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BUILDING SIGHTS. A JOURNEY THROUGH CONTEMPORARY INFRASTRUCTURE | Rizzoli

Intervista a EDOARDO MONTAINA di Matteo Galbiati

L’occhio del fotografo si dovrebbe fare discreto, silenzioso, presente eppure distante quando deve raccogliere le testimonianze per un suo racconto reportagistico. È nel luogo dell’accadere consapevole di dover restituire il senso di una storia di cui è testimone diretto, ma con il “principio” di mantenere una certa distanza da quella realtà che si vorrebbe “oggettivamente” raccontare con le immagini. Fotografare per documentare è affermare la verità di un contesto, di una vicenda, di un tempo, di un luogo senza la pretesa di dover far sentire la propria voce, perché è la forza dell’immagine stessa a parlare da sola. Eppure sappiamo, la storia dei grandi fotografi ce lo insegna, che questa distanza non è mai davvero possibile laddove lo sguardo aperto sul mondo di chi scatta si fa sensibile, empatico rispetto a quanto si muove davanti al suo obiettivo. Il non restare indifferenti al contesto in cui si è inseriti carica di emotività gli scatti che, senza venir meno al compito a cui sono chiamati, riescono ad assolverlo aggiungendo quella peculiare sensibilità individuale che, negli occhi di chi li potrà poi guardare, si amplifica diventano bellezza.
Secondo questo approccio emotivo, personale e singolare Edoardo Montaina (1954) ha sempre affrontato i propri incarichi e, oggi, possiamo cogliere ancora l’intensità della sua poesia fotografica, che si modella proprio ascoltando i vari ambiti in cui opera, sfogliando il meraviglioso volume intitolato Building Sights. A Journey Through Contemporary Infrastructure che, edito da Rizzoli in tiratura limitata, con la produzione del Dipartimento Corporate Identity and Communication di Webuild, documenta i grandi cantieri internazionali in cui ha recentemente operato il gruppo italiano.

Edoardo Montaina, Denmark, Copenhagen Cityringen Metro, 2019

Montaina ha visitato e vissuto l’esperienza delle grandi opere, è stato in luoghi di lavoro peculiari per la grandezza dell’intervento ed è qui che, vedendo l’uomo in azione e la sua interazione “invasiva” con la natura, il confronto e l’integrazione tra il naturale e l’umano, che il fotografo ha saputo smarcarsi dalla logica della semplice fotografia industriale, facendo emergere l’aspetto visionario, indagatore e osservatore del suo lavoro. Attento a quel manifestarsi di fenomeni che amplificano la lettura di questi ambienti con un significato sempre diverso, così le sequenze delle oltre 200 fotografie che compongono il volume, pur  appartenendo a cantieri molto diversi, mettono in luce un resoconto che parla certo di affinità, ma che rintraccia identità connotanti e ogni volta singolari nelle differenti latitudini in cui è stato presente. Montaina vive luoghi distanti del mondo che si stanno trasformando e legge le individualità di questi progetti attraverso la specificità del contesto e la sua essenziale unicità e poi li avvicina attraverso la sua visione sensibile. Il suo interesse prioritario è conferire a ciascuna immagine il senso vero di una presenza tangibile della realtà attraverso l’uso di un proprio linguaggio personale che, nutrito della libertà del suo sentire, rende quella verità credibile e coerente. Montaina sa proprio di essere più efficace, quanto più la specificità della sua interpretazione filtra la forza iconica di quel preciso momento e ulteriormente lo consacra così al nostro sguardo. La coscienza emotiva e la conoscenza dettata dall’esperienza si corrispondono nella dialettica della sua estetica che ha il prodigio di stratificare modalità tipologicamente differenti all’interno di ogni ambiente, individuando metodi espressivi che definiscono molteplici modalità di resoconto.
Le immagini, con l’intelligenza dello stupore, amplificano, differiscono, scandagliano, sezionano, suddividono, ricostruiscono le scoperte di un incredibile viaggio la cui esperienza è singolare proprio nella sua molteplice unicità. La scoperta nostra non è più solamente legata alla motivazione iniziale di vedere la storia di questi grandi cantieri internazionali, ma diventa anche il felice riscontro di ritrovarsi nella singolare esperienza della suggestione personale con cui il fotografo lì ha vissuto la propria missione. Qui si risolve la potenza estetica e l’energia propulsiva del racconto di Montaina dell’ingegno umano nel mondo.
Con la sua preziosa testimonianza diretta scopriamo i contenuti di questa importante pubblicazione:

