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ANCONA | Museo Tattile Statale Omero | Mole Vanvitelliana

intervista a GIOVANNI GAGGIA di Livia Savorelli


“Noi siamo la memoria che abbiamo

e la responsabilità che ci assumiamo:
Senza memoria non esistiamo e senza
responsabilità forse non meritiamo di esistere”.
José Saramago


L’occasione di questa intervista è stata l’invito ricevuto da Giovanni Gaggia a partecipare, come una delle voci narranti, ad un progetto corale presentato ad Ancona al Museo Tattile Statale Omero, “una meditazione intima e personale sulla funzione civile, sociale e politica dell’azione creativa”, perché come lui stesso ci ricorda “la storia
si tesse insieme, dalla piccola e quotidiana memoria personale ad una più ampia e collettiva”. E la storia, intorno alla quale si sviluppa questa narrazione a più voci è una delle pagine più tristi della Storia del nostro Paese: la Strage di Ustica.
27 giugno 1980 – 27 giugno 2020: da quel tragico giorno, sono trascorsi quarant’anni e tale è stato il tempo lento entro il quale la giustizia è riuscita a far emergere una, seppur incompleta, verità.
La frase Quello che doveva accadere, titolo del progetto, scandisce una pratica decennale di Gaggia che cerchiamo di ripercorrere attraverso dei momenti chiave che hanno come teatro le due città di partenza e di arrivo dell’itinerario di volo del DC-9 della compagnia Itavia – Bologna e Palermo – e Ancona, città di origine dei proprietari della compagnia, la famiglia Davanzali…

È da più di dieci anni che porti avanti una riflessione profonda e strutturata sulla Strage di Ustica, che si ricollega ad una pratica che indaga il legame tra arte e memoria. Un progetto complesso che si è articolato in diverse tappe, che hanno toccato diverse città: Bologna, Palermo e Ancona.
Bologna: la folgorazione che ha dato origine a questo percorso è avvenuta nel 2010, durante una visita al Museo per la Memoria di Ustica, osservando la potente installazione di Christian Boltanski. Cosa hai provato e che direzione ha preso la pulsione creativa da essa innescata?
La voce e la parole. Il suono esce dagli specchi neri ed opachi, ricordo in maniera nitida alcune frasi. Il ritorno a Palermo per le vacanze, specificando che Bologna è la città di lavoro o l’attesa del dolce della nonna. Boltanski è riuscito ad andare oltre la memoria dell’accadimento, rendendo l’opera viva, eterna. Per me quel dolce ha significato immediatamente una crostata: quella che usciva dal forno a legna di mia nonna. Ho subito visto il nero di quella canna fumaria affumicata da decenni di pani, emergeva un ricordo, di una casa e di un rito. Fu per me detonante, quell’opera riusciva ad essere di tutti. Si intrecciavano valori fondanti nell’esistenza di ogni uomo, personali e civili.

Giovanni Gaggia, Sanguinis suavitas, 2010, sangue e matita su carta cotone, cm 56×76

Ritornando nel mio studio, che era già nella casa dei miei nonni e ed era già Casa Sponge, iniziai a disegnare. Pensare a quella storia con la matita in mano, mi permise di meditare lungamente sulle motivazioni che mi spingevano ad agire ed era fisicamente doloroso. Quell’opera era immensa ed io insignificante, anche nei confronti del fatto. Era però per me di vitale importanza, come uomo ed artista, riuscire a trovare una strada, stilistica ed etica di forma e sostanza. Prese il via uno studio che prosegue tutt’oggi, intorno alla memoria viva, quella memoria che spesso si può comporre di piccoli elementi che se analizzati attentamente rischiano di divenire universali. Una parola che diviene odore, quel dolce che diviene così indissolubile profumo.

Giovanni Gaggia, INVENTARIUM. Ph. Cristina Villani

Bologna è anche luogo dell’incontro con Daria Bonfietti (Presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della Strage di Ustica) che ti dona la frase Quello che doveva accadere. Cosa ricordi di quel giorno e quali orizzonti ti hanno subito aperto quelle parole?
Daria Bonfietti la incontrai qualche anno dopo. Accadde di fronte al relitto dell’aereo e la frase che pronunciò dopo i saluti iniziali la feci mia, era: “Quello che doveva accadere”. Lapidaria, glaciale. Che cosa doveva accadere quel 27 giugno del 1980? Oggi sappiamo che cosa è accaduto. La Cassazione, nel 2013, conferma la sentenza con la quale vengono condannati due ministeri dello Stato italiano Trasporti e Difesa per non aver fatto abbastanza per garantire la sicurezza dei nostri cieli.
Ho voluto dare alla frase un senso differente, Quello che doveva accadere per me era ed è giungere alla verità.

