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BOLOGNA | Galleria Cavour, Green Lounge | 2 – 10 febbraio 2018

Intervista a MARIA REBECCA BALLESTRA di Livia Savorelli

La ricerca artistica di Maria Rebecca Ballestra parte da una forte responsabilità individuale di fronte alle urgenze ambientali e sociali che si trova ad affrontare l’uomo, responsabilità trasferita nella sua arte concepita sia come “forma di attivismo e pratica di trasformazione sociale” sia come “strumento per veicolare lo spirituale nel materiale e viceversa”. Nel pieno della preparazione di Morphosis una tensione tra uomo e natura, curata da Clive Adams (Director del CCNAW-Center for Contemporary Art and Natural World UK), l’artista condivide in questo dialogo la sua visione dell’arte, sia da artista sia da curatrice…

Il rapporto tra mondo vegetale ed essere umano, ai tempi dell’Antropocene, è una complessa e fragile relazione che tu indaghi attraverso le tue opere e che è il leitmotiv della mostra che presenti alla Galleria Cavour di Bologna. Ci spieghi qual è il tuo approccio come artista a questa tematica e quali urgenze senti a te più vicine?
La mostra Morphosis presenta una selezione di opere che hanno caratterizzato il mio percorso artistico dal 2003 al 2017, una sorta di piccola monografica che traccia un percorso ideale tra tutti quei lavori in cui il rapporto Uomo/Natura è stato affrontato in modo più significativo. La mostra prende avvio dal video della mia prima residenza d’artista in Lituania presso l’Europos Parkas, immerso in un bosco vicino a Vilnius, dal titolo The Breathing of Nature del 2003. Il video racconta, sotto forma di dialogo poetico-sensuale, il rapporto tra Uomo e Natura, in cui la relazione, da una iniziale parità simbiotica in cui gerarchia e antagonismo si fondono in una unione intima, termina con una profonda distanza tra i due amanti, con i due percorsi irrimediabilmente separati. Si prosegue con quattro opere del progetto Journey into Fragility: The Round House (2013), una serie di fotografie sul tema degli ecovillaggi e Future-Nature-Culture, una sfera di muschio stabilizzato con una traccia audio che ci parla dell’agricoltura sostenibile, entrambe realizzate in Galles; Sacred Landscape (2012) realizzata in Madagascar sulla sacralità del paesaggio nei popoli primitivi e I’m because you are… (2012) realizzata in Cina sul tema della trasformazione antropica del paesaggio. La mostra ripropone anche l’installazione Post Human Garden, che era stata pensata e realizzata appositamente per il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce nel 2011 in occasione della mia mostra Changing Perspective, che vede la realizzazione di un giardino sul tema della manipolazione genetica. Infine la mostra si chiude con il lavoro Regeneration Time che invita lo spettatore a una sorta di “riflessione interiore” sulla responsabilità individuale che abbiamo verso la Natura.
Dopo una lunga fase di ricerca e di viaggi in cui il mio lavoro era orientato alla denuncia di diverse urgenze sociali, dal 2012 ad oggi, come ha ben definito Elena Mencarelli nella tesi sul mio lavoro che uscirà quest’anno, la mia ricerca artistica si è orientata verso un percorso di riparazione, in cui ricercare una forma di mediazione, di restituzione, di azione propositiva, in cui la pratica artistica diventa una sorta di azione catartica.

albero-ridottaQuale ruolo credi possa avere l’arte nell’analizzare queste problematiche eco-ambientali? Può secondo te la Cultura contribuire a guarire il Pianeta?
Il rapporto con la Natura è primariamente una questione di coscienza individuale, come essere umani facenti parte di un ecosistema complesso non possiamo prescindere dall’ambiente che ci contiene e ci permette di sopravvivere. Non rendersi conto della crisi ambientale, che così insistentemente viene denunciata da tutta la comunità scientifica internazionale e di cui purtroppo già subiamo le conseguenze, è non solo miope ma totalmente irresponsabile, volessimo anche solo considerarla dal punto di vista egoistico della sopravvivenza della nostra specie. Credo che l’artista sia chiamato a confrontarsi con il proprio tempo, e quello dell’ambiente è uno dei grandi temi dell’Antropocene. Oltre però al ruolo della cultura come forma di attivismo e pratica di trasformazione sociale, mi piace pensare all’arte come strumento per veicolare lo spirituale nel materiale e viceversa. Quella con la Natura è per me non solo una relazione materiale tra soggetto e oggetto ma rappresenta la dimensione fisica in cui riconoscere quella spirituale. Nel mio percorso personale il rapporto con la Natura è stato un lungo cammino di “rivelazioni” interiori, che mi ha plasmato e trasformato, un po’ come succede con il paesaggio.

