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FAENZA | Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza | 1 giugno – 6 ottobre 2019

di Luca Bochicchio

Chi è Miquel Barceló? Io credo che la mostra inaugurata il 30 maggio 2019 dal Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza offra la rara e unica opportunità di conoscere una porzione non trascurabile dell’animo di quest’uomo, di questo artista, considerato e noto globalmente come uno tra i principali interpreti della pittura contemporanea a partire dal 1982, quando giovanissimo esordì sul palcoscenico internazionale di dOCUMENTA 7, a Kassel.

Miquel Barceló, veduta di allestimento (particolare), MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Foto di Andrea Piffari

Di questi ed altri contrappunti del percorso poetico e umano di Barceló offre una lucida e sintetica visione, nel testo in catalogo (Silvana Editoriale, in corso di stampa), Irene Biolchini, che con Cécile Pocheau Lesteven ha curato la mostra per il MIC. Biolchini conosce profondamente il lavoro di Barceló, ne ha fatto il suo studio di dottorato, e questa conoscenza emerge plasticamente non soltanto nell’allestimento ma anche in un libro parallelo e intellettualmente raffinato, pubblicato da Mimesis International in contemporanea all’inaugurazione della mostra: Autoréférence infinie. Individual, community and history in Miquel Barceló’s works. D’altro canto, anche Pocheau Lesteven (conservatrice responsabile della collezione di stampe contemporanee alla Bibliothèque National de France) è figura di garanzia in questo ticket curatoriale al femminile, svolgendo già da lunga data un lavoro di documentazione critica dell’attività dell’artista maiorchino.

Miquel Barceló, veduta di allestimento, MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Foto di Andrea Piffari

La lettura che il MIC offre dell’opera di Barceló è, naturalmente, orientata al suo lavoro ceramico. Mai come in questo caso, però, tale prospettiva metodologica risulta illuminante sulla totalità del processo poetico e creativo di un artista, divenendo in tal senso esemplare di come nel contemporaneo (ma solo in alcuni casi, io credo, non valendo purtroppo per tutti gli esponenti del circo corrente delle arti plastiche e visive) la ceramica sia forse il solo mezzo trans-mediale e trans-disciplinare in grado di comprendere in sé (in modo del tutto modesto e senza trionfalismi, quasi subliminale) i molteplici versanti linguistici ed espressivi che un artista può percorrere con altri media, con altre tecniche.

Miquel Barceló, veduta di allestimento, MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Foto di Andrea Piffari

Barceló lo dichiara all’apertura della mostra e lo ribadisce in conferenza stampa: “ho sempre considerato la ceramica come la pittura, e non l’ho mai pensata separata dal mio corpus artistico”, aggiungendo: “il museo di Faenza è il deposito della memoria ceramica europea e mondiale degli ultimi cinquemila anni, e ogni volta che l’ho visitato ho potuto imparare qualcosa per la mia ceramica”.
La direttrice del MIC Claudia Casali sottolinea il successo di un’operazione che può essere letta secondo una doppia prospettiva: quella che colloca Faenza e dunque il nostro Paese su un piano di indagini e confronti internazionali, essendo questa la prima antologica italiana dedicata a Barceló, e quella che guarda ai valori interni del museo, interrogando periodicamente le collezioni storiche attraverso il confronto con i maestri o le frange più attuali dell’arte contemporanea.
La mostra ripercorre, in maniera sincronica e non diacronica (e qui sta una delle chiavi di volta di una costruzione narrativa vincente), tutti i trent’anni di rapporto dell’artista con la ceramica, un rapporto iniziato alla fine degli anni Novanta in Mali, in Africa, e che l’ha visto compiere un percorso quasi iniziatico a partire dalla preparazione dell’argilla con la paglia, fino alla cottura arcaica, secondo le antiche tecniche dogon.

Miquel Barceló, Wittgestein, 2018, terracotta e smalti. Courtesy Archive Barceló, ph. Agustì Torres

Questa esperienza si è evoluta nel tempo in un progressivo sviluppo della scultura ceramica nel suo studio di Mallorca, parallelamente a una riflessione sui concetti di primitivo-ancestrale e modernità, che vengono esplorati attraverso numerosi cicli che costituiscono le tappe, liberamente percorribili all’interno di due grandi sezioni del MIC, di un viaggio di scoperta di sé, del mondo e del pensiero: gli autoritratti, i neri, il mare, le tauromachie, i filosofi, la famiglia, le avanguardie storiche.
Tra auto-fiction e détournement, l’artificio di Barceló sortisce sempre un effetto di stupore autentico, e riesce a non farti vedere (rarissimo in mostre di questo genere) la ceramica, ma quello che attraverso di essa anima i nostri sogni: e quindi vediamo animali, vediamo danze, vediamo battaglie, vediamo, in una parola, il mito.
Una mostra capace di attraversarti come un fiume, appunto, lasciando in dono un sottile strato di indistinguibile limo, come una sorta di dolce nostalgia per quel che sei, in cui ti riconosci.

Miquel Barceló, veduta di allestimento, MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Foto di Andrea Piffari

Miquel Barceló.
“Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume” J. L. Borges, “La nuova confutazione del tempo” (1946)
a cura di Irene Biolchini e Cécile Pocheau Lesteven

1 giugno – 6 ottobre 2019

MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza
viale Baccarini 19, Faenza (RA)

Orari: mar-dom 10-19, chiuso i lunedì non festivi e il 15 agosto

Info: 0546 697311
www.micfaenza.org

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