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Mona Lisa Tina da Bologna

Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
La pandemia ha fatto emergere le fragilità dell’essere umano, nella complessità della sua natura diffondendo panico e sofferenza in modo orizzontale e totalizzante.
In questi giorni così complessi e difficili sono attraversata davvero da molte emozioni: alcune indefinibili per intensità e forza di manifestazione; altre meno confuse e più delineate, che suscitano in me sentimenti di speranza per il prossimo futuro. È un futuro che mi auguro sarà possibile riprendere, seppur in modo radicalmente differente da come facevamo prima, arricchito da una conquistata umiltà, consapevolezza e rispetto verso il prossimo e verso il Pianeta.
Per rispondere alla domanda, credo di aver riscoperto, grazie alla dimensione della riflessione intima e silenziosa, legata ad una percezione del tempo sospesa e dilatata di questi giorni, altre risorse psichiche vitali che sono emerse in me spontaneamente e che immaginavo più contenute e circoscritte.
Queste risorse non solo mi hanno sostenuta immediatamente in modo attivo in molti momenti di sconforto e tristezza ma mi hanno permesso di comprendere bene il significato profondo della parola “resilienza”, che prima ancora di essere un problema di semantica è un problema dell’esistenza, quando di fronte all’esperienza dolorosa della perdita di qualcuno o qualcosa si ha la capacità di non venirne travolti completamente.
L’eccezionalità del vivere oggi la resilienza nei giorni della pandemia consiste nel fatto che è un’esperienza che riguarda tutti, un’esperienza mondiale che avevamo relegato al passato di altri eventi simili lasciatici alle spalle. È vero: l’essere umano è fragile e i decessi avvenuti lo confermano; egli però ha anche una grandissima capacità adattativa e di reazione agli agenti esterni di alto rischio, una risorsa che non dobbiamo dimenticare, poiché è l’unico strumento prezioso di cui siamo dotati per non perdere contatto con noi stessi e la nostra identità e infondere coraggio a chi la stessa strada che stiamo percorrendo, la vede invece confusa e buia.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mancano gli abbracci, le carezze, gli sguardi affettuosi e sereni, la vicinanza fisica delle persone care. Con questo non voglio dire che l’amore e l’affetto siano stati vanificati dal virus. Anzi, il contrario: la mancanza del contatto e il distanziamento sociale amplificano ancor di più questa esigenza, ricordandocene l’importanza. Inoltre ci accorgiamo di quanto potere di conforto e benessere abbia su noi l’atto dell’accarezzare e dell’essere accarezzati.
Nonostante siamo obbligati ad essere diversamente vicini, una “semplice” carezza non può essere sostituita neanche dalla più bella poesia che sia mai stata scritta perché essa, nella sua fisicità, risponde a un bisogno esistenziale e culturale primordiale dell’essere umano. Infatti percepire gli altri e noi stessi con il contatto fisico risveglia istanze vitali e gioiose, profonde ancora di più se nello sguardo del nostro interlocutore riconosciamo un sentimento di emotiva reciprocità.
È paradossale e crudele constatare oggi che l’atto dell’accarezzare sia diventato qualcosa di altamente rischioso ed imprudente per la salute dell’essere umano, invertendone purtroppo i benefici elencati precedentemente.

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Vivere con pienezza, responsabilità, umiltà e amore ogni momento della nostra esistenza e allo stesso modo le proprie relazioni interpersonali.
Non dare mai per scontato che il vivere sia un atto dovuto solo perché qualcun altro ci ha messo al mondo. Non credere più alle menzogne e alle lusinghe dell’ego che ci illudono che la presenza e l’attenzione degli altri dipendano dall’eccezionalità e il carisma della nostra persona.

Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Come artista visiva e performer credo di essere attualmente impossibilitata nella realizzazione di progetti performativi che prevedano il coinvolgimento attivo del pubblico con una interazione fisica. Immagino sia un argomento delicato per molti colleghi che operano in questo settore e su cui varrà la pena riflettere insieme ai professionisti del mondo dell’Arte. Forse bisognerà ripensare la Performance completamente e attingere ad esperienze e studi pregressi della fine degli anni Novanta in cui genetica umana e tecnologia cercavano un’ibridazione. Allora si era trattato di fare esperienza estetica e culturale innovativa; oggi si potrebbe parlare di sopravvivenza e prevenzione del virus in un museo o in una galleria. Anche se non voglio essere apocalittica, mi pare che lo scenario visibile dalle finestre delle nostre case sia già sufficiente ad infonderci sentimenti difficili da trasformare. La pandemia continua a ricordarci che il nostro corpo non ha proprio nulla di certo e di assoluto e che, per continuare ad esprimersi anche nell’Arte, bisognerà rimodulare e ricombinare la propria ricerca senza snaturarla, con l’attualità e l’urgenza comunicativa dei nostri giorni.
Come arte terapeuta che lavora in contesto medico, ho dovuto anche sospendere la mia attività rivolta ai bambini oncologici e ricoverati in ospedale e nei centri di accoglienza. Credo non sarà semplice riprendere a breve termine. Altra cosa, invece, riguarda l’insegnamento: come docente e referente del Corso di Bologna della Scuola Nuove Arti Terapie – indirizzo visivo e performativo, dove si sta pensando con il Direttore e il Corpo docente ad una didattica alternativa. Se dovessimo riprendere a fare lezioni frontali sarà senz’altro necessario utilizzare per molto tempo tutti i presidi possibili per lavorare in sicurezza e serenità, adeguandoci alle normative del Governo.
Spero che l’isolamento sociale obbligatorio e la relativa sensazione di precarietà non riescano a condizionare i nostri cuori e il nostro mondo interno al punto da rendere impraticabile la relazione con il prossimo. Mi auguro invece che questo periodo così intenso e complesso faccia maturare in ognuno di noi una differente e più forte consapevolezza della Vita e delle nostre relazioni più significative.

Artista e arte terapeuta, Mona Lisa Tina vive e lavora a Bologna. Nata a Francavilla Fontana (BR) nel 1977, si è diplomata nel 2005 in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna e si è specializzata nel 2012 in Arte Terapia presso Art Therapy Italiana. È referente didattico del Corso Triennale “NUOVE ARTI TERAPIE” –  indirizzo Arti Visive e Performative – sede di Bologna, Direttore Oliviero Rossi.
Mona Lisa Tina pone al centro di tutta la sua indagine artistica il Corpo come luogo di continui processi trasformativi psichici e fisici. Le sue azioni accolgono riflessioni sui temi universali dell’identità, dell’incontro profondo con l’altro e della fiducia positiva nel cambiamento: un cambiamento che è possibile solo attraverso il dialogo e il confronto autentico tra le persone, al di là di qualunque tipo di differenza legata alla cultura di appartenenza, all’etnia, all’orientamento sessuale, all’età e al credo religioso.
Promuovendo così all’interno delle azioni performative un momento di quasi ancestrale autocoscienza e una reale riappropriazione identitaria, l’artista intende proporre una fisicità “alternativa”, che si libera dai modelli di bellezza standardizzati, esibendola come spazio simbolico aperto e veicolo di comunicazioni significative su più piani di lettura. Mona Lisa Tina conduce numerosi seminari e workshop incentrati sui punti fondamentali della propria ricerca artistica. Ha esposto in differenti musei in Italia e a all’estero, e in gallerie e spazi di ricerca di arte contemporanea tra questi: Museo Teatro della Commenda (Genova), Palazzo Penna (Perugia); GAM (Torino); Künstlerhaus (Hannover); Museo MACRO Testaccio e Asilo (Roma); Stadtgalerie (Kiel); Kunstsammlungen (Chemnitz), Sponge Living Space (PU), Galleria Adiacenze (Bologna), Prisma Studio (Genova). www.monalisatina.it

 

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