Maria Rebecca Ballestra, Sacred Landscape. Foto Maria Francesca Nitti

Maria Rebecca Ballestra, Sacred Landscape. Foto Maria Francesca Nitti

Riesci a portare avanti in contemporanea il lavoro di artista, impegnata in una ricerca che ti spinge ad intraprendere lunghi viaggi, e quello di curatrice – oltre ai vari progetti seguiti negli scorsi anni – ricordiamo che sei uno dei curatori associati del CCANW (Centre for Contemporary Art and the Natural World, diretto da Clive Adams che è il curatore di questa mostra bolognese) e co-curatrice della UnimediaModern di Genova.
Come riesci a far convivere tutte queste anime in un’unica grande professionalità? Ci racconti del tuo approccio da curatore-artista?
Sono ormai 15 anni di viaggi e progetti artistici in varie parti del mondo (credo di aver superato i 70 paesi) che hanno preso la forma di residenze d’artista, mostre, workshop, conferenze, che mi hanno portato a incontrare moltissimi artisti e mi hanno messo in relazione con molte istituzioni. Molte di queste persone hanno contribuito alla crescita del mio percorso professionale e ancor più personale; avevo in un certo senso il desiderio di restituire tutto quello che mi è stato dato, attraverso la promozione di artisti di grande valore che spesso sono poco conosciuti perché fuori dalle logiche di mercato. All’inizio il mio percorso artistico è stato piuttosto duro e impegnativo, forse per la complessità del mio lavoro sia per contenuti sia per i media utilizzati, che non favoriva l’inserimento nel sistema dell’arte. Per questo vorrei che il mio ruolo di curatore favorisse la conoscenza di artisti italiani e internazionali fortemente impegnati su temi sociali, il cui lavoro è spesso complesso ma anche di grande valore estetico e concettuale.
Credo inoltre di non aver mai avuto un carattere accentratore e competitivo, molti miei lavori sono stati realizzati in collaborazione con altri artisti, si trattava solo di dare una forma più definita a questa pratica che si è concretizzata l’anno scorso con l’invito a far parte del CCANW e ad iniziare la collaborazione con Unimediamodern. Sono in particolare molto felice di quest’ultimo connubio per lo spirito indipendente e avanguardista che ha sempre caratterizzato la galleria, che mi concede la massima libertà di sperimentazione nella scelta degli artisti e nelle proposte espositive.

Maria Rebecca Ballestra, Post Human Garden

Maria Rebecca Ballestra, Post Human Garden

Nel 2016 hai dato vita, insieme a Clive Adams, all’Isola della Certosa di Venezia, ad un programma di residenze d’artista che si innestavano all’interno del Festival for the Earth, un forum realizzato in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari. Un progetto di residenze che traggono linfa da un approccio teorico molto importante. Quali sono stati i risultati? Credi che la “residenza d’artista” sia un valido strumento di approccio a tematiche così importanti?
La residenza d’artista sull’Isola della Certosa è stata una bellissima esperienza di lavoro e condivisione con un importante artista americano del movimento Land Art come Alan Sonfist e con due giovani artisti Marina Velez (UK) e Giuseppe La Spada (IT). In realtà la presenza artistica nel frame del Festival for the Earth, assume ogni anno una forma diversa, quest’anno per esempio abbiamo dato spazio al video con la proiezione del film Amazonia del poeta ed ecologista inglese Mario Petrucci, il video messaggio del compositore Ryuichi Sakamoto, la proiezione del video documentario Iriria-Nina Tierra del regista Carmelo Camilli ed, infine, abbiamo ospitato l’installazione interattiva di Giuseppe La Spada. Credo che le residenze d’artista siano uno straordinario strumento che offre agli artisti la possibilità di concentrarsi per un dato periodo di tempo solo sulla loro ricerca, in contesti spesso nuovi, stimolanti e ricchi di scambio.

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Maria Rebecca Ballestra, The round House

Per concludere, sogni nel cassetto e qualche anticipazione sui prossimi progetti.…
Come artista sono attualmente impegnata a realizzare il mio progetto Echoes of the Void (www.echoesofthevoid.com), che indaga il significato geologico, politico, e spirituale dei maggiori deserti al mondo. Ho già realizzato varie tappe nei deserti del Gobi, Rub Al Khali, Artide, Namib, Sonora, Patagonia, Chihuahua, ma sono solo a metà del percorso.
Come curatrice sto preparando la mostra personale dell’artista brasiliano Fabio Tremonte che sarà ospitata in primavera negli spazi della galleria Unimediamodern a Genova, e lavorando al programma di residenze Social Soups (www.socialsoups.com), che con Rachela Abbate abbiamo co-fondato e che ospita 3 artisti in residenza in forma diffusa in Liguria.
Infine sto lavorando alla prossima edizione del Festival for the Earth – Sustainable Visions in Art and Science (www.festivalfortheearth.com), che quest’anno tornerà a Venezia, arricchito di prestigiosi partners e illustri relatori sia del mondo accademico che artistico.
Il sogno nel cassetto, che spero prenderà forma già quest’anno, è quello di istituire un premio per sostenere i giovani artisti.

Maria Rebecca Ballestra, “I’m because you are”

Maria Rebecca Ballestra, “I’m because you are”

Maria Rebecca Ballestra. MORPHOSIS
una tensione tra uomo e natura
a cura di Clive Adams

2 – 10 febbraio 2018
Inaugurazione: venerdì 2 febbraio ore 18

Galleria Cavour, Green Lounge (piano ammezzato)

Orari: 15-19; apertura straordinaria Art City White Night: sabato 3 febbraio (ore 20-24)

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