Edoardo Montaina, Building Sights. A Journey Through Contemporary Infrastructure, Rizzoli (libro e cofanetto)

Come si è sviluppata la tua collaborazione con il Dipartimento Corporate Identity and Communication di Webuild?
La mia collaborazione con Salini Impregilo, oggi Webuild, è iniziata nel 2015 con l’incarico di raccontare fotograficamente le varie fasi della costruzione del nuovo Canale di Panama, dal posizionamento delle chiuse, fino all’inaugurazione ed il passaggio della prima nave. Le immagini sono piaciute e sono state poi utilizzate per la realizzazione del volume fotografico The New Panama Canal, A Breathtaking Journey Between the Pacific and Atlantic Oceans, edito da Rizzoli negli Stati Uniti.
Da quel momento si è venuto a creare un rapporto di reciproca fiducia con il Dipartimento Corporate Identity and Communication di Webuild e la collaborazione è continuata negli anni, nei loro vari cantieri sparsi per il mondo. Ma questo non è avvenuto per caso. C’è un lato importante nel mio approccio professionale che spesso è stata la mia guida: per me non esistono lavori di routine. Ogni incarico è una nuova sfida, da affrontare con la massima concentrazione e, soprattutto, seguendo il desiderio, sempre presente, di voler superare ogni volta i miei limiti creativi per rendere al meglio, attraverso la fotografia, la mia visione del mondo. Questo obiettivo, che per me è un vero sentimento, è al tempo stesso la molla e la gioia della mia ricerca.

Edoardo Montaina, Kuwait, South Al Mutlaa Residential Area, 2017

Ed ecco la risposta alla tua domanda: il progetto del volume è nato quando il committente ha scoperto e apprezzato che le mie immagini, oltre a soddisfare le richieste dell’incarico, rappresentavano anche una visione più legata alla mia esperienza emotiva e ad una ricerca personale che stavo portando avanti da molti anni, usando le committenze come altrettante opportunità creative. Grazie a questo ho sviluppato un linguaggio che mi permette di comunicare non solo dati, ma anche emozioni.
Questo stile visivo è stato sempre più apprezzato e ha portato, nel 2017, alla realizzazione di un volume fotografico dedicato al mondo di Webuild che non fosse una semplice celebrazione delle grandi opere, ma un racconto che io ho vissuto come libero, epico e umano al tempo stesso.

La suddivisione dei capitoli non è numerale, ma argomentativa, per assecondare le diverse tipologie di foto che accompagnano la narrativa differente dei diversi temi affrontati e delle suggestioni visive che questi suscitano. Ce li riassumi brevemente?
Il libro rispecchia la mia curiosità nei confronti di luoghi, natura e persone… Credo che renda bene l’idea dei benefici apportati dalle grandi opere di Webuild sui territori.
Questo può anche rispondere alla tua domanda sulla suddivisione dei capitoli: il racconto è unico e narra dei progetti dell’azienda in varie varie parti del mondo, ma alla fine delle riprese ho raccolto a posteriori ciò che riguarda il lavoro in senso stretto, il territorio, le persone, la mia visione di particolari architettonici o astratti. Potrei continuare all’infinito tante sono le sfaccettature quando si ha a che fare con progetti così complessi.

Edoardo Montaina in Arabia Saudita

Come avete lavorato al progetto del volume?
Per la realizzazione del volume c’è stata una continua e strettissima collaborazione fra me, Webuild e Rizzoli. Un lavoro durato mesi, anche perché con la realizzazione di nuove riprese, aumentavano le immagini e spesso le tematiche. Abbiamo, inoltre, preparato anche una versione digitale del volume per il sito di Webuild, ma il linguaggio era diverso per cui è stata necessaria un’ulteriore ricerca.

