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PISOGNE (BS) | Mirad’Or | 9 luglio – 30 settembre 2022

Intervista a STEFANO ARIENTI e MASSIMO MININI di ALICE VANGELISTI

La luce del sole disegna quotidianamente la sua danza sulla superficie del Mirad’Or di Pisogne (BS) e Stefano Arienti riesce a cristallizzarla in un lavoro memore di questi suoi piccoli e colorati passi nello spazio. In effetti, l’artista, chiamato da Massimo Minini a intervenire in questo luogo, decide di creare un’installazione che si rifà alla sua serie delle Meridiane, che abbandonano però la bidimensionalità della carta per interagire con l’ambiente circostante. Così dei nastri colorati abitano e vivono lo spazio, dandogli una nuova visione in una doppia dimensione di lettura – dall’interno e dall’esterno – in relazione anche con il territorio circostante. Ci raccontano questo nuovo intervento artistico Stefano Arienti e Massimo Minini:

Partirei chiedendovi i retroscena legati all’opera che è stata realizzata appositamente per il Mirad’Or di Pisogne…
Massimo Minini: Tutto nasce dall’idea di proporre delle mostre con grandi artisti nazionali e internazionali, che abbiano la libertà di proporre progetti in cui l’unico limite può essere quello economico dei costi dell’installazione o delle complicazioni tecniche-tecnologiche. Finora abbiamo proposto due esposizioni: Buren l’anno scorso e Arienti quest’anno. I due lavori in qualche modo si assomigliano, anche se Buren è ovvio che proponga dei lavori con le sue strisce, l’intervento di Arienti non ce lo si sarebbe aspettato. Infatti, venendo qui, ha cercato di capire e sondare al meglio il luogo che lo avrebbe ospitato. Dopo aver visto il sole e le ombre che genera a terra e sui muri, è nata l’idea di seguire queste tracce nello spazio. Si tratta di un’operazione che potrebbe essere definita in qualche modo in linea con la prima arte povera e con il lavoro di altri come ad esempio Richard Long – anche se in questo caso Arienti ha realizzato un’opera molto colorata, rispetto a questi suoi colleghi – dove però il colore è dato dai nastri che si estendono su tutto il pavimento e parte delle pareti.

Stefano Arienti. Meridiana, Mirad’Or Galleria d’Arti, Pisogne (BS) Foto © Walter Carrera

Stefano Arienti: In effetti è un’opera molto grande che ho pensato appositamente per lo spazio. Uno spazio in realtà molto insolito e difficile per noi artisti che siamo ormai abituati a lavorare in spazi tendenzialmente molto neutri. Accettare di lavorare in uno spazio così, pieno di finestre e con la presenza della natura circostante che in qualche modo lo invade, in realtà, è stata una sfida molto interessante e positiva. Data la presenza così forte degli elementi naturali nello spazio del Mirad’Or ho pensato che una serie di opere a cui sto lavorando ormai da molti anni – le Meridiane – potesse essere un punto di partenza possibile.
Quando Massimo Minini mi ha proposto di confrontarmi con questo spazio e dopo averlo visto, ho quindi pensato di realizzare una grande Meridiana al suo interno. Non è un’operazione del tutto nuova. Infatti, questa primavera per una mia mostra personale a The drawing hall – uno spazio indipendente a Grassobbio (BG) dedicato al disegno –, ho presentato alcune delle Meridiane su carta realizzate nel 2020. Si tratta di lavori che realizzo nel mio studio, mettendo dei fogli di carta sul tavolo davanti alla finestra e seguendo i tracciati prodotti dalle diverse ombre. Ma non solo… Proprio in occasione di quella mostra ho cominciato a sperimentare un lavoro che diventa ambientale.

Infatti mi ha incuriosito molto questo cambiamento, passando dalla carta alla tridimensionalità propria invece dell’installazione…
SA: Come accennavo, qui a Mirad’Or non è la prima volta. Il primo esperimento l’ho realizzato proprio in occasione della mostra a Grassobbio, provando a creare una delle mie Meridiane nello spazio. In quel caso si stava girando un documentario sul questo lavoro e una parte è stata realizzata all’interno della fabbrica di Crespi d’Adda. Qui, infatti, avevo creato una grande opera dipinta su pavimento, ricalcando le ombre prodotte dal sole che entrava dalle finestre. È stata un’esperienza molto positiva e ho capito che questa modalità di lavoro – che fino a quel momento avevo sperimentato solamente su carta – poteva essere applicata anche per la realizzazione di un’opera ambientale.
Si tratta di un cambio di prospettiva non indifferente: dalla superficie ristretta del semplice foglio di carta, si passa a una dimensione enorme che molto ha a che fare con l’ambiente circostante. E Mirad’Or è diventato lo spazio ideale in cui provare a sperimentare questa nuova metodologia in maniera più visibile. Infatti, nel caso dell’opera di Crespi d’Adda, l’intervento non era accessibile al pubblico ed è stato realizzato unicamente per fare le riprese. Inoltre, per lavorare a Mirad’Or – The Floating Piers viste le sue condizioni ambientali –, non era facile intervenire come avevo fatto molto più semplicemente a Crespi d’Adda, dove dipingevo sul pavimento con delle tempere. Quindi, ho fatto una prima prova su carta, pensando di poter mettere dei grandi fogli nell’ambiente, sovrapponendo alla superficie del pavimento un’altra superficie sulla quale potevo disegnare. Ma alla fine quell’approccio non mi soddisfaceva del tutto. La svolta è stata la decisone di utilizzare dei nastri colorati in poliestere per interagire nello spazio. Questo materiale risulta molto luminoso e in qualche modo sembra portare dentro lo spazio i riflessi della luce. Si tratta sicuramente di un materiale molto povero – sono dei nastri usati per le confezioni regalo – che ho teso nello spazio usando degli spilli puntati nel pavimento, creando un’installazione transitoria e che potrà essere facilmente reversibile.

Stefano Arienti. Meridiana, Mirad’Or Galleria d’Arti, Pisogne (BS) Foto © Walter Carrera

Quello che mi ha incuriosito è anche questo rapporto con uno spazio che in realtà è molto connotato, proprio anche per la relazione tra interno-esterno. Qual è il dialogo che si è cercato di instaurare, non solo con lo spazio espositivo, ma anche con il territorio circostante?
MM: L’artista in genere dovrebbe essere avvezzo a questo tipo di operazioni: quando arriva sul posto guarda, studia e poi, proprio come Buren ha insegnato tanti anni fa con l’idea dell’artista senza studio, le opere vengono create in situ, in rapporto allo spazio dato. Buren, ma anche Arienti, in genere non vogliono modificare lo spazio. Cioè lo spazio è indiscusso, ma lo si mette in discussione attraverso il lavoro. E siccome il Mirad’Or è trasparente e si affaccia sull’ambiente esterno, è ovvio che i diversi lavori esposti instaurino un dialogo con il paesaggio circostante.

