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SAVONA | Museo della Ceramica | Fino al 14 febbraio 2022
MATERA | MUSMA | 11 DICEMBRE 2021 – 27 MARZO 2022

Intervista a GIOVANNI GAGGIA di Francesca Di Giorgio

Da Nord a Sud, da Savona (e Albissola Marina) a Matera e viceversa. Due progetti in corso distanti geograficamente danno lo spunto per guardare da vicino il pensiero di Giovanni Gaggia. Dico il pensiero perché è dall’intangibile, dall’insondabile che nasce ogni suo lavoro. Per chi conosce la ricerca dell’artista marchigiano potrebbe sembrare contraddittorio se pensiamo alle sue performance, basate spesso sulla presenza fisica del corpo, sulla nostra natura carnale e sulla relazione con l’altro. In vero, Gaggia ci trasporta in uno spazio in limine, sulla soglia tra corporeo e incorporeo lasciando sempre un varco per il fluire del tempo e dello spazio. È così che nascono opere come processi articolati che implicano dialogo, confronto e partecipazione. Caratteristiche proprie delle due mostre in corso in questi mesi, risultato di processi che hanno, ancora una volta, nel tempo il loro metro. Questo, in parte, spiega la natura composita di ogni progetto che attraversa fasi differenti. Così è stato per Ho visto un’alba blu al Museo della Ceramica di Savona che ha avuto come primo step un laboratorio d’arte relazionale “Cuore a Dio. Mani al Lavoro” – a cura di Livia Savorelli, un progetto dell’Associazione Arteam, in collaborazione con Caritas Savona, Antico Giardino, Laboratorio L.  e per IL TEMPO SE NE VA, una personale, a cura di Simona Spinella e Tommaso Evangelista, anche in questo caso, una mostra maturata in un lungo periodo e che ha avuto come prima fase una residenza-studio tra maggio e giugno 2021. Siamo partiti da qui, dallo scandire una dimensione spazio-temporale dilata…

Partiamo da Savona. I cuori in ceramica, disseminati per il Museo della Ceramica di Savona sono l’esito finale di un percorso…
Sono un uomo che ha deciso di confrontarsi con il tempo, tentando di trasformarlo in un tragitto più consapevole possibile. Questa è divenuta la mia filosofia di vita e si è sposata con la mia pratica artistica. Tendo a trasformare ogni mio progetto in un segmento della mia esistenza. Questo comporta il dilatamento del processo, il quale rimane in constante evoluzione e quindi in tensione. In questo cammino fondamentali sono gli incontri. Tendo a pormi costantemente in ascolto degli altri, certo che le emozioni, le parole e lo stesso pubblico attivo diverranno le fondamenta della mia opera d’arte. Così è accaduto per Ho visto un’alba blu. Era il novembre 2019 quando Livia Savorelli ed Arteam mi invitarono ad Albissola Marina per una residenza d’artista basata sulla ceramica. Fulcro del progetto il luogo stesso di dimora. Una complessa struttura Caritas composta, come la mia pratica, da più elementi: Casa Benedetta Rossello, pensata per accogliere prevalentemente famiglie in stato di disagio sociale con problematiche abitative, l’ostello Le Stuoie, i laboratori di prossimità, di falegnameria e ceramica, rivolti a persone in fascia debole per il loro reinserimento nella collettività. La ceramica è stata per me il pretesto per sviscerare la complessa stratificazione del luogo, generata dagli operatori, i volontari, gli abitanti e i fruitori di quel luogo per me emotivamente destabilizzante. Mi sono immaginato extraterrestre: tutto era da scoprire. Da qui l’unione di più elementi che potessero cucire tutti insieme la terra, le mani, il cuore e il segno. Ero certo, fin da subito, che sarebbe dovuta nascere una grande opera collettiva, non infiniti e frammentati feticci. Ho pensato che l’opera d’arte dovesse essere il simbolo di una nuova comunità basata sull’accoglienza, partendo dall’io più intimo e profondo di ciascuno da analizzare e superare per l’avvicinamento all’altro. Così doveva essere il processo costruttivo e così è stato. Dieci giorni intensi, 100 cuori realizzati, il cancello che separa la struttura dalla comunità albissolese si è aperto ed il fuori è divenuto il dentro e viceversa. Tanti amici artisti e scuole da tutta Italia mi hanno inviato pensieri e contributi. Tutto è stato inciso indelebilmente su cuori di ceramica blu. Poco dopo la mia partenza qualcosa per tutti noi è cambiato, con l’inizio dell’evento pandemico l’intero pianeta si è fermato ma il progetto no. Era stato abbracciato dalla comunità tutta, dalle scuole, dalle istituzioni, dagli operatori culturali e sociali. Laboratorio L (Marco Isaia ed Alessio Cotena) si è fatto carico di conservare e proteggere la matrice, l’elemento principe che ha avviato il tutto e si sono immaginati insieme a Marco Berbaldi ed agli operatori Caritas come far arrivare questo strano oggetto nelle case o nei centri Caritas, donando anche un solo secondo di via di fuga a chi lo ricevesse. Il progetto è proseguito, ora siamo a 150 cuori ospitati dallo straordinario Museo della Ceramica di Savona. In tutti i piani, si sono incastrati alla perfezione con la storia della ceramica, dal ‘600 alla contemporaneità. Nel museo c’è ciò che si vuole proteggere e conservare ad interim.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della Ceramica Savona

