Non sei registrato? Registrati.
MILANO | c|e contemporary

Intervista a FEDERICA MARANGONI di Chiara Canali

A oltre cinquant’anni dal suo esordio nel mondo dell’arte e in attesa della grande mostra antologica dedicata agli ottant’anni dell’artista e ai cinquanta anni di sodalizio con Murano, Federica Marangoni presenta a Milano, nella galleria c|e contemporary, una personale site specific intitolata Enigma, che segue storicamente la mega-installazione The leading Thread/Il filo conduttore (2015) al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Ca’ Pesaro in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte 56. Biennale di Venezia. Una carriera, quella della Marangoni, sviluppata a livello internazionale, tra Venezia, New York e Milano, in cui l’artista ha sempre sperimentato con continuità nuove idee, nuovi segni, nuovi materiali.

Federica Marangoni, Artificio, Vetro di murano, tubi di neon colorati, pedana in specchio, 2020, courtesy c|e contemporary

Come e dove prende avvio questa lunga ricerca espressiva, che ha attraversato luoghi geografici, movimenti artistici ed epoche storiche diverse?
Importantissima è stata la mia esperienza americana. Se non fossi andata in America non sarei riuscita ad emergere perché all’epoca in Italia, come donna artista, trovavo difficoltà a lavorare nel campo dell’arte.
Nel 1980 mi hanno invitato al MoMA di New York dove ho presentato in anteprima la proiezione del film The Box of Life (prodotto dal Centrovideoarte di Ferrara) e ho realizzato l’installazione-performance The Interrogation, in cui rimanevo immobile tenendo una maschera di cera elettrificata che colava di fronte al viso mentre un registratore continuava a porre le stesse domande come ad un interrogatorio di polizia.
Inoltre, nel 1981 realizzai la performance Straphangers (1981) dove una lunga fila di mani elettrificate erano appese a maniglie smaltate originali della metropolitana di New York che, all’inizio della mostra, performavano e si scioglievano emanando un forte odore di incenso e gocce di sangue. Era la vita del commuter e la prima installazione che faceva un’azione performante attiva al posto dell’Artista.

Federica Marangoni, GLOBAL MEMORY, pagine in ferro arruginito e scritta al neon blu, 30×50, 2019, Veduta della mostra Federica Marangoni, Enigma, courtesy c|e contemporary

Alcuni elementi contraddistingueranno invece il lavoro nel corso degli anni successivi: prima fra tutti la luce.
Mi ricordo quando feci per un collezionista un’altra installazione ambientale a New York: si trattava di una grande forma in negativo di albero ritagliato da due grandi lastre di acciaio. Nella fabbrica di Brooklyn in cui tagliai col laser il lavoro non capivano perché volessi inserire anche il neon. Quando abbiamo messo in piedi la struttura ed è stato installato all’interno un profilo di neon verde, che delinea l’albero stesso, si è capita la differenza rispetto alla struttura precedente, perché la prima non pulsava, non aveva vita, mentre la seconda riempiva lo spazio con la presenza della Natura, della vita. La luce è la nostra vita.
Con la mostra Il filo conduttore, a Venezia, grazie alla luce ho potuto segnare una visione che è rimasta negli occhi di molte persone perché tagliava dall’alto in basso la facciata del Longhena di Cà Pesaro.

Veduta della mostra Federica Marangoni, Enigma, courtesy c|e contemporary

Assieme alla luce ritorna spesso nelle sue opere anche il vetro, grazie alla pluridecennale collaborazione con Murano…
Il vetro è sempre stato un elemento presente nel mio lavoro: è la parte strutturale, è la materia. Ho sempre assemblato il vetro assieme al video e alla luce perché sono figlia dell’epoca delle prime grandi videoinstallazioni. Il vetro è la mia radice, ma l’ho anche usato come materia grezza allo stato di rottame e anche come designer (La Bricola, forma luminosa a elementi tubolari in perspex poggiante su specchio, frutto della collaborazione con Giò Ponti, nel 1971, è ora conservata al Museo della Triennale di Milano come lampada da tavolo in vetro di Murano).
Il vetro è la mia materia congegnale. Per prima, tra gli artisti, ho concepito l’utilizzo del vetro come scultura, come arte, e così l’ho presentato nella galleria di Holly Solomon di New York. Fu Nam June Paik a dirmi di esporre nella sua stessa galleria e nel 1994 mi ha messo a disposizione strutture e assistenti per realizzare queste grandi installazioni in vetro con all’interno i video.
Nam June Paik fu uno dei più grandi sostenitori del mio lavoro. Mi diceva sempre: “Marangoni, I Like you: litte Tv, a lot of glass”. Questa esperienza ha significato per me la liberazione del materiale vetro dal concetto di arte decorativa. Probabilmente sono un’artista della luce e del vetro perché rappresentano entrambi la luce.