Questo lavoro è durato oltre due anni: quali sono state le difficoltà incontrate nella realizzazione delle fotografie in cantieri così particolari? Quali principi hai adottato per arrivare poi alla selezione degli oltre 200 scatti che compongono il libro?
Una delle cose che più amo del mio lavoro è che non è mai ripetitivo, ogni situazione, ogni cantiere, ogni territorio o clima, perfino ogni organizzazione sociale è sempre differente. Anche i luoghi di ripresa sono diversi, a volte in città, a volte nella giungla, oppure in gallerie. Questo rende ovviamente impossibile utilizzare schemi predefiniti, ma stimola ogni volta la ricerca di approcci differenti.
Per me la cosa essenziale è non pianificare mai nulla, né far mai sopralluoghi di ciò che dovrò fotografare, voglio che ciò che vedrò si imprima nei miei occhi e nel mio animo come qualcosa di nuovo, stupefacente ed originale, soprattutto prima che la mente razionale abbia il tempo di riportare tutto a categorie già conosciute, appiattendone l’impatto emotivo. Così, arrivato sui luoghi da fotografare, mi lascio trasportare in una realtà fatta di molteplici punti di interesse, disseminati nel caos.
Mi prendo sempre un po’ di tempo per assaporarlo in silenzio, per osservare ciò che mi circonda come puro scorrere di movimento, colori, linee, composizioni. E così dapprima lentamente e poi sempre più chiaramente, inizio a vedere l’ordine in questo caos, isolando nelle immagini ciò che mi colpisce. Spesso esco dopo ore da questo stato di “grazia”.
Per ciò che concerne la scelta delle fotografie è stato, invece, un processo difficile, avevo molte altre immagini da proporre, ma ci sono limiti editoriali!

Edoardo Montaina, New Panama Canal, 2015

Come si racconta il rapporto uomo, lavoro e paesaggio rispetto alla necessità delle grandi opere? Oggi è un tema piuttosto controverso quello dell’impatto di queste strutture sulla natura. Come riesci a raccontarne la bellezza? Come rielabori la visione e cosa coglie il tuo sguardo e la tua sensibilità?
Ho sempre creduto che l’umanità abbia il potere e la libera scelta di creare o di distruggere. Quando da ragazzo studiavo la storia, soffrivo al pensiero di intere città che avevano avuto bisogno di secoli per crescere, coltivare le arti, aumentare il benessere, cultura e i luoghi di vita quotidiana, venissero distrutte in un attimo magari per raccogliere da parte degli invasori solo manciate di oro e schiavi. Al di là della semplificazione della mia mente di bambino, anche oggi io credo che le grandi opere, se ben inserite nell’ambiente e se ben utilizzate da chi le amministra, siano potenzialmente una dimostrazione ed un simbolo della capacità umana di costruire per il bene dell’umanità.
Se poi la domanda è come fare per raccontarne la bellezza, è relativamente semplice: descrivere, a seconda del progetto, la bellezza, o la potenza, o la grandiosità delle opere e contemporaneamente lasciare liberi i sentimenti di ammirazione, o stupore, che queste creazioni suscitano in me. Io non posso realizzare immagini che trasmettano emozioni, se non riesco a provarle in prima persona.
Ma è importante anche mostrare i simboli legati all’opera stessa, a volte la velocità per le ferrovie, ad esempio, ma in ogni caso le persone, gli esseri umani, sono loro che danno un senso alle opere, sia quando le utilizzano, che quando partecipano alla loro costruzione.

Edoardo Montaina, Denmark, Copenhagen Cityringen Metro, 2019

Possiamo dire che le tue opere siano una rivelazione rispetto alla retorica dell’immagine collettiva che si ha di questi luoghi di lavoro, spingendo lo sguardo a scoprirne le “verità nascoste” che sono sempre celate ai nostri occhi?
Tu parli di “rivelazione” e ti ringrazio per il complimento. Già sorrido al pensiero di cosa dire ai miei figli… Per me la realtà percepita è in parte oggettiva, ma è anche in gran parte soggettiva, frutto di costruzioni mentali socialmente accettate, spesso in modo acritico. Il nostro cervello “aggiusta” automaticamente le imperfezioni di ciò che sta intorno a noi facendo riferimento al modello ideale che ne abbiamo. Ma ancora più importante a volte ci nasconde, rendendole invisibili, le nuove strade, solo perché ancora non sono state percorse. Per questo, all’inizio del mio cammino fotografico ho preferito imparare con fatica attraverso la sperimentazione che leggendo libri o manuali. Allo stesso tempo ho cercato, fin da ragazzo, di arricchire la mente con le più belle rappresentazioni della realtà che la pittura e la fotografia hanno offerto, cercando sempre di intuire frammenti dell’anima dei grandi artisti e di scoprire attraverso le loro opere la potenzialità di infinite differenti visioni della realtà. Questo si aggiunge al mio entusiasmo, mai sopito, per Carl Gustav Jung e i suoi studi sull’inconscio che hanno guidato la sperimentazione e determinato la mia creatività.
Tutto ciò mi ha aiutato a non dare mai niente per scontato e a non farmi problemi se essere più o meno “trendy”.
Durante questo percorso ho effettivamente avuto delle rivelazioni, piccoli o grandi passi nella comprensione della vita, di me stesso o del come o perché stessi fotografando qualcosa. Sono venute così in modo naturale, a volte nel dormiveglia, a volte le vedi e sai che sono sempre state lì aspettando solo che gli prestassi attenzione.
Ho creato recentemente una collezione fotografica dal nome The hidden reality dove oggetti banali si trasfigurano prendono vita o e mostrano una realtà alternativa. Forse allora, consciamente o meno, visto che le persone ed il lavoro umano mi stanno enormemente più a cuore degli oggetti, probabilmente ho fatto la stessa cosa nei luoghi del lavoro.

