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VERONA | La Giarina Arte contemporanea | 9 ottobre 2021 – 15 gennaio 2022

Intervista a FRANCESCO GARBELLI di Livia Savorelli

«Noi siamo il ruolo che ci attribuisce la società, recitiamo a parti inverse ruoli diversi che, troppo spesso, non incontrano le regole del vivere civile». Il Diario Pubblico di Francesco Garbelli parte proprio da qui, da questa affermazione dell’artista che conferma come l’opera d’arte appartenga alla dimensione privata, fondamentale per la comprensione del messaggio insito alla stessa, ma riguardi altresì la sfera pubblica, perché il “personale è politico” e “perché pubblico è lo spazio d’azione primario senza mediazioni”.
L’intervista a seguire, consci del forte potere anticipatorio dell’opera di Garbelli tanto dal punto di vista comunicativo quanto nell’approccio visuale, in un’epoca non ancora dominata dal web e dai social, ci accompagna in un viaggio che dagli Anni’80 ci porta agli Anni 2000.
Per comprendere il percorso dell’artista – a partire da un importante nucleo di opere della collezione di Cristina Morato ed esposte nella personale Francesco Garbelli. DIARIO PUBBLICO. Dagli Anni ’80 agli Anni 2000, a cura di Francesca Di Giorgio, che aprirà il prossimo 9 ottobre nelle sale de La Giarina Arte Contemporanea a Verona – bisogna partire proprio dagli Anni ’80 e da quel famoso “caso Brown Boveri”: un’occupazione da parte di un gruppo di artisti, tra cui Garbelli, di uno spazio industriale abbandonato nel quartiere operaio di Isola (un’area che oggi è oggetto di grandissime trasformazioni a livello urbanistico, pensiamo che è lì che sorgono le tanto famose torri del Bosco Verticale).

Francesco Garbelli, Altare, 1984, Scultoparola realizzata con tubi di ferro rinvenuti nella fabbrica

Qui con Elena Giorcelli e Milo Sacchi, a metà degli Anni’80, Garbelli rimane profondamente colpito dalla forza intrinseca del luogo, delle tracce inanimate disseminate nei suoi spazi, dell’incombere della natura nei suoi spazi abbandonati, come testimoniato dalle sue parole «Queste presenze, queste tracce sprigionavano una forza incredibile, imponevano rispetto, forse è anche per questo che decidemmo di non trasformare il luogo, che le nostre opere dovevano inserirsi in questo contesto di “interventi trovati”: esse dovevano essere la sintesi di un’operazione che superava la dimensione di ogni singolo intervento, l’elemento chiave doveva essere quello di aver scelto quel luogo e l’essersi misurato con esso». Nasce così la “scultoparola” Altare. Il punto focale della ricerca di Garbelli, il cosiddetto punto 0, risiede proprio in questo. Gli Anni ’80 – caratterizzati da una voglia di leggerezza, ricerca del successo, consolidamento dello status symbol – rappresentano anche dal punto di vista artistico un periodo di netta cesura con l’approccio ideologico degli Anni ’70, l’arte ritorna a connettersi alla società e questo determina un grande successo commerciale di artisti o gruppi di artisti accomunati da un ritorno alla pittura e la consacrazione del quadro come simbolo del collezionismo.

Francesco Garbelli, Atlantide, Via California, 1987, Milano. Atlantide, 1987/2017. Stampa fine art su carta Canson Baryta, cm 69,5×45 con passepartout fotografico cm 84,5×60
Edizione di 3 + 2 P.A.

In un clima di generale euforia nel mondo dell’arte, un giovane Garbelli si muove però in controtendenza, anticipando con i suoi interventi mimetici – Atlantide, Operazione zebra, Il Paradosso del Pedone… Solo per citare alcune opere – quell’arte pubblica che tanto caratterizzerà le tendenze di inizio millennio. Ripercorriamo con lui quegli anni…