Palermo: nel 2015 questa frase viene per la prima volta ricamata su un arazzo ma con la “e” finale incompleta a testimonianza di una storia non ancora conclusa. Ci racconti come si è conclusa l’azione con l’omaggio alle 81 vittime?
Esattamente è metafora di sospensione. Da quel 2010 gli incontri sono stati molteplici, ho incamerato storie di vita di uomini e di donne che, da quel tragico istante, rimasero in attesa di risposte. Come una spugna – ma capace di mutare lo stato delle cose – ho incamerato e restituito il tutto in un’opera senza rivelare i racconti personali.

Giovanni Gaggia, Quello che doveva accadere, 2015, ricamo (particolare dell’opera)

Ho realizzato un arazzo, in due tempi, il primo per Palermo in occasione della mostra a cura di Serena Ribaudo, nella cavallerizza dei palazzi Costantino e Di Napoli di Bilotti, dove l’arazzo fu installato per la prima volta, sospeso nella parte terminale dell’architettura dello spazio. La frase è ricamata con un filo color sanguigna, a richiamare il plasma ossidato è concretata fino alla penultima lettera, campeggia nella fascia centrale del telo con la “e” finale tracciata a matita bianca.
L’opera fu terminata in pubblico a Bologna alla Gallleriapiù il 27 giugno dello stesso anno, ricamai la “e” con un filo più sottile, la verità è parziale, non sappiamo ancora da chi partì quel missile. Il tempo del gesto si scandiva punto dopo punto, con 9 sassolini che facevo cadere a terra, ricordando l’usanza ebraica di posare un piccola pietra sulla tomba del proprio caro, non appassisce come un fiore e rende eterno un passaggio di un istante.

Giovanni Gaggia, QUELLO CHE DOVEVA ACCADERE, 2017, stampa fine art su carta cotone, cm 30×40, ph. Michele Alberto Sereni

Ancona è una città molto importante in tutta la narrazione, è l’inizio e la fine di tutto: è la città di origine della famiglia Davanzali, armatori proprietari della compagnia aerea Itavia a cui apparteneva il DC-9 abbattuto.
La città di Ancona è teatro di due interventi: nel 2017, nel Porto Antico di Ancona, con la performance Quello che doveva accadere/INVENTARIUM (alla quale partecipano anche le figlie di Davanzali, Luisa e Tiziana) e, a fine 2020, con il progetto inaugurato il 27 dicembre, che chiude idealmente il cerchio, Quello che doveva accadere al Museo Tattile Omero.
Possiamo considerare che in entrambi i momenti ci sia una riappacificazione nella storia, attraverso la memoria? Se si attraverso quali diverse modalità?
Una volontà, un ricordo, una storia: quella di Luisa e Tiziana Davanzali. Il desiderio di omaggiare la figura del padre Aldo e di raccontare la storia di una grande azienda: l’Itavia. La città di Ancona ha visto per decenni attraccati sul porto i 2 rimorchiatori dell’azienda che si chiamavano Luisella e Tiziana. I loro racconti mi spinsero a modificare e a ripetere la performance. Scelsi il porto antico della città e sotto l’Arco di Traiano decisi di disfare la “e” finale dell’arazzo e di ricamarla ancora una volta.

Giovanni Gaggia, Quello che doveva accadere, performance, 2017, porto Antico, Ancona, foto Michele Alberto Sereni

Era il 9 giugno del 2017 all’inizio di un nuovo giorno. Ad Ancona il sole sorge dal mare e tramonta in mare. L’arazzo è stato piegato e riposto nella scatola con la quale ha viaggiato da Palermo a Bologna, tragitto inverso qui metafora del viaggio della vita.
Oggi siamo ancora sul porto della città dorica, a due passi da dove quattro anni fa si svolse l’azione. Siamo alla Mole Vanvitelliana al Museo Tattile Statale Omero con una nuova opera pensata per essere permanente. Evoluzione e risoluzione della precedente. Ora c’è un luogo importante che si fa carico di continuare a raccontare la vicenda. Accade nell’anno in cui il termine pacificare in relazione a questa tragica vicenda appare quanto mai calzante. A giugno decollerà proprio da Ancona la nuova compagnia aerea voluta da Luisa: Kairos Air.

Giovanni Gaggia, Quello che doveva accadere, performance, 2017, porto Antico, Ancona, foto Michele Alberto Sereni

Nel quarantennale della Strage (che coincide con il decennale del tuo impegno), il progetto per il Museo Omero, un’installazione sonora a più voci che ruota intorno ad un arazzo che quella famosa frase, Quello che doveva accadere, la riporta in braille. Hai voluto attuare una restituzione che, nel nome della memoria, fosse il più ampia possibile?
Un nuovo arazzo, ora orizzontale a differenza del primo che è verticale e pensato per esser fruito toccandolo. È ricamato nel fronte e nel retro, ha una estetica definitiva. Sono tre metri e cinquanta di ricamo in Braille. Il Museo tattile Statale Omero ha come sua base filosofica l’accessibilità per tutti. Nasce per far conoscere le opere attraverso il tatto ed è uno dei pochi istituti nato per far vedere le opere con le mani. È per me fondamentale dare l’idea di un’opera corale, da qui la definizione di un intervento personale a più voci. La storia si tesse insieme, dalla piccola e quotidiana memoria personale ad una più ampia e collettiva. Una sorta di riappropriazione del termine politica attraverso l’opera d’arte.

