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di TOMMASO EVANGELISTA

Tre pubblicazioni uscite recentemente permettono di analizzare i lavori e i percorsi di tre artisti contemporanei italiani, legati a minimi atti performativi e a linguaggi specifici.

Andrea d’Amore. Luogo convivio atmosfera. Stampato da Villa Romana ed edito in 300 copie racconta i vernissage di alcune mostre organizzate da Villa Romana Firenze che sono stati occasione, da parte di d’Amore, per esperimenti strutturati in convivio attraverso il sentire l’opera dell’artista in mostra e il luogo più ampio e permanente della Villa. Una pratica del cucinare e dell’ospitare che negli anni parallelamente si è sviluppata in altri contesti: paesaggi, comunità del territorio, spazi di ospitalità privata, pubblica e di cura ed espressività.

Andrea d’Amore, PERVASO Appendice d’artista #7 , convivium performance, Villa Romana Firenze, 2016, performance, Villa Romana Firenze, 2016

Scrive, nella prefazione, il filosofo Nicola Perullo “L’aptico è relazione, implicazione, partecipazione e impegno. È corrispondenza e risonanza, perciò è esposizione e ascolto, è l’in-between tra azione e passione” e in effetti gli atti ideati dall’artista sono destrutturazione della pratica conviviale della cena per l’emersione di altre dinamiche relazionali: fratture, scritture, rapporti ambigui, aperture e sostituzioni sono tutti accorgimenti adoperati per creare un evento destabilizzante e rivelatore.

Andrea d’Amore, WHAT HAVE YOU DONE CONCRETELY FOR YOUR FREEDOM? Appendice d’artista #5, convivium performance, Villa Romana Firenze, 2014

Alcuni titoli delle performance svelano l’azione detonante del mangiare, non più solo atto biologico ma anche e soprattutto sociale e politico profondamente cosciente, intenzionale, filosofico, ricco di valenze e legami con i vivi e con una tradizione percepita come engramma: Appendice d’artista (2021), Still life vs natura morta (2012), Paesaggio geotermico (2014), What have you done concretely for your freedom? (2014), Madre coraggio degli innocenti (2015), Pervaso (2016), Spontanea (2019), Ventre e fuoco (2019), Gli assi cartesiani e il fuoco. Un nuovo paradigma per un’economia sostenibile (2019). L’artista svela nelle sue azioni la persistenza di un’azione inconscia e primordiale, riporta il corpo, non solo dell’individuo ma anche e soprattutto del cibo, al centro del contesto, desatura la scena, lavora sulla spontaneità del gesto e l’imprevedibilità degli alimenti. Il convivio diviene uno spazio ascetico della creatività.

Maurizio Di Feo, Senza alfanumerico, 2021

Maurizio Di Feo. Vendo il Nulla. Autoprodotto dall’artista è il catalogo della sua azione d’arte digitale realizzata tra maggio e giugno 2021 incentrata sulla rappresentazione del nulla e sull’annullamento iconico dell’oggetto, privato della propria funzionalità. Si tratta di una performance attuata sul portale Ebay – il sottotitolo infatti è Il Marketplace come forma d’arte contemporanea – utilizzato come supporto all’idea di fondo, ovvero la dematerializzazione del bene e la privazione del suo consumo. Gli oggetti venduti, infatti, oltre a rimanere elementi virtuali, sono per se stessi mancanti di un dettaglio, dettaglio che li rende incompleti e quindi inutili, privati della loro funzione oggettiva e utilizzati esclusivamente come forma di annullamento e sparizione della forma.

Maurizio Di Feo, Senza bolla, 2021

Scrive Stefano Daniele nella prefazione: “Vorrei accennare a un ultimo dato, ancor più inquietante. A opporsi all’atto nullificante dell’artista, ancor prima che il pubblico, pare sia stata la stessa piattaforma. Dove il Marketplace, lungi dall’essere una vetrina espositiva, diveniva supporto dell’opera stessa. In quanto parte integrante dell’opera, esso prendeva vita e rivendicava, a fronte delle pretese dell’artista, le proprie: fatturare”.
Scopriamo così il cinismo di ogni piattaforma digitale che rivendica procedure operative ben precise e finisce per separare l’oggetto dal suo contenuto. Di Feo ha tentato, attraverso un’idea minimale ma ricca di implicazioni sociali ed estetiche, di creare un meccanismo di amplificazione del valore, al di fuori delle logiche capitalistiche degli NFT. Un esperimento interessante di destabilizzazione e desensibilizzazione dell’oggetto-arte-merce inserito nel global store planetario.

Angelo Ricciardi, Un giorno senza, 2019

Angelo Ricciardi. 2011-2020. Edito da Baustellenburo, Napoli, e continuazione naturale di 1999-2010, raccoglie in ordine cronologico una scelta di lavori dell’artista. Un tentativo di racconto con una prima parte fatta quasi unicamente di immagini alla quale segue una raccolta di testi critici e note finali che mette in ordine le opere più significative legate al linguaggio, alla poesia visiva, al libro d’arte, alla dimensione semasiologica degli oggetti.

Angelo Ricciardi, The Game of Fourteen,
2014

La ricerca di Ricciardi da anni si basa sul rapporto tra scrittura e figurazione nella società contemporanea, sviluppando un particolare interesse per gli scambi tra comunicazione verbale e visuale. I suoi progetti, che hanno coinvolto diverse città nel mondo e molti artisti, consistono spesso in azioni collaborative, realizzate attraverso l’utilizzo di oggetti di uso comune e/o gesti del quotidiano. Nei suoi lavori sono lo sguardo e la mente dell’osservatore a essere costantemente chiamati in causa. Alcuni titoli delle sue installazioni (Storie minime; Lo stupore; Un giorno senza = A Day Without; The Book In on The Table; Landscapes; La sinistra, la macchina, il buio; Non è successo nulla; The Game of Fourteen) ci raccontano di uno spazio di senso amplissimo, una galassia semantica di stati d’animo e di agitazioni, capace di configurare minimi spostamenti di senso. Una sorta di Atlas o Atlante della Memoria contemporaneo, destrutturato, reso meno retorico e desaturato dalle emozioni, capace di parlare attraverso i segni, l’interazione e lo sguardo. Strumento principale è il collage con cui comporre paesaggi concettuali e visivi in cui la memoria personale cerca risonanze in quella collettiva e, quindi, in quella del fruitore: immagini e parole sono l’alfabeto con cui narrare storie, spesso non precostruite, ma che lasciano a ciascuno lo spazio per far rivivere o creare prospettive interpretative. Una costruzione stocastica di immagini, densa come un dizionario immaginario e caotico della contemporaneità liquida.

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