Veduta della mostra Federica Marangoni, Enigma, courtesy c|e contemporary

Qual è il legante che tiene assieme luce, video e vetro?
Il legante fondamentale nel mio lavoro è la ricerca sulle materie ancora non molto usate nell’arte. L’amore per le materie. Mi sento figlia di quel momento storico che è il “dopo Duchamp”, sono figlia dell’oggetto utilizzabile, del ready made. Ecco perché posso definirmi un’artista “plurimaterica”.
Sono stata la prima ad accoppiare neon e vetro negli anni Settanta. Sono stata anche tra le prime donne a fare video arte con il Centrovideoarte di Ferrara. Il video era la dimensione del movimento che mancava alle opere statiche. Il video ha dato un’altra anima alle mie soluzioni visive e gli ha dato il senso della luce in movimento.
Malgrado crei oggetti fisici e strutture materiche, rimango un’artista segnica concettuale minimalista. Lavorare la materia significa per me trasferire il pensiero nelle forme.
Cerco di dare un profondo significato alle mie opere. Parto dall’idea, a volte dal titolo stesso che darò al mio lavoro. Poi trasferisco l’idea nella materia perché rimango comunque legatissima all’ambiente del lavoro: al fabbro, all’elettricista, al maestro vetraio.

Federica Marangoni, Leggere è un rischio, scritta in neon rosso lunga 160 cm, 2020, courtesy c|e contemporary

Le sue opere, dunque, riescono a unire assieme le due dimensioni dell’arte, quella più materica (di luce, video e vetro) e quella più concettuale, di trasmissione del pensiero, dell’energia, del flusso. Non è questa una contraddizione nei termini?
La parola “effimero” è la chiave del mio lavoro. Io progetto opere effimere. Non ho mai progettato pensando che dovrà durare come nel caso di un monumento di bronzo. È la progettualità del lavoro che per me rimane fondamentale. Il neon de Il filo conduttore è una visione, la canna di vetro de La trappola della memoria (fontana labirintica realizzata per l’Expo di Siviglia), è una visione. Progetto sogni con la luce, il video e il vetro.  L’artista è un portatore di luce per le menti. Noi siamo in fondo degli agenti della luce, della cultura, della volontà di andare incontro alla fame di conoscenza.

Veduta della mostra Federica Marangoni, Enigma, courtesy c|e contemporary

Di cosa tratta la mostra intitolata Enigma, allestita presso la c|e Contemporary di Milano? Quali opere troverà lo spettatore?
La mostra, fortemente voluta dalla gallerista Christina Enrile e co-curata da Viviana Conti, è incentrata su questa idea del segno e della visione, in cui ho sempre creduto. La riflessione parte dall’incertezza dell’oggi e dalla paura che percepiamo all’interno delle stesse mura domestiche e sviluppa le tematiche del perturbante (nell’accezione del pensiero fredudiano), della memoria e della conoscenza.
Il percorso espositivo prende avvio da una piccola casa di plexiglass nero lucido che realizzai un anno e mezzo fa, perché avevo un pensiero che mi turbava. Questa casetta è ipodimensionata, priva di dimensioni reali, quasi piatta ma ha un grande buco della serratura al quale è possibile accostare l’occhio e vedere, all’interno, uno spazio infinito, un tunnel, delle luci e la scritta in rosso (das) Unheimliche/Il Perturbante, nella lingua tedesca di Sigmund Freud. Molto forte è, fin dall’inizio, il pensiero che percorre tutta la mostra perché ogni opera ci presenta una metafora sul senso della vita e del dubbio. In questa mostra presento un corto circuito molto delicato di segni e significati. Ci sono poi delle pile di libri di vetro che ho riempito di luce colorata al neon. Il libro è un oggetto che racchiude tutto lo scibile umano e quello che non raggiungeremo mai e non capiremo mai abbastanza. Sopra alle pile di libri, appesa al muro, compare una grande scritta al neon rosso che dice: Leggere è un rischio, perché la lettura implica il grande rischio di affrontare la vita come uomini colti e capaci di progettare sogni.
Un’altra installazione presenta ancora una pila di libri ma questa volta ingessati, vecchi, da me lavorati in una performance, in cui ho imbalsamato la memoria della mia vita. Una fiamma rituale (visualizzata da un video) brucia perpetuamente i libri assurgendo a simbolo della tragedia dell’umanità che ritmicamente, nel corso del tempo, ha voluto bruciare le tracce della propria memoria e cultura.
La mostra finisce con altro libro, questa volta in ferro ossidato, le cui pagine arrugginite, che dovrebbero restare mute, sono invece accompagnate da scritte riguardanti la memoria: “memoria globale”, “memoria perduta”, “memoria futura”. La memoria è, infatti, la nostra più importante arma per sopravvivere alla vecchiaia. Solo la memoria ci permette di essere sempre attuali e contemporanei.
Enigma è tutto questo: enigma sono i libri bruciati, enigma sono i libri di vetro, enigma è il rischio di leggere.

 

ENIGMA – FEDERICA MARANGONI
a cura di Viana Conti e Christine Enrile

nel rispetto delle norme COVID19 è raccomandata la prenotazione su: www.cecontemporary.com

C|E CONTEMPORARY
via tiraboschi 2 – interno 76, Milano
Info: +39 02 45483822
+39 348 9031514
gallery@cecontemporary.com
www.cecontemporary.com

Aggiornamenti sui canali social della galleria per scoprire il pioneristico percorso artistico di Federica Marangoni:
INSTAGRAM: cecontemporary
FACEBOOK: CEcontemporaryMilano

 

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •