MILANO | FABBRICA EOS | 8 maggio – 28 giugno 2014
Intervista a RUGGERO ROSFER di Alessandro Trabucco
Free to Dream è il titolo della mostra che Ruggero Rosfer presenta da Fabbrica Eos a Milano, inaugurata in occasione del Photofestival 2014. Il fotografo si è recato in India, precisamente a Jaipur in Rajasthan, ed ha incontrato, dopo un vero e proprio casting, alcune persone della comunità degli Intoccabili, persone disagiate che vivono in baracche senza alcun servizio, coinvolgendole in un singolare progetto video fotografico dai risvolti umani molto significativi e toccanti. Tutto ciò si svolge avendo come riferimento principale il cinema indiano, quindi Bollywood diventa il fulcro sul quale far ruotare liberamente i sogni e l’immaginazione dei protagonisti di questo lavoro, che vivono per un momento come fossero le star nazionali. L’esposizione presenta nove immagini fotografiche di grande formato ed altrettanti video realizzati dalla regista Monica Onore che riprendono queste persone nella loro quotidianità.
Come è nata l’idea del progetto Free to Dream? Perché hai scelto l’India e la comunità degli Intoccabili?
Dal desiderio di parlare della realtà delle caste indiane, ufficialmente abolite, invece ancora fortemente presenti nella società indiana. Si nasce e si cresce all’interno della stessa casta, quindi nell’impossibilità di elevarsi ad una casta superiore. Per questo ho scelto l’India come palcoscenico dei miei ritratti e in particolare ho scelto la comunità degli Intoccabili, o “senza casta”, perché loro incarnano in modo ancor più significativo questa impossibilità di “redenzione”. Il titolo del progetto spiega con semplicità l’intenzione di regalare loro un momento di sogno, “liberi di sognare” ad occhi aperti. Ed è qui che sono intervenuto proiettando “forzatamente” su di loro un’idea di sogno utopistico (di chiara visione occidentale) com’è quello di diventare star del cinema bollywoodiano. Ciò che ho costruito su ognuno dei nove soggetti ritratti si scontra poi con i loro sogni reali, invece molto terreni e semplici, che sono affiorati spontaneamente durante le interviste realizzate dalla regista italiana Monica Onore, che mi ha affiancato durante l’intera produzione di questo progetto, realizzando anche i video-ritratti delle persone fotografate.
Parlaci delle fasi più importanti della sua realizzazione…
La produzione è stata molto complicata, a partire dalla scelta della comunità degli intoccabili, persone che hanno dimostrato inizialmente una grande diffidenza. Siamo stati aiutati in questo dall’ottima assistenza di un brillante giovane indiano (Gopal) che è stato nostro intermediario, spiegando al capo villaggio che le nostre intenzioni erano documentaristiche. Un momento importante e non semplice è stato il casting delle persone da fotografare, scelte tra centinaia che si ammassavano intorno a noi. Ho voluto racchiudere nei nove soggetti selezionati l’idea di ogni generazione, dalle bambine, ai ragazzi, alle madri, ai giovani padri fino agli anziani.
Un’altra fase importante è stata la scelta (necessaria) di far arrivare un camion con generatore di energia elettrica, per poter alimentare le lampade scelte per la scenografia del set. Se pensiamo che questa gente vive senza luce e senza acqua corrente, potete immaginare che situazione di grande euforia abbia creato l’aver illuminato per la prima volta le loro baracche.
Che tipo di relazione umana sei riuscito ad instaurare con le persone del luogo che hai fotografato?
Semplice e forte allo stesso tempo. I primi a venirci incontro sono stati i bambini, che volevano un abbraccio. Poi un anziano si è diretto verso di noi e questa persona (Prabhu Ram) si è poi rivelata essere un personaggio unico, ricco di carisma e curiosità, che ci ha aiutato a convincere gli altri membri della comunità ad accettare di farci entrare nelle loro case e quindi nel loro mondo. Inoltre questo signore è stato un verso protagonista sul set, posando con grande fascino e lasciandosi andare in un’interminabile risata, che è poi stato un elemento chiave grazie al quale siamo stati guardati come minor diffidenza da parte di tutta la comunità che era sempre presente durante tutte le fasi di realizzazione del lavoro.
Pensi di estendere ad altre città del mondo questo progetto?
Certamente questo progetto vuole essere il primo passo, partito dall’India, di una successiva serie di altre produzioni da realizzarsi nelle zone più disagiate di molti altri paesi, sempre nell’ottica di “vedere” tali comunità di emarginati nella duplice veste di utopia e realtà.
Free to dream. Ruggero Rosfer
8 maggio – 28 giugno 2014
Fabbrica Eos Arte Contemporanea
Piazzale Baiamonti 2, Milano
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