ROMA | Z2O SARA ZANIN | 5 FEBBRAIO – 27 MARZO 2021
di Francesco Paolo Del Re
Istantanee di esistenze sospese nell’indeterminatezza in cui i ricordi si perdono. Fatti filamenti, non tramati in nessun tessuto ma sfuggiti all’ordito e come alghe affidati all’incantesimo dei flussi di una corrente imprevedibile e persuasiva. La cifra minima dell’alfabeto espressivo di Beatrice Pediconi riduce l’enunciato artistico a un fatto primordiale sebbene tutto interno alla nostra società satura di immagini, evocando le membrane sensibili di una vita originaria tuttora fluttuante negli oceani tiepidi di una Pangea mai smembrata, nella sublimazione di un racconto intimo e impossibile da ricomporre, dove la memoria è labile e la vita stessa trabocca in una deriva nostalgica e irrecuperabile.
La tecnica utilizzata dall’artista per le sue opere è l’emulsion lift, ovvero la distruzione di immagini preesistenti dalle quali si distaccano strisce di emulsioni fotografiche sottili come veli che si affidano all’intelligenza dell’acqua, per poi rapprendersi sulla superficie cartacea guidate dai pennelli o con delicati tocchi delle mani.
Molteplici, volendo spiegare meglio, sono i dispositivi di costruzione dell’immagine che l’artista, consciamente o inconsciamente, evoca. Il primo sistema di segni con il quale si confronta è la fotografia. Sono infatti fotografie e più precisamente le superfici impresse sulle polaroid a essere decostruite e sezionate da Pediconi fino alla perdita di ogni riconoscibilità dell’immagine originaria. Le venature di pellicola colorata staccata dal suo supporto cartaceo vengono restituite come un mero regesto di suggestioni cromatiche, che assecondano un gradiente umorale opalino e capace di fare delle trasparenze un orizzonte espressivo sentimentale ed evocativo, nella perdita di ogni rapporto con la realtà e con la sua rappresentazione. Il secondo mondo attraversato dalla ricerca di Pediconi è senz’altro un vasto retaggio pittorico che trova in particolare nell’acquerello la diluzione di un dire mai troppo intenso, mai troppo denso, mai troppo urgente da non poter essere stemperato in qualcosa di più tenue e più sottile, per rispondere al sussurro di una voce interiore che parla con tono leggerissimo in mezzo al caos dei giorni frastornati. Terzo linguaggio con quale il lavoro dell’artista ha delle tangenze, ripensato però in un’accezione affatto personale e dagli esiti inusitati, è infine il collage, che trae la propria forza dal prelievo e dalla parcellizzazione di visioni e supporti preesistenti per farne altro, in un movimento di distruzione e ricostruzione che non necessariamente genera ordine ma è utile a rimappare le dimensioni di un sentire fratto e spaginato.
È un mettersi a nudo attraverso patine di immagini che sembrano lembi di pelle sfogliati e dilavati dallo scorrere del tempo, la terza personale di Beatrice Pediconi alla galleria z2o Sara Zanin di Roma, una mostra che si intitola appunto Nude ed è curata da Cecilia Canziani. Il suo ritorno in Italia dopo cinque anni di assenza contiene il racconto, in forma di cronaca quotidiana, dei giorni della pandemia del Covid che sono stati trascorsi dall’artista proprio a Roma, la sua città d’origine, dove è rimasta intrappolata durante un volo da New York, dove vive, dilatatosi in un soggiorno claustrale e riflessivo: è il Diario di un tempo sospeso, un grande polittico composto da quarantatré piccole opere simili a frammenti di vite eventuali osservate dal vetrino di un microscopio, che enumera segni minimi, una polifonia di emissioni che ora assomigliano agli accordi di un canto, ora a un sospiro, ora alla spina di un dolore, nel conteggio di un tempo cristallino.
Accanto a questo calendario di voci minime che accolgono il visitatore all’ingresso della galleria, il percorso della mostra si articola attraverso grandi fogli, alcuni installati liberamente sulle pareti e altri incorniciati, tutti raccolti in piccoli gruppi a ipotizzare sequenze quasi narrative, andamenti ondulatori, iterazioni modulari.
Si dispiega così il grande alfabeto di Untitled, che assomiglia a un erbario poetico e volante, all’impaginazione di un fantasioso trattato di biologia, per un approccio quasi tassonomico che Pediconi mostra di avere rispetto alla preziosa minuzia dei suoi interventi. Impronte di smemoratezza, altro non sono i segni che l’artista colleziona, testimonianze di un processo che si dà in forma di fallimento, di tradimento, di alterazione smaterializzante. “Un gesto che riflette sull’assenza di memoria storica e sul distacco personale”, spiega lei stessa definendo la sua attitudine segnica come “il risultato di una migrazione”. “La sua traccia volatile e minimale resta in bianco, come l’ultimo ed unico testimone di una storia – racconta Pediconi – il mezzo per lasciare un segno come prova della nostra esistenza”.
Segni di scritture si danno in un andamento fluviale e musicale, come evidenziano i libri d’artista che completano il percorso della mostra, alla ricerca di una permanenza dentro l’immagine e oltre l’immagine. “Il punto di partenza – scrive Cecilia Canziani nel suo testo critico – è esattamente questo: cosa resta. Cosa può prendere forma in questo vuoto. Cosa è possibile recuperare dalla memoria (dell’immagine). Cosa rimane del passato – di una vita, di mille vite. Pochissimo. Moltissimo”. Quanto basta per appassionare.
Beatrice Pediconi. Nude
a cura di Cecilia Canziani
5 febbraio – 27 marzo 2021
z2o Sara Zanin
Via della Vetrina 21, Roma
Orari: da lunedì a sabato 13.00 – 19.00 (o su appuntamento)
Info: +39 06 70452261
info@z2ogalleria.it
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