Giovanni Gaggia, Quello che doveva accadere, 2020, particolare dell’opera. Ph Mattia Galantini

L’atto finale consisterà nuovamente in un’azione che sarà fruibile in presenza quando l’emergenza sanitaria lo renderà possibile. Ci vuoi anticipare i contenuti dell’azione e il significato che le attribuisci?
È un gesto che conosci, oramai quasi due anni fa iniziai a pensarlo per un tuo progetto a cui presi parte. L’opera verrà arrotolata e chiusa in un tubo di metallo sul quale in braille sarà incisa la frase: Quello che doveva accadere. Di solito il braille si legge con l’indice della mano destra, le lettere dell’arazzo hanno una dimensione più grande, sono pensate per il palmo della mano. Una sorta di Sefer Torah, il rotolo in cui è trascritta la Tōrāh il testo sacro ebraico che, nella forma tradizionale, è arrotolato e conservato nell’Aron, l’armadio sacro. I rotoli della legge ogni sabato vengono srotolati letti durante la funzione e riposti nell’armadio sacro.
L’arazzo una volta riposto, verrà srotolato ed esposto soltanto in momenti importanti, quotidianamente l’opera sarà fruibile attraverso il tubo e i 36 contributi audio.

Aldo Grassini, Presidente del Museo Omero, intento nella fruizione dell’opera Quello che doveva accadere di Giovanni Gaggia

Mi piacerebbe chiudere questa intervista, chiedendoti di unirti al coro delle voci, rispondendo tu stesso alla domanda con la quale ci hai coinvolti nella riflessione: “Analizziamo i termini Tempo e Giustizia in relazione a questa tragica vicenda, inoltre, se lo è stato, che valore ha l’aver affidato la memoria all’arte?”.
Tracciamo insieme un bilancio di un progetto longevo, emotivamente difficile e fortemente impegnativo, che si chiude con una sentenza in cui la verità affianca un desiderio di giustizia per anni negato…
Negli occhi ho i molteplici viaggi e i volti delle persone che mi hanno raccontato le loro storie, una per tutte Fortuna Piricò vedova Davì. L’unica pagina personale rivelata e pubblicata, si parla di percezione e di odore della pelle. Nelle orecchie ho una sorta di eco che risuona, si compone delle vostre parole e si appoggiano l’una sull’altra componendo un nuovo suono. Sono spesso racconti personali, Elena Bellantoni e Patrizia Zelano sono bambine, la seconda origlia una conversazione del padre, Paola Nicita è in redazione, Cristiana Colli è adolescente, Tommaso Evangelista sta guardando un film “Il tempo non muore il cerchio non è rotondo”, Daniele Capra conta i secondi che passano in attesa del caffè, Cesare Viel, legge la poesia: MEMORIA di Natalia Ginzburg […] Io ritorno a casa e prendo in mano il filo.
L’arte è ciò che permette al sipario di rimanere aperto, le luci non si possono spegnere e si rimane a guardare, il tempo è quello dell’attesa. È il dieci giugno dello scorso anno quando una nuova pulizia dell’audio della scatola nera suggerisce una nuova versione delle ultime parole del copilota: “Guarda Cos’è”. Pochi mesi prima la pubblicazione della sentenza della corte di appello di Roma che condanna i Ministeri dei Trasporti e della Difesa al risarcimento di 330 milioni di euro agli eredi del titolare della compagnia ITAVIA. Il 27 giugno del 2020 sono passati quarant’anni.

Giovanni Gaggia. Quello che doveva accadere
un intervento personale a più voci di Giovanni Gaggia

a cura di Stefano Verri

Museo Tattile Statale Omero
Mole Vanvitelliana
Info: 071 2811935; redazione@museoomero.it
www.museoomero.it

Voci:
Francesco Arena, Milena Becci, Elena Bellantoni, Luca Bochicchio, Daria Bonfietti, Daniele Capra, Rossana Ciocca, Cristiana Colli, Mario Consiglio, Luisa Davanzali, Tiziana Davanzali, Tommaso Evangelista, Donatella Ferrario, Elena Forin, Pietro Gaglianò, Laura Garbarino, Lucia Giardino, Azzurra Immediato, Juan Pablo Macías, Desirée Maida, Davide Mariani, Massimo Mattioli, Paolo Mirti, Santa Nastro, Paola Nicita, Maria Letizia Paiato, Emilia Pignatelli, Maria Savarese, Simona Spinella, Filippo Riniolo, Mustafa Sabbagh, Livia Savorelli, Cosimo Terlizzi, Sabrina Vedovotto, Cesare Viel, Alice Zannoni, Patrizia Zelano.

I diversi contributi (in progress) sono ascoltabili, qui:
www.museoomero.it/mostre/mostra-quello-che-doveva-accadere/

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