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Federico Giannini da Carrara

La tua nuova ritualità quotidiana… Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Se penso al lavoro nel suo manifestarsi concreto, in realtà non è cambiato molto rispetto a prima: facendo il giornalista e cercando di limitare la mondanità allo stretto necessario, passo normalmente la quasi totalità della mia giornata a leggere e a scrivere, e questa formula non ha subito pesanti variazioni durante le settimane del confinamento. Solo, seguendo i consigli forniti dagli psicologi, ho cercato di scandire in modo molto più preciso, regolare e rigoroso le giornate, con qualche minima variazione per evitare il ripetersi troppo ossessivo della routine: una prassi che mi riesce difficile seguire in condizioni di piena normalità. Se penso invece ai fondamentali del mio lavoro, è mancata la dimensione della conoscenza dal vivo che si sostanzia nelle relazioni sociali, nella visita alle mostre e ai musei, nella partecipazione agli eventi. L’ho colmata aumentando un altro dei fondamentali d’un giornalista: la lettura.

Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Un oggetto: i libri. Di carta e in formato digitale, recenti e antichi, per evasione e per lavoro, classici e titoli poco noti, buoni e pessimi, acquistati di recente e in casa da anni in attesa d’esser letti: sono stati una presenza costante e viva. Credo che il confinamento non ci abbia fatto mancare occasioni di conoscenza, e trovo peraltro encomiabile l’impegno che molti, nel nostro settore, hanno profuso per farci arrivare ogni giorno nuovi contenuti, nuovi spunti, nuove riflessioni. Uno spazio: il vicinato. Nella mia regione, al di là degli spostamenti consentiti per i noti motivi di necessità, era permesso uscire per fare attività fisica solo nelle ormai famigerate “prossimità dell’abitazione”. Ho dunque “interagito” molto col mio quartiere, che in realtà non fa parte del mio normale quotidiano, dacché lo frequento molto poco. In sostanza, il quotidiano che mi circonda è diventato la mia nuova quotidianità.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell'”assenza” e della “mancanza”.
La mancanza è una percezione, l’assenza è la modalità e lo spazio in cui la mancanza agisce. Sono valori da connotare positivamente, ce lo ha insegnato molta arte del Novecento, da Agnetti e Christo in poi. Mancanza è, in altri termini, far notare la presenza di ciò che è assente. È chiaro che la strettissima circoscrizione delle nostre libertà per ragioni di ordine sanitario abbia portato tutti noi a farci avvertire la mancanza di quelle libertà che davamo per scontate. Penso però che questa mancanza sia servita per affermare il valore di quelle libertà. Spero dunque che saremo più consapevoli della loro importanza.

Quale deve essere il ruolo dell’editoria in un momento storico come quello attuale? Un magazine o una piattaforma di informazione specialistica, quali sfide può concorrere ad affrontare?
Penso che questo momento storico abbia sottolineato la necessità di una nuova opinione pubblica che torni a esser fondata sull’intermediazione. L’opinione pubblica, per come la conoscevamo, è stata messa in crisi dai cambiamenti che i mezzi di comunicazione hanno subito negli ultimi anni: gli eventi delle ultime settimane hanno però evidenziato, secondo me in maniera piuttosto chiara, l’insussistenza di un modello basato sull’assoluta equivalenza delle opinioni, e quindi diviso, particellare, incapace d’esercitare pressioni anche minime (e, di conseguenza, neppure più riassumibile sotto il concetto di “opinione pubblica”). Alla stampa, all’editoria si sta presentando un’occasione forse irripetibile per affermare la propria autorevolezza. Siamo dunque chiamati alla prova della responsabilità: e questo vale per tutta l’informazione, generalista e specialistica. Dobbiamo riconquistarci la fiducia del pubblico. E in questo noi, le testate di settore, partiamo con un punto di vantaggio: dobbiamo esserne consci e fare quello che abbiamo sempre fatto, ovvero lavorare sapendo che il nostro pubblico è, intanto, il nostro bene più prezioso, e in secondo luogo che un’informazione corretta, chiara, libera e rigorosa è il mezzo più efficace per avere il pubblico dalla nostra parte. Sembra scontato affermarlo, ma l’esperienza non sempre ci ha confortato. E poi, l’informazione specialistica deve immaginarsi come la tessera di quel mosaico che è il nostro mondo interconnesso e dove non possiamo più prenderci il lusso di pensare come se vivessimo dentro compartimenti stagni.

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Ragionare sul cosa continuare a fare e sul cosa non fare mai più in termini generali significa ragionare sulle utopie, ma del resto il genere umano progredisce cercando utopie, e le utopie, piccole o grandi che siano, vicine o lontane, sono luoghi che riempiono di senso le nostre vite (o almeno per me è così). Quello che non dovremo fare più è perseverare nel nostro disinteresse per la cosa pubblica. Credo che la situazione che abbiamo vissuto ci abbia dimostrato a sufficienza come ogni nostra singola scelta abbia un peso per la vita nostra e per quella degli altri. Non so se il fatto che tutti siano stati così partecipi e interessati ad approfondire, a conoscere, a informarsi, derivi davvero da una presa di coscienza collettiva o sia più semplicemente perché quanto abbiamo vissuto ha sconvolto il nostro vivere quotidiano. Penso che però gli ultimi eventi abbiano sottolineato il fatto che ci sia un potenziale. Di rimando, quello che invece dovremo fare è acquisire una più profonda consapevolezza di noi stessi, agendo nel nostro quotidiano in tutti i modi per essere cittadini liberi.

Federico Giannini, nato nel 1986, laureato in Informatica Umanistica all’Università di Pisa nel 2010, vive a Carrara. Giornalista, è fondatore e direttore responsabile della testata Finestre sull’Arte, una rivista dalla doppia anima (cartacea e online), interamente votata all’arte, antica e contemporanea, e all’attualità dei beni culturali. Collabora da anni con Art e Dossier e con Left.

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