Partiamo da qui, dai tuoi primi interventi con la segnaletica stradale, che hai definito la tua risposta europea al graffitismo americano. In un certo senso tu hai dato ad un linguaggio codificato un’altra possibilità o meglio ne hai amplificato il potenziale. Saper decodificare il linguaggio comune della segnaletica o leggere una toponomastica ha che fare con il nostro relazionarci allo spazio, insieme ad altre persone e con una buona dose di sicurezza. Hai mai pensato al tuo lavoro come incursione nello spazio, nella mente delle persone quasi a mettere in discussione la loro comfort zone?
Le mie prime azioni con i cartelli stradali sono state caratterizzate da uno spirito dissacratorio che poteva indurre nello spettatore occasionale un effetto destabilizzante, in seguito mi sono posto il problema di che cosa significasse operare all’interno di un codice rigido fatto di obblighi e divieti. Ho riflettuto sul senso delle regole, delle loro origini, norme e funzionamento. Le modifiche che ho apportato alla semantica del codice della segnaletica stradale, inventando nuovi cartelli portatori di senso e tematiche politico-sociali, non avevano come obiettivo quello di destabilizzarne le regole ma di conseguire un effetto conoscenza, o meglio un effetto “presa di coscienza” nello spettatore.

Francesco Garbelli, “Operazione Zebra”, 1989, Parco Sempione, Milano. “Operazione Zebra”, 1989/2014, stampa fine art su carta Canson Baryta, 40×59 cm con passepartout fotografico 55×74 cm. Edizione di tre + due P.A.

Qual era il tuo modus operandi nella pratica, di quali materiali e strumenti ti servivi? Mi riferisco anche alla tua volontà di non agire su cartelli esistenti ma produrne ex novo…
Se attacco un adesivo, o meglio uno sticker che fa più figo, su un cartello stradale nessuno avrà dubbi sul fatto che quello sia un cartello reale, su cui qualcuno ha applicato un adesivo anche se magari ne cambia l’estetica. Se il pubblico sa di trovarsi di fronte ad un oggetto/evento artistico, o semplicemente una trovata, si muove comunque come se fosse all’interno di un copione deciso dall’autore, anche se ovviamente quest’ultimo non ne può controllare totalmente la reazione. Diversamente trovarsi di fronte ad un oggetto/evento di cui non si conosce/capisce lo scopo, che è in tutto e per tutto “reale”, dove s’insinua quel dubbio “ma sarà vero oppure…”, crea quell’effetto di spiazzamento, incredulità/curiosità, in grado di destabilizzare l’esperienza percettiva, solo in questo modo è possibile trasformare direttamente la pratica sociale, il resto è spettacolo con il pubblico che può anche mettersi nudo a saltellare ma rimane comunque al suo posto, o meglio all’interno del suo ruolo. Come ha detto RJ Rushmore: « [gli interventi di Garbelli] sono davvero un ottimo modo per far evadere le persone dalla loro quotidianità, liberare la gente dal pilota automatico. (…) All’improvviso vedi una segnaletica per Atlantide lungo il tuo tragitto quotidiano per l’ufficio, Boom, il mondo si ritrova sottosopra e tu vedi le cose con un nuovo sguardo».

Francesco Garbelli, “Il Paradosso del Pedone”, 2018, tecnica mista a collage su MDF, 60×90 cm

Negli Anni ’90 hai fatto parte del gruppo del Concettualismo Ironico Italiano che ha avuto un grande successo in Germania come primo gruppo che usciva dall’Italia dopo la Transavanguardia e che alla pittura opponeva la creazione di oggetti che avevano come filo conduttore il proporre visioni della realtà attraverso il filtro dell’ironia…
Il gruppo nacque nel ‘93 grazie all’intuizione di Angelo Falzone, gallerista tedesco con sede a Mannheim, ne facevano parte Giovanni Albertini, Corrado Bonomi, Alessandra Galbiati, Francesco Garbelli, Dario Ghibaudo, Antonella Mazzoni e Antonio Riello. Falzone non fece altro che mettere insieme quello che probabilmente era sotto gli occhi di tutti: in quei primi Anni ’90, c’era una nuova generazione d’artisti che si differenziava totalmente da quella del decennio precedente, che faceva arte senza l’utilizzo della pittura (Mazzoni a parte), avendo come riferimento la realtà, i fatti della quotidianità, i vizi, le contraddizioni della società, il tutto visto attraverso la “lente” liberatoria e dissacratoria dell’ironia. Una generazione d’artisti creava degli “oggetti” che spesso si relazionavano con il pubblico, oggetti non sculture (almeno nel senso classico del termine) che spesso erano anch’essi d’uso quotidiano con i quali si mettevano in scena delle narrazioni: da qui il termine di concettualismo, a cui si unì l’aggettivo ironico, in controtendenza con quello che era sempre stato un paradigma del concettualismo in arte come qualcosa di estremamente serio.
 Il gruppo ebbe molta più risonanza in Germania che non in Italia, dove di fatto non riuscimmo mai ad esporre ufficialmente. Le ragioni sono molteplici, da un lato l’atavica incapacità nostrana di “fare sistema”, ognuno di noi lavorava con gallerie diverse e fu praticamente impossibile metterle insieme su un progetto comune, dall’altro vi fu un mai dichiarato boicottaggio…

