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Intervista a ANDREA FUSTINONI di Leonardo Regano

Una grande passione per l’arte contemporanea e in particolare per la fotografia è quella che contraddistingue Andrea Fustinoni, protagonista del secondo incontro di #CloseUp, l’approfondimento che Espoarte dedica al tema del collezionismo italiano, condotto in collaborazione con Art Defender.
Proprietario del Grande Hotel Miramare di Santa Margherita Ligure, Andrea Fustinoni inizia la sua ricerca da collezionista partendo dal design, per poi avvicinarsi a un linguaggio espressivo più legato alle arti visive. Una passione che condivide con il compagno, Fabio D’Amato, assieme al quale ha dato vita a un doppio progetto collezionistico che si suddivide nella ricerca privata e in quella pubblica esposta nelle sale del Grand Hotel da lui diretto, oggi confluita nel progetto espositivo e di promozione del contemporaneo miramART.

Quando è avvenuto questo cambiamento di rotta nella sua ricerca e ha scelto di abbandonare il design per dedicarsi all’arte contemporanea?
Il confine è sempre stato labile. Quella per il design è una passione che non ho declinato solo nell’oggettistica accostando a Gio Ponti e Fornasetti i lavori di Bruno Munari e Toti Scialoja. Poi un giorno, in visita alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, mi sono reso conto che forse stavo facendo qualcosa di perfettamente inutile, che la mia ricerca era già sufficientemente testimoniata proprio nei musei. Ho sentito il bisogno di essere più sperimentale e così ho messo tutto in asta e sono ripartito da zero. E il mio punto zero nel contemporaneo è un’opera di Scott King comprata alla galleria Sonia Rosso di Torino. Ma la prima opera davvero importante che ha dato una linea anche a tutta la collezione successiva è Vicini di Casa di Ettore Spalletti, del 2005, scelta insieme a Fabio tra le proposte della Galleria Vistamare di Pescara.

Collezione Andrea Fustinoni e Fabio D’Amato. Ettore Spalletti, Vicini di Casa, 2005. Marmo nero del Belgio, cm 123x60x60.

E da questo primo incontro come è evoluto il vostro gusto per l’arte?
A un certo punto ci siamo appassionati alla fotografia e al video, quasi senza rendercene conto. Il video, in particolare, ha segnato per noi un approccio nuovo al collezionismo in cui il concetto di opera “fisica” è venuto meno e ci siamo dovuti confrontare con i diversi problemi legati ai supporti riproduttivi. Di contro, anche la scultura è stata a volte una sfida impegnativa. Penso all’opera Stellar di Tomás Saraceno (2010) che appena arrivata nella nostra abitazione ci ha messo nel panico perché non passava dalle porte. Ancora non avevamo pensato di conservare delle opere in uno spazio dedicato, come poteva essere uno storage. Tutti i nostri acquisti dovevano essere esposti.

Come si condivide una collezione, è davvero possibile?
Collezionare è un atto intimo, è vero, ma condividendo con Fabio una vita ci piace l’idea di confrontarci anche su questo aspetto. Diciamo poi che io sono il motore di partenza, quello scatenato negli acquisti.

E poi arriviamo anche al progetto miramART. Possiamo dire che per voi si tratta di una vera e propria seconda collezione?
Sì, è così. C’è la nostra collezione privata che ha una gestione autonoma e dalla quale provengono solitamente i prestiti che concediamo per mostre ed eventi. E poi c’è quella che stiamo costruendo nel nostro Hotel. Tra l’altro, a cura di Rischa Paterlini, a breve sarà pubblicato anche un primo catalogo miramART che raccoglie informazioni su tutte le opere esposte in albergo, un’esperienza che vorremmo ripetere ogni anno aggiungendo le nuove opere in ingresso. A questo progetto, che è a disposizione di tutti i nostri clienti come traccia scritta di quello che vedono negli ambienti del Gran Hotel, hanno contribuito i nostri amici artisti, critici e galleristi. Questa seconda collezione è senza dubbio più mediata e meditata, con la selezione di opere che non intaccano il benessere di chi guarda. O meglio, sono opere che si prestano a differenti letture a seconda del grado di profondità con cui l’osservatore vuole leggerle. Penso alla serie dei The Memory of Trees di Uriel Orlow (2016): immagini suggestive di grandi e articolate radici di alberi sudafricani che di per sé hanno un valore estetico notevole e di grande impatto. Ma Orlow ci racconta di una realtà dura e scomoda, oltre la bella immagine: quelle enormi radici hanno rappresentato un rifugio per centinaia di uomini che al loro interno si nascondevano per non finire nelle mani degli schiavisti. Oppure penso a un lavoro come Per l’eternità (Santa Margherita) di Luca Vitone (2014). Il grande tappeto verde che cresce nei saloni dell’hotel, è una piantagione di rabarbaro: chi lo guarda può decidere di fermarsi all’immagine insolita di un prato che cresce in un ambiente chiuso oppure può indagare e scoprire che nella percezione comune l’odore dolciastro del rabarbaro è associato a quello dell’amianto – di per sé però inodore.

Suite Marconi, Grand Hotel Miramare. Uriel Orlow, The Memory of Trees – Saffron Pear, Cape Town, 2016. Fotografia in bianco e nero, 150×120 cm

Avete anche sperimentato interventi site-specific?
È una strada che stiamo iniziando a perseguire, valutando l’idea di progetti realizzati in stretta connessione al Miramare, sul modello del lavoro appena citato di Luca Vitone.

La vostra collezione è per il 70% composta da fotografia. Cosa vuol dire collezionare fotografia oggi?
In termini di conservazione, parliamo di un mezzo molto delicato. Abbiamo delle polaroid di Haris Epaminonda o di Giorgio Andreotta Calò che esponiamo pochissimo e custodiamo in un ambiente dedicato. Possiamo dire che si tratta in primis di una scelta di attenzione costante nei confronti delle opere acquistate. Ma le nostre scelte sono più istintive, e compriamo un’opera solo se è in grado di attirare il nostro interesse oltre il medium espressivo. Una su tutte, Centro di permanenza temporanea di Adrian Paci (2006), che non finirà mia di stupirci.

Salone Piano Terra. Grand Hotel Miramare. Luca Vitone, Per l’eternità (Santa Margherita) 2014. Stampa fotografica, 36,5×44 cm

Molti nomi nella sua collezione sono di artisti italiani. Cosa manca al sistema italiano per essere realmente competitivo all’estero?
Dal mio punto di vista, all’artista italiano manca il grande sostegno e appoggio da parte dello Stato. Vivo parte dell’anno in Svizzera e posso constatare come quel sistema pubblico sia fortemente a sostegno dell’arte locale. Ma anche nei miei viaggi all’estero ho conosciuto realtà di supporto alle giovani creatività nazionali – e non solo – come l’Helena Rubinstein Pavilion di Tel Aviv o Studio Voltaire e Gasworks a Londra. A noi manca proprio questo. Ci sono poche fondazioni, private, che pongono l’attenzione sugli artisti. Non c’è una cintura di sostengo al loro lavoro.

E se volessimo, invece, indicare una marcia in più dei nostri artisti?
Credo che alla fine ci si riferisca sempre alla qualità del lavoro del singolo artista. Francesco Gennari, per esempio, ha una galleria italiana ma ne ha anche due straniere, una in Francia e una Germania e questo grazie al suo linguaggio espressivo, che lo pone al centro di un’attenzione internazionale. O penso a Claudia Losi, artista apprezzatissima da gran parte del collezionismo italiano. Quello che voglio dirti è che per me gli artisti bravi trovano sempre un loro riconoscimento, oltre la nazionalità.

Collezione Andrea Fustinoni e Fabio D’Amato. Francesco Gennari, Autoritratto su menta (con camicia bianca), 2008, stampa fotografica, 40×26,5 cm; Sabrina Mezzaqui, Mappamondo, 2009, 1200 pezzi di carta stampata ritagliati da planisfero e piegati di cm.1,5×6 ognuno; Andrea Botto, KA-BOOM#17 Rapallo, 2009

A proposito di mercato, come sta cambiando oggi?
Durante il lockdown molti collezionisti hanno scoperto questo nuovo approccio virtuale delle viewing room, aderendo anche con entusiasmo. Io ho avuto un attimo di resistenza. Le opere che ho comprato in quel periodo sono tutte di artisti che già conoscevo.
Se oggi l’idea di tornare in fiera ci lascia ancora ansia, visto il perdurare della pandemia, il ruolo principale nel sistema dell’arte lo giocano proprio le gallerie.
Infatti, confrontandomi con altri collezionisti ho captato in loro una gran voglia di tornare nelle gallerie e di trovare un rapporto diretto con il gallerista. È davvero un sentire forte e comune.

Per le gallerie, quindi, un ritorno alle origini?
Sì, le gallerie hanno oggi la grande chance di riappropriarsi del rapporto diretto e dedicato con il collezionista.

A settembre riaprono MiArt e Art Basel: come immagina la nuova fiera?
La immagino come una realtà in cui sarà tutto molto monitorato, con rigidi protocolli da seguire. Non ci sarà quell’atmosfera di leggerezza tipica di un tempo. Non ho ancora capito esattamente come sarà, e non nascondo che sono curioso. Ho già prenotato per seguire la nuova edizione di Loop a Barcellona. Vedremo.

Collezione Andrea Fustinoni e Fabio D'Amato. Francesco Arena, Cube

FRANCESCO ARENA Cube (Atlante Occidentale), 2020, marmo di fior di pesco, atlante occidentale di Daniele Del Giudice, 22,4×22,4×22,4 cm.

Se volessimo dare un consiglio a chi si avvicina al collezionismo oggi?
Senza dubbio quello di avere una conoscenza della materia. Visitate mostre, andate in galleria, leggete i magazine online, dedicati al contemporaneo. Una buon conoscenza della storia dell’arte resta fondamentale perché spesso, un’opera che ci appare contemporanea, in realtà ripete qualcosa già trattata nel passato. L’informazione è la base per tutto.

Salutandoci, le faccio un’ultima domanda. Qual è l’opera che manca alla sua collezione?
Ho sempre desiderato acquistare un lavoro di Latifa Echakhch. Purtroppo, ho esitato e le sue opere hanno raggiunto un prezzo troppo elevato. Il discorso si è concluso da solo.

Leggi gli altri episodi di #CloseUp: www.espoarte.net/tag/closeup/

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