NAPOLI | Museo Civico Gaetano Filangieri | 4 maggio – 10 settembre 2017
Intervista ad ANDREA SALVATORI di Luca Bochicchio
Andrea Salvatori ha ormai raggiunto una maturità espressiva che consente di valutarne criticamente il lavoro senza dover cercare di collocarlo, accostarlo o interpretarlo in base a parametri e casellari tassonomici provvisori e riduttivi. Il suo è un percorso che, dalla fine degli anni ‘90, si stabilizza in quest’ultimo decennio nella continua ricerca e sperimentazione sulle forme, sulle immagini del patrimonio visivo alto e basso, intellettuale e kitsch. Le sue soluzioni sono alternative al pensiero comune, strategie concettuali che rivendicano l’autonomia critica, di valutazione dell’esistente e di immaginazione del futuro…
Parliamo della tua formazione.
Dopo l’Istituto d’Arte di Faenza ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna. In quegli anni, oltre a confrontarmi con la storia dell’arte e con l’arte contemporanea, ho iniziato a collaborare con la bottega di Bertozzi & Casoni. Allora credo sia emersa la mia personale attitudine come formatore, come scultore. Ero interessato alle forme, all’immagine, all’esecuzione del pezzo e non tanto alla decorazione, alla pittura.
Quali sono state le prime tappe di un percorso autonomo?
La mia tesi all’Accademia fu sul kitsch. Ero interessato a tutte quelle forme dell’immaginario popolare comune, anche triviali e banali, e a come potessero essere inserite, usate, modificate per servire come termini di un altro discorso. Volevo dimostrare come anche gli oggetti più scontati e privi di interesse potessero in realtà dire ancora qualcosa. Alla base, certamente, vi era lo spiazzamento surrealista, la manipolazione postmoderna. Iniziai con degli autoritratti fotografici in scenari turistici scontati, poi presi i primi pupazzetti in porcellana, che ripetono sempre gli stessi gesti nell’immaginario comune, e li modificai in modo splatter, senz’altro ironico. Capii presto che questi tentativi erano già dei filoni di ricerca esauriti e mi rivolsi ad altro.
Come sono maturati gli accostamenti polimorfici e polisemici che ancora oggi ti caratterizzano?
A un certo punto ho sentito il bisogno di ripulire la mia passione per la ridondanza barocca e ho iniziato a ricercare delle forme più astratte, pulite, in un certo senso monumentali. Ho comunque continuato a sperimentare i rapporti tra figure comuni che prelevavo dall’esistente (personaggi, animaletti, figurini, fiori) e queste nuove strutture semplici, archetipiche, che ricreavo manualmente. Ma la mia propensione al barocco, al ricciolo, mi ha riportato a giocare con questi accostamenti fino a far crescere sempre di più l’elemento archetipico da me ricreato (un cubo che diventava masso, una sfera che diventava luna, dei coni che diventavano stella), così che fosse completamente sovrastante rispetto alle piccole figure. Ancora oggi, questi piccoli personaggi al cospetto di forme giganti sono un po’ la mia firma, il piccolo particolare da andarsi a cercare in una composizione apparentemente astratta. Si tratta di un lavoro di anni, fatto di sperimentazioni continue che a volte portano risultati inaspettati, come accade appunto nella ricerca.
L’uso che fai dei colori è molto interessante: una sorta di polarizzazione cromatica.
Mi interessa la scultura, quella assoluta diciamo, cioè quella senza colore, di solo corpo, forma, composizione. Per questo ricorro a colori puri o neutri. Che sia bianco, grigio, giallo o rosso, uso sempre il monocromo, che come ci hanno già insegnato i vari Malevich, Klein, Fontana e Manzoni non è colore ma idea, spazio, concetto.
Ho notato che insisti molto sulla valenza concettuale del tuo lavoro. Forse perché ti sporchi sempre le mani (letteralmente) con la ceramica?
Ci tengo molto a chiarire che, benché il mio lavoro preveda una buona componente pratica, anzi tecnica, l’altra parte, quella essenziale, è concettuale. Il processo di accostamento di forme già esistenti (gli elefanti, i vasi, i bibelot, gli oggetti di famosi designer) e di poliedri da me realizzati ha la stessa valenza di una composizione a collage. Che utilizzi un calco, una fotocopia o una mia fotografia vale lo stesso principio. Si tratta di un atteggiamento di critica all’immagine e al significato dell’oggetto che ho avuto fin dai primi lavori. Il semplice accostamento, o ribaltamento di due significanti, come un personaggio in porcellana e un vasetto, mi ha portato a negare la testa del personaggio infilandola nel vaso. In quei casi quasi mi vergognavo che il processo esecutivo si limitasse a incollare due oggetti preesistenti, ma quel che per me era importante era il significato di quel gesto, che serviva a provocare gli assunti comunemente accettati, reiterati a tal punto da sfidare ogni possibilità di cambiamento o anche solo di pensiero alternativo.
Questa tua “alternativa” è la chiave per uscire dall’angusto scaffale dove alcuni etichettano il tuo lavoro come “design”.
Le mie sculture condividono alcuni aspetti del design ma non quelli principali e fondamentali: non sono oggetti destinati alla riproduzione seriale. Ognuno è un monotipo e quando per necessità espositive mi trovo a dover utilizzare più volte gli stessi elementi, lo vivo come un rallentamento della mia ricerca. Mi piace provocare le forme e le idee assertive, consacrate nell’immaginario comune – dallo spremiagrumi di Starck alle sedie di Rietveld o Keter, fino ai vasi e agli elefanti – per dimostrare come ci siano ancora moltissime possibilità di sguardo, di ragionamento, di invenzione: sono futurista! Basta un foro per trasformare una qualsiasi scultura in vaso: che altro non è che una forma contenitiva dotata di apertura. Per questo le mie sculture conservano dei dettagli segreti, dei racconti da sviluppare, come nei giochi.
Delle tue passioni da collezionista, disk jockey, dandy e flâneur parliamo la prossima volta?
È meglio, perché ho mangiato troppo tiramisù e mi ha portato via tante energie.
Il teaser della mostra:
[Tratto da Espoarte #96]
Andrea Salvatori è nato nel 1975 a Faenza. Vive e lavora a Solarolo (RA)
www.salvatoriandrea.it
Andrea Salvatori. OTIUM CUM DIGNITATE
in occasione della stagione di mostre, percorsi ed eventi “La Primavera del Principe
a cura di Guido Cabib
4 maggio – 10 settembre 2017
Inaugurazione venerdì 4 maggio, alle 18.00
Museo Civico Gaetano Filangieri principe di Satriano
Via Duomo 288, Napoli
Info: museofilangieri@libero.it
museofilangieri.org