Francesco Garbelli, Obsolescenza programmata, della razza umana?, 2019
Zona Barona, Milano

Ci sono tuoi lavori che si sono incrociati con la narrazione storica più di altri…
Si dice che la realtà supera la fantasia ma se la fantasia si occupa della realtà spesso la previene. Jugoslavia è un lavoro del 1992, un’opera che si è rivelata, purtroppo devo dire, profetica vista l’immane tragedia che si è consumata sull’altra sponda dell’Adriatico. Quando la realizzai il conflitto tra l’esercito croato e quello della confederazione jugoslava sembrava essere arrivato ad una soluzione con il cessate il fuoco proclamato nel gennaio ’92, il riconoscimento internazionale della Repubblica di Croazia come stato sovrano e la creazione di una linea di confine dove venne schierata una forza di interposizione ONU. Nessuno poteva immaginare quello che poi sarebbe successo, soprattutto la completa disgregazione dell’entità politico-territoriale della confederazione jugoslava, così ben descritta dal mio lavoro. L’idea di utilizzare i cartelli a punta di freccia riportanti i nomi delle singole repubbliche come dei proiettili che andavano a distruggere la scritta grande principale della confederazione jugoslava, mi portò ad un’altra incredibile premonizione, ovvero: dal punto di vista grafico i nomi delle singole repubbliche stavano tutti all’interno dello spazio che consentiva il cartello tranne uno, Bosnia-Erzegovina. Era troppo lungo e non sarebbe stato possibile realizzare un segnale diverso dagli altri, così mi venne in mente di creare un proiettile che esplodeva in volo con le lettere al suo interno che si disperdevano nello spazio; più o meno nello stesso tempo, o forse un mese dopo, le truppe serbo-bosniache si assestavano sulle colline intorno a Sarajevo per dare vita a quello che sarebbe stato il più lungo assedio nella storia bellica del XX secolo.

Francesco Di Giorgio, “Jugoslavia”, 1992, pellicola adesiva su lamiera smaltata, 100×170 cm, (misura cartello), Milano

Un altro lavoro molto più recente, Welcome to Venezia (2019), creato per sensibilizzare le persone sui cambiamenti climatici (durante la Biennale 2019 era previsto anche un flash mob indossando la t-shirt con l’immagine stampata), predisse di fatto quello che avvenne nel novembre dello stesso anno, la terribile inondazione che sommerse la città, chissà se il prossimo anno alla biennale qualcuno se ne ricorderà o dovremo aspettare di visitare Venezia con l’attrezzatura subacquea…

Francesco Garbelli, Senso Unico Timido”, 2017, pellicola adesiva rifrangente, lamiera traforata laser, luci led, 102,5×20 cm

 

Francesco Garbelli. DIARIO PUBBLICO. Dagli Anni ’80 agli Anni 2000
a cura di Francesca Di Giorgio

Monografia Vanillaedizioni disponibile in galleria con testi di Francesca Di Giorgio e Manuela Gandini

9 ottobre 2021 – 15 gennaio 2022
Inaugurazione sabato 9 ottobre 2021 16.00 – 20.00

Orari: dal martedì al sabato, con orario 15.30 – 19.30. Entrata libera con Green Pass

Info: info@lagiarina.it
www.lagiarina.it

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