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NAPOLI | LAB.Oratorio | 16 febbraio – 30 marzo 2019

Intervista a NUVOLA RAVERA di Valeria Barbera

Come nasce un progetto durante una residenza artistica? Quali sono gli elementi che consentono ad un artista di portare avanti la propria ricerca? E quali invece i limiti di questa esperienza?
Negli ultimi anni il panorama contemporaneo si è arricchito di un sempre crescente numero di residenze artistiche, divenute uno strumento per inserire contenuti contemporanei in luoghi periferici, per sopperire ad una non sempre presente attenzione al contemporaneo delle istituzioni.
Si tratta dunque di occasioni di crescita per gli artisti oppure molte volte ci si trova in contesti troppo dispersivi dove è difficile portare avanti seriamente la propria ricerca?
Abbiamo chiesto alla genovese Nuvola Ravera un breve racconto della sua recente esperienza portoghese che si è conclusa con una mostra da Vic Aveiro Arts House nella città di Aveiro in Portogallo.
L’artista non è nuova a questo tipo di esperienze attraverso le quali ha recentemente sviluppato un tema che ha affrontato con l’azione performativa Una storia dentro una storia una storia – Peeling all’interno della mostra Vita, morte, miracoli. L’arte della longevità al museo di Villa Croce a Genova lo scorso anno. L’indagine, incentrata attorno al concetto di museo come luogo di trasmissione della memoria e gli oggetti come reliquie del tempo passato, è proseguita durante questa esperienza portoghese e si è articolata anche all’interno del progetto promosso attraverso il bando SIAE “S’illumina, copia privata per i giovani e per la cultura” ospitato dalla Fondazione Made in Cloister che prevedeva un periodo di produzione nel capoluogo campano.
Venerdì 15 febbraio, ha inaugurato infatti, all’interno del Complesso monumentale di Santa Caterina a Formiello Napoli, Lab.Oratorio, un project space dedicato alla ricerca, alla sperimentazione e all’esposizione della giovane scena artistica contemporanea proprio con Soap Opera di Nuvola Ravera – in collaborazione con l’architetto Giuseppe Ricupero (Siracusa, 1990) – mostra a cura di Chiara Pirozzi.
Abbiamo parlato con Nuvola Ravera in merito a questa esperienza portoghese, tassello fondamentale dello sviluppo di questa ricerca che ha portato ulteriormente avanti nell’appuntamento napoletano.

Nuvola Ravera, Le statue sono scappate, veduta installazione al Museo di Aveiro

Il periodo di residenza portoghese, da poco conclusosi, ti ha dato modo di approfondire il tema che avevi già iniziato ad indagare durante la tua performance collettiva di cancellazione delle pareti del museo di Villa Croce. Quali elementi del territorio e della residenza ti hanno stimolato in questa tua riflessione critica?
Nel mese di novembre sono stata in residenza alla Vic Art House nella città di Aveiro, comune lagunare sull’Oceano Atlantico. La finalità del progetto era quella di sviluppare un’indagine legata al territorio da restituire a fine periodo all’interno degli spazi del museo di Santa Joana, principessa del Portogallo che nel 1472 abbandonò il trono per dedicarsi al convento. Il sito in questione è un luogo molto particolare, storicamente monastero femminile domenicano, oggi museo ma anche luogo di culto dei fedeli con zone dedicate alle celebrazioni religiose. È un esempio interessante di spazio con una destinazione d’uso molto forte e attiva che affianca una parte conservativa e museale fatta di cimeli e reliquie ad uno spazio per il contemporaneo vuoto e di dubbia gestione.
Con queste premesse mi sono concentrata ancora una volta sullo spazio e sulla scatola museo e sul destino degli oggetti che costellano questi contenitori. Sono voluta partire dall’ipotesi che la maggior parte delle opere (d’arte) nasca con l’impronta di quegli oggetti che in antropologia vengono chiamati attivi, come ad esempio feticci, altari, amuleti oppure oggetti immateriali. Inizialmente questi oggetti sono dotati di una forza, un’energia, di un’aura, che se considerata in modo improprio rispetto alla sua identità nativa, potrebbe perdere qualcosa del suo potenziale iniziale. Nella biografia delle opere che vengono battezzate e verificate (validate) attraverso un certo sistema cultuale ed espositivo, spesso è inscritto uno stesso “destino” che molte volte le accomuna alle statue “morenti” africane nel museo etnografico di turno. Quindi, la presunta salvezza che si concede agli oggetti attraverso questa spesso sterile ed estetica conservazione museale può, a mio avviso, essere paragonata ad una storia di devitalizzazioni e perdite. Certo, non escludo affatto che talvolta il museo possa avere un rapporto reale con il pubblico, ma continuo ad interrogarmi su quali siano questi rapporti, quando siano efficaci o meno e come possano essere resi davvero dialettici.