In mostra anche il cuore da cui sei partito per il calco che ne ha fatto nascere altri. Un cuore che è anche alla radice della tua ricerca.
Il percorso espositivo si apre con il primo cuore, l’unico non di ceramica. È reale, di maiale mummificato. Quando iniziai a studiare più dettagliatamente il corpo nei primi anni duemila, sentii la necessità di scegliere un elemento rappresentativo, figurativo, forte e diretto, che potesse incarnare le problematiche dell’umano esistere e scelsi proprio il cuore. Andai in macelleria e acquistai un cuore di maiale. Me lo consegnarono aperto, sezionato. Lo ricucii: da lì ha inizio la mia relazione con il filo. Nel 2008 realizzai per il premio Celeste la performance Ali Squamose, alla fabbrica Borroni, dove tre uomini tagliavano tre cuori ed una donna li suturava uno alla volta, ciascuno con un filo diverso, dal nero all’oro. Ricostruiva metaforicamente la scala alchemica. Ecco il motivo per cui iniziai ad usare l’oro che trovate in due punti specifici in questo percorso espositivo. Li conservai nel freezer per anni, fino quando non fui inviato a partecipare nel 2011 a Scicli (RG) per un progetto dedicato al Cristo di Burgos, Discipulos, a cura di Antonio Arevalo. In quell’occasione decisi di presentare proprio i tre cuori di Milano che furono mummificati. Feci trattare anche il quarto prototipo che oggi apre Ho visto un’alba blu.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della Ceramica Savona

Hai invitato tutti a partecipare incidendo il proprio cuore liberamente con segni, disegni e parole. Al momento di costruire la mostra al Museo ti sei trovato di fronte ad una moltitudine di messaggi…
Il gesto è semplice e nel contempo fortemente pregnante. Non si tratta di disegnare ma di incidere, togliere il blu per far emergere il segno bianco. Nell’istante preciso in cui ho rivisto i cuori al Museo, dopo due anni, un carosello di immagini si è palesato in me: volti, mani e storie, tinte; alcune toccanti. Per tentare di rendere questo stato abbiamo deciso di ricostruire un viaggio tra parole, messaggi e stato di cura, nella stanza degli albarelli. Frontale, al centro, il primo cuore con tre lettere incise, HIV, a raccontare una vita sospesa che nonostante le enormi difficoltà tenta di cercare qualcosa di bello. Livia che racconta d’amore, il suo, Nicoletta che si ritrova fisicamente un cuore in mano in un momento importante della sua vita, Luca che stenta nel gesto faticando ad incidere, tanti bambini che raccontano la famiglia. Infine, chi disegna una casa o chi incide una preghiera o chi costruisce sul cuore un manifesto: aprite i porti, aprite i cuori.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della Ceramica Savona