Edoardo Montaina, Qatar, Doha, 2019

Quali contenuti vuoi offrire con queste immagini? Che cosa ci consegnano, al di là di un semplice e apparente reportage esclusivo?
In realtà le domande sono due e parlano una delle intenzioni e la seconda dei risultati.
Cercherò di rispondere solo alla prima: il mio entusiasmo, per la capacità umana del saper creare, la condivisione attraverso un linguaggio visivo “emotivo” di momenti che oscillano fra “il dietro le quinte” e la storia, la gioia della scoperta di tante piccole isole all’interno del caos in continuo movimento e del fatto che la fotografia le abbia fissate in una fase della loro effimera esistenza, l’idea della estrema complessità dei grandi progetti e al tempo stesso la consapevolezza che ad ogni livello del flusso ciò che conta veramente è la professionalità umana.
La mia ammirazione per coloro che ho conosciuto e fotografato durante i servizi, sperando di essere stato capace di trasmettere con le mie immagini, la loro “realtà unica di individui”.

Edoardo Montaina, New Panama Canal, 2015

Parlando di questo volume sei stato definito come un “Omero” o un “Dante” che, macchina fotografica alla mano, ci accompagna in un viaggio fantastico? Ti riconosci in questo paragone? Cosa c’è di vero?
Evitiamo di parlare di definizioni, ma parliamo, invece, di sogni, o di giochi se preferisci.
Se mi fosse data la possibilità, per gioco, di essere uno dei due, sceglierei senz’altro Omero. E non perché io non abbia apprezzato enormemente Dante (solo quando sono diventato adulto, lo ammetto), anzi la sua poesia è musica, è il trionfo di una mente geniale capace di unire l’eterno al contesto storico, il sociale al sublime. Omero, però, parla di una grande epopea, di personaggi indimenticabili, di nobiltà del cuore, di sangue e tragedia ineludibile, non è possibile per me non esserne affascinato. Al liceo un professore di greco ci costrinse ad imparare a memoria parte dell’opera. Non fu un grande piacere, ma scoprii allora quanto fosse anche musicale il ritmo dei versi.
In ogni caso Omero sapeva usare la macchina fotografica in modo incomparabile: ho impresse nella mente le immagini più significative della tragedia, eppure non sono stati certo i miei occhi ad osservarle.
Ma se avessi il talento di Omero racconterei ciò che sempre ho ammirato, parlerei di eroi sconosciuti che con il loro impegno nel lavoro, in ogni campo delle umane attività, rendono la nostra vita migliore.
A loro ho dedicato un libro fotografico e questa poesia:

Le tracce delicate della nostra vita

Costruiamo opere grandiose,
offrendo ogni giorno una parte di noi.

E lasciamo dei segni, accenni delicati,
ombre e riflessi della nostra presenza.

Ma il tempo passa e ci distrae.

E ci troviamo a costruire di nuovo e nuove cose,
che non ricordano il nostro volto, o il nostro nome,
ma parlano di noi.

Titolo: Building Sights. A Journey Through Contemporary Infrastructure

Produzione: Dipartimento Corporate Identity and Communication di Webuild

Autore: Edoardo Montaina

Testi di: Franco La Cecla (antropologo), Nicola Davide Angerame (filosofo e critico d’arte), Pietro Salini (amministratore delegato di Webuild)

Anno: 2021

Pagine: 255

Prezzo: libro in tiratura limitata

Editore: Rizzoli

Sito: www.montaina.it
www.webuildgroup.com

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