo da appoggio iniziale, qualunque immagine può essere gradualmente costruita. Con Disegno geometrico la pittura viene quindi ridotta alla sua chiarezza verginale attraverso un processo di messa a nudo del suo corpo fisico. Un desiderio di purificazione che ha qualcosa di simile alle indagini analitiche della nascente Arte Concettuale, ma solo formalmente. L’Arte Concettuale voleva che l’opera non mostrasse altro che la sua stessa idea. Paolini ha piuttosto materializzato l’istante che unisce le unità pittoriche nel flusso temporale dell’arte, ovvero, in senso universale, l’attimo che succede a tutta la pittura già compiuta e annuncia quella ancora da compiersi, il puro “presente dipinto” tra passato e futuro della pittura.

“Le Chef-d’oeuvre inconnu”, 2020, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino Donazione dell’artista

“Le Chef-d’oeuvre inconnu”, 2020, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino Donazione dell’artista

Lo spazio generato nella sala coincide con l’installazione Le Chef-d’oeuvre inconnu, che sviluppa nell’ambiente le istanze bidimensionali di Disegno geometrico. Il pavimento della sala è squadrato come la tela. Nei punti di intersezione segnati a compasso stazionano dei cavalletti che portano dei quadri vuoti, rivolti alternativamente verso l’interno e verso l’esterno. Ad essi fanno da contrappunto sulle pareti alcuni disegni che giocano vertiginosamente con lo statuto della rappresentazione: perché tracciati concretamente sugli intonaci rinunciando al supporto illusionistico della tela; perché intersecati da cornici che separano il disegno dalla realtà, e perché sulla superficie tangibile dei muri sono abbozzate alcune finte prospettive.

Nonostante il forte senso di astrazione, si inganna chi non riconosce l’aspetto figurativo. Passando davanti ai quadri vuoti sui cavalletti vediamo, dall’altra parte, l’immagine del mondo in cornice. Passandogli dietro entriamo nell’immagine del mondo. L’opera è una partitura musicale intorno al dilemma realtà/finzione che attraversa l’intero universo. Al centro, sospesa tra Terra e Cielo, levita una stella trasparente, il nucleo da cui si irradia la realtà come rappresentazione. Sotto di essa, appoggiato sul pavimento cosparso di un cielo di carta strappato, un cavalletto significativamente vuoto, perfettamente verticale e puntato verso la stella, assume quindi il valore simbolico di axis mundi, attorno al quale tutta la realtà si spazializza come messa in scena del cosmo.

Nella seconda sala una fatalità terrestre si unisce al macrocosmo stellare. Davanti alla fotografia in negativo di una stella luminosa una teca conserva l’orologio che Paolini ha portato fin dalla sua prima comunione, e che, d’improvviso, ha smesso di contare il tempo dopo settant’anni: un evento fulmineo, disceso dalla sfera celeste del caso seguendo la stessa traiettoria del lancio di dadi di Mallarmé.

Omega 1948-2018, 2019, Courtesy l’artista

Omega 1948-2018, 2019, Courtesy l’artista

Poco più in là, nella stessa sala, un cielo di stoffa divide un cumulo di cornici vuote da un mucchio di fotografie che ritraggono la stessa opera di cui fanno parte, mentre la lavagna luminosa di No comment (1991) si sforza di proiettare verso l’esterno l’idea di un cielo che si scontra con il cielo esistente. Qui anche la finestra sembra avere un ruolo tanto fondamentale quanto ambiguo, se si ricorda che nel De Pictura Leon Battista Alberti mette a punto la definizione rinascimentale del quadro come una “finestra aperta sul mondo per donde io miri quello che quivi sarà dipinto”.

No comment, 1991, Courtesy l’artista

No comment, 1991, Courtesy l’artista

L’ultima sala, a cui l’artista dà il titolo di “Fine” senza fine, conclude il percorso iniziato con Disegno geometrico e la sua “fine”. Tra i ritratti antitetici di Plotino – che condannava l’immagine perché inferiore alla realtà – e di Narciso – innamorato a tal punto dell’immagine da perdere la vita per abbracciarla -, aleggia anche lo spettro dell’autoritratto di Paolini. Molte le copie dei suoi appunti disseminate in più opere. Una fotografia del suo studio fa da sfondo alla riproduzione di una scultura di Vincenzo Gemito, a sua volta ripresa da una statua pompeiana di Narciso. Al centro della sala fa da contrappunto alla stella iniziale una valigia aperta, anch’essa sospesa a mezz’aria, da cui sono caduti dei vestiti che giacciono sul pavimento, vuoti, come se l’artista volesse evocare una sparizione: l’autoritratto è impossibile, così come il cielo non può essere ricreato. Davanti a se stesso Paolini non sa decidersi su quale dei volti speculari sia quello vero. Nel proprio spettro, che si avverte e non appare, l’artista ha replicato per l’uomo tutto il potenziale che Disegno geometrico aveva per la pittura. Il ritratto impossibile è il punto extraumano tra i singoli uomini, ovvero quello che unisce gli uomini esistiti con tutti gli uomini ancora possibili. Eterno ritorno dell’immagine.

Deposizione (Deposition), 2018-2020, Courtesy l’artista

Deposizione (Deposition), 2018-2020, Courtesy l’artista

Giulio Paolini. “Le Chef-d’oeuvre inconnu”
a cura di Marcella Beccaria

15 ottobre 2020 – 31 gennaio 2021

_In ottemperanza al DPCM del 4 novembre 2020, il Castello di Rivoli Museo d’ Arte Contemporanea e Villa Cerruti  a partire dal 6 di novembre e sino al 3 di dicembre saranno chiusi al pubblico. È possibile seguire le attività sui social del Museo (instagram, facebook e twitter) nel Cosmo Digitale: https://www.castellodirivoli.org/mostra/cosmodigitale/

Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia Rivoli (Torino)

Secondo piano Castello, Sale 18, 33, 32

Info: +39 011 9565222 – 9565280
info@castellodirivoli.org
www.castellodirivoli.org

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