In una delle sale del Museo ci sei anche tu con tre cuori blu in teche di vetro e un arazzo con un grande ricamo. Una parola. “Adesso”…
Accompagno tutto il processo, i primi 100 cuori crudi li ho realizzati io stesso, passandoli di mano in mano. Ho inciso tutti i messaggi delle scuole tra le quali le classi di Andrea Nacciarriti e Luca Caimmi, di alcuni amici artisti: Mario Consiglio, Stefania Galegati, Vincenzo Marsiglia, Angelo Bellobono, Federico Gori, Alessandro Giampaoli, Laura Cionci, Daniele Bordoni, Gianluca Panareo, Gino D’Ugo, Francesca Romana Pinzari, Lucia Lamberti, Rocco Dubbini, Claudio Zorzi, Federica Minelli, Bianca R. Schröder, Aischa Gianna Müller ed infine, Massimo Uberti. La sua scelta diviene l’immagine simbolo del progetto, si ricollega alla filosofia del luogo di residenza, Casa Rossello e al mio oro. Massimo mi inviò in file una riproduzione di un cuore di ceramica blu con su dipinta una casa d’oro. Proprio questo cuore è al centro delle tre teche. Negli altri due, a raccontare la mia vita attraverso il mio corpo, compaiono le tracce delle mie mani e dei miei liquidi corporei. Davanti ad esse un grande ricamo, su una coperta originale della marina militare italiana, con un’unica parola tracciata in oro: ADESSO. Tutta la mostra si sviluppa sul blu, dal cielo al mare e viceversa. L’arazzo sta a simboleggiare il mediterraneo, il ricamo è stato realizzato dalle donne del mio paese in piazza. Volevo che si pensasse alle donne Afghane, ai diritti loro negati.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della Ceramica Savona

Durante il talk di inaugurazione si è riflettuto su altre parole chiave per leggere il tuo progetto tra Albissola e Savona. Se penso alla fragilità del materiale con cui sono realizzati i cuori penso anche al concetto di cura che la tua arte porta con sé…
Ho cercato fortemente un ruolo pregnante nella mia pratica artistica la cura è proprio il culmine della mia aspirazione passando attraverso un processo politico. Credo che questa mostra renda merito a questa intenzione. È concreta, reale, emergono prepotentemente tutti gli uomini e le donne che sono con me in questo viaggio, è una sorta di Quarto Stato blu.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della Ceramica Savona

Mentre la mostra al Museo della Ceramica di Savona è ancora in corso, per la Giornata del Contemporaneo inauguri una personale al MUSMA di Matera. Si tratta di una narrazione sul Tempo e anche in questo caso alcune parole fanno da guida.
IL TEMPO SE NE VA. Ci sono tutti gli elementi già raccontati, ma in questo caso prendono un’altra forma. Siamo a Matera, in maniera non del tutto consapevole mi sono ritrovato a costruire un viaggio che trattasse il tema della madre, partendo dalla terra. Il processo espositivo si sviluppa dall’esterno e in tutte le sale del museo, dagli ipogei fino al salone delle feste. Come a Savona, il mio cruccio è stato quello di creare un museo vivo, pulsante. In questo caso ho lavorato sulla percezione, tentando di trasformare il museo in un teatro. La mostra è interattiva, senza particolari necessità tecnologiche. Anche in questo caso la comunità si avvicina, è parte attiva e contribuisce alla realizzazione dell’opera e per tutta la durata dell’esposizione il pubblico verrà chiamato ad interagire con la parte centrale dell’esposizione. Il cammino è totalmente immersivo. È un percorso ad anello che termina, ricomincia e può essere invertito. Ci sono Joseph Beuys e Pier Paolo Pasolini. Se a Savona le finestre guardano il amare, qui le finestre del museo sono fisicamente aperte sulla terra, sulla Murgia. È stato un cammino difficilissimo: Matera è stata trattata dai grandi autori nel cinema e nella fotografia. È densa di sofferenza e strutturalmente emerge dal basso. Mi sembrava impossibile tradurre tutto ciò. Ho scelto di pianificare il mio viaggio analizzando il dentro e il fuori, del museo. La conoscenza del luogo è iniziata da remoto, in un progetto di alternanza scuola-lavoro con il liceo artistico di Acqua Viva Delle Fonti (BR), per proseguire in una residenza a maggio ed una performance a luglio scorso. Proprio dalla azione si va a nutrire il percorso espositivo, un atto di danza contemporaneo ripetuto in due momenti. Uno all’alba, nel punto esatto dove Pasolini girò la scena del sepolcro nel Vangelo Secondo Matteo, in pieno parco naturale, con Matera di fronte. Il secondo atto è stato realizzato all’ora del tramonto, nel museo. Il pubblico avrà modo di confrontarsi con entrambe le immagini, video e fotografiche. L’ultimo elemento o il primo, dipende da come si decide di compiere il percorso, sono due grandi arazzi: due coperte matrimoniali, una sorta di teatro di tessuto, sul fondale una rosa ricamata il cui filo arriva a terra e costruisce la frase IL TEMPO SE NE VA.