Nuvola Ravera, Le statue sono scappate, veduta installazione al Museo di Aveiro

La mostra conclusiva della residenza ruota proprio attorno a questi concetti legati alla narrazione e alla trasmissione della memoria mettendone in luce anche i limiti. Quello da te ricreato è infatti un museo in cui le statue scappano lasciando nicchie vuote e in cui gli oggetti semplici, del quotidiano sono in attesa di svelare il loro potenziale narrativo… Li definisci proprio “bombe che attendono di deflagrare”…
È vero, penso che indagare il limite sia una preoccupazione ricorrente in questo lavoro come in altri di cui mi sto occupando. Soffrendo un contesto spesso piuttosto performativo dell’essere di cui mi sfugge la bellezza, ricerco e cado nel singhiozzo, l’inciampo fertile e il procedere a tentoni con una torcia illuminando, per quel che posso, le contraddizioni del mondo che vivo e che ci sta vivendo.
Le statue sono scappate esplora una pratica di “nascondimento”, è una proposta a non mostrare sempre tutto, a cedere all’invisibilità, a lasciarsi vivere altrove, non necessariamente mostrando e conservando tutto ciò che è stato. È un lavoro sul tempo che parla di contemporaneità degli eventi dove in unico momento si trova oggi, ieri e domani.
Attraverso il prelievo di alcuni chilogrammi di sabbia dalla Costa Nova, ho tracciato parte del perimetro dello spazio per suggerire una linea di fuga dal museo all’esterno così da insinuare la possibilità che qualcosa di più nutritivo stia accadendo in un posto non regolamentato e strutturato come quello museale.
In fuga siamo noi, le statue imbrigliate ai propri plinti costrittivi, il nostro patrimonio che scalcia, come chi necessita di modificare il proprio scenario per sopravvivere. Insieme a questo piano di evacuazione estruso nello spazio, ho prodotto con l’aiuto di artigiani locali, dei calchi in gesso il cui contenuto rimane prevalentemente celato. Dall’esterno i modelli sembrano mine o basamenti irregolari inutilizzabili.
Nell’installazione, a fianco alla strada per fuggire e alle urne-bombe in attesa di nascita o esplosione, si trovava anche un plinto in ghiaccio contente i fiori offerti dai devoti alla Santa.

Nuvola Ravera, Le statue sono scappate, veduta installazione al Museo di Aveiro

Se dovessi raccontare la tua residenza attraverso dei contenuti di vario tipo – frammenti, immagini, suggestioni – quali sceglieresti?
Sceglierei questo testo dall’Elogio della fuga di Henri Laborit:

“Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio.”

Il paesaggio delle Saline

Il laboratorio

Il libro femminista trovato nel convento che mi è stato di riferimento

Un gesto di scaramanzia con le mani sporche di creta

Le residenze artistiche, oggi sempre più numerose, sono sicuramente occasioni molto importanti per la crescita e lo sviluppo della ricerca di un artista. Spesso però – stando anche ad alcune testimonianze raccolte – si trasformano in esperienze ben più complesse in cui è difficile portare a compimento i proprio progetti e studi… Secondo te quali sono i principali limiti che hai potuto riscontrare in questo modello?
Le residenze sono senz’altro un modello sdoganato di sopravvivenza e sviluppo per molti artisti. Possono permettere di lavorare e concentrarsi sulla propria ricerca, talvolta di avere scambi critici realmente utili e sono un’occasione di approfondimento che nel migliore dei casi offre spazio, fondi, logistica e tempo necessari per sviluppare il proprio lavoro.
È vero anche che si può manifestare una sorta di febbre da residenza che porta gli artisti a diventare quasi dipendenti dall’adrenalina della prossima application e del prossimo mese/anno nel luogo XY. A volte ho l’impressione che per alcuni possa essere dispersivo tutto questo andare e venire senza mai effettivamente darsi il tempo necessario per stare, senza doversi manifestare. È come ci fosse questa forte contraddizione per cui si fa una residenza per darsi il tempo giusto per concentrarsi ma in realtà si passa il tempo ad applicare per la prossima, pienamente in linea con la verve consumistica.
In ogni caso ci sono residenze e residenze e ognuna ha poi il proprio carattere e fornisce diverse proposte.
Credo che ci si stia molto distaccando dai presupposti delle prime residenze degli anni ’60/’70. In Italia ci sono molte nuove situazioni di spazi no profit che propongono questo tipo di ospitalità artistica. A volte sono abbastanza interessanti perché ti trovi a lavorare in zone particolari con persone veramente serie e professionali e si ha modo di avere un rapporto attivo con i territori di riferimento. Altre volte può invece accadere che ci sia davvero un deficit gestionale e pochissimi fondi mal organizzati. In molti luoghi l’arte non è considerato un ambito professionale e questo può portare a trasformare l’esperienza in una bolla temporale in cui ci si è solo persi oppure in cui meditare seriamente sul significato e senso del proprio fare.
In generale, pur attingendo da questa possibilità sono anche dell’idea ci sia un aspetto di istituzionalizzazione dei percorsi degli artisti che porta ad una sorta di pigrizia e addomesticamento delle rotte più attraversate. In ogni caso voglio ben pensare che ci siano sempre, nel mucchio, contesti e persone che portano avanti buone pratiche malgrado si respiri la stessa aria asfittica degli “ismi” di cui il mondo dell’arte non è affatto esente.

 

Soap Opera. Nuvola Ravera
in collaborazione con Giuseppe Ricupero
a cura di Chiara Pirozzi

Progetto realizzato grazie al sostegno del MiBAC e di SIAE nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”

16 febbraio – 30 marzo 2019

LAB.Oratorio
Complesso Monumentale Santa Caterina a Formiello
Piazza Enrico de Nicola 48, Napoli

Info: www.madeincloister.com

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