Giovanni Gaggia, IL TEMPO SE NE VA, Il tempo del ricamo. Foto: Michele Alberto Sereni

IL TEMPO SE NE VA e Ho visto un’alba blu. Sono progetti sviluppati nei tempi difficili che stiamo attraversando ma entrambi non hanno rinunciato al dialogo attivo con la comunità che li ospita. Due progetti distanti geograficamente ma con punti di contatto che si ricollegano anche a tutta la tua ricerca…
Scrivendo mi appare chiaro che c’è qualcosa che unisce i due progetti: le prime luci del mattino. L’alba, quando il cielo cambia colore, a Savona è metaforico, mentre a Matera è reale. Entrambi sono sviluppati nel giusto tempo, lungo e meditativo, sedimentando il tanto assorbito per giungere a maturazione. Io sono un artista che ha deciso di ritirarsi, la dimensione della terra mi dà forza, mi aiuta a vivere. Questa pratica mi permette di uscire fuori quando è giusto farlo, ovviamente per il mio sentire. In entrambi i progetti il filo si fa metafora della tessitura delle relazioni, degli incontri, delle parole. Le comunità generano parte dell’impianto installativo: a Savona con le mani, a Matera con la voce. C’è la terra vissuta ed utilizzata in tempi differenti, c’è la luce, il filo oro. Ci sono i segni: a Savona corrono nella ceramica, a Matera nel pavimento. C’è la luce: a Savona emerge dal mare, a Matera esplode e riesce a tingere tutto d’oro. A Savona le storie sono raccontate, a Matera sono cantate fino a costruire uno spettacolo vero e proprio, fino a sfociare nelle note di Diamanda Galàs. Poche parole tratte dalla sua interpretazione di Supplica a mia Madre, nel momento esatto in cui il danzatore, Paolo Rosini, dal museo guarda fuori la voce recita “Tu sei l’unica al mondo che sa”.

Giovanni Gaggia, IL TEMPO SE NE VA, MUSMA 2021. Foto: Michele Alberto Sereni

Giovanni Gaggia. HO VISTO UN’ALBA BLU
a cura di Livia Savorelli
Un progetto di Associazione Culturale Arteam e Fondazione Diocesana Comunità Servizi – Caritas Savona Noli

in collaborazione con MUSA – Civici Musei Savona, Museo della Ceramica di Savona, Fondazione Agostino De Mari, MuDA – Museo Diffuso Albisola, Laboratorio L, Italia Nostra – Sezione di Savona

30 ottobre – 14 febbraio 2022

Info: +39 019 827724
info@fondazionemdc.savona.it
http://musa.savona.it/

Giovanni Gaggia. IL TEMPO SE NE VA
in occasione della XVII Giornata del Contemporaneo promossa da Amaci
a cura di Simona Spinella e Tommaso Evangelista

11 dicembre 2021 – 27 marzo 2022
Inaugurazione sabato 11 dicembre con una replica della performance di Paolo Rosini 

MUSMA Museo della Scultura Contemporanea Matera
Palazzo Pomarici, Via San Giacomo (Sasso Caveoso)

Info: +39 366 9357768
info@musma.it
www.musma.it

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