Infatti mi ha colpito molto nel comunicato stampa una sua affermazione riguardo al fatto che Buren e Arienti potrebbero anche essere intesi come dei moderni paesaggisti. E appunto, in questo senso, cosa può aggiungere l’arte al paesaggio e viceversa?
MM: Questa intuizione mi è venuta quando Christo ha realizzato The Floating Piers cinque anni fa. In questo caso è più evidente che lui interveniva direttamente nel paesaggio con un’installazione enorme rispetto agli interventi più contenuti di Arienti e Buren. Il suo lavoro infatti era più forte perché cambiava di più la percezione che si aveva del paesaggio. Si tratta in realtà di una storia che affonda le sue radici nel passato e che nel corso del tempo si è evoluta. Il concetto di paesaggio nasce in effetti nel Settecento con Watteau, Fragonard e tanti altri artisti che hanno cominciato a interessarsi a questa tematica, seguendo una linea espressiva che comincia dalla Tempesta di Giorgione, quando l’uomo quasi scompare e prevale l’elemento naturale. Invece, nel Novecento, a parte gli inizi dove i pittori realizzano ancora una copia esatta del paesaggio, gli artisti poi invertono la rotta: piuttosto che ritrarre il luogo che vedono, tendono a modificarlo. Pensiamo a Richard Long, Mario Merz, Hamish Fulton, Christo… Ma anche Daniel Buren quando mette le bandiere in giro per le strade… Quell’operazione significa davvero modificare il paesaggio. Quindi non si racconta più qualcosa che si vede, ma si crea un nuovo visibile, che poi è il fulcro dell’arte astratta, in cui l’arte non rappresenta più niente se non sé stessa. Il Novecento in fondo inventa una sua strada, non si limita a guardare e a descrivere, ma crea qualcosa di nuovo. In un certo senso si va contro Dio, perché se fino ad allora la creazione era riservata al divino, da allora in poi l’artista diventa un creatore egli stesso.

Stefano Arienti. Meridiana, Mirad’Or Galleria d’Arti, Pisogne (BS) Foto © Walter Carrera

Ritornando al Mirad’Or… Affascinante è anche il fatto che la mostra si può anche percepire da fuori. Forse una potenzialità dello spazio che allo stesso tempo può anche essere una difficoltà da affrontare…
SA: Sicuramente è anche una difficoltà, però è stata un’esperienza davvero stimolante. Quando ho visitato lo spazio con Massimo Minini e l’assessore di Pisogne, abbiamo raccolto questa suggestione: l’intervento poteva essere pensato per essere in qualche modo visibile anche da fuori. Per questo, ho deciso di realizzare un’opera ambientale che potesse dialogare di più anche con la visione dall’esterno rispetto alla semplice installazione di opere a parete, visibili solamente da dentro, sfruttando così le peculiarità di questo luogo. Già l’intervento dell’anno scorso con le opere di Daniel Buren andava in questa direzione. Nel mio caso l’opera non è pensata per essere particolarmente illuminata alla sera, però è un’opera che si anima con la luce del giorno…

Infatti è magica da vedere anche dall’esterno, con tutti i nastri che diventano una vera e propria mappatura del movimento del sole e delle ombre che genera…
SA: Per questo, infatti, sono molto contento. Non pensavo ci sarebbe stato un effetto così forte di visibilità anche dall’esterno. In realtà, mentre lavoravo, mi sono accorto che non riuscivo a intervenire molto sulle pareti, perché l’altezza del sole durante l’estate mi permetteva di meno di disegnare le linee della Meridiana sulle parti in alzato. Ma alla fine anche solo la presenza dei nastri sul pavimento ha funzionato molto bene. In particolare ho ripreso le tracce della luce del sole e delle ombre che si generano al mattino. Ho quindi letteralmente inseguito tutte le direzioni che queste tracciavano all’interno dello spazio, usando quattro punti in simultanea. Mentre tendevo i quattro nastri sul pavimento, il sole si era già spostato e potevo già cominciare a posizionarne altri quattro. Quindi è stato un lavoro continuo durante tutta la mattinata, interrotto soltanto dal passaggio di qualche nuvola.

Vorrei parlare anche del luogo più in generale… siamo in Valle Camonica, una terra un po’ ai margini per quanto riguarda l’arte contemporanea, al di fuori quindi da quel sistema cittadino. Quali potrebbero essere le potenzialità di un luogo di questo tipo in relazione all’arte contemporanea? Quale valore può aggiungere?
MM: In questo senso la Valle Camonica è molto ai margini. L’arte dal mio punto di vista è cittadina, nel senso che arriva dalla città. Senza offendere nessuno, le grandi idee nascono qui, dove è più facile un confronto, un brain storming tra diverse entità e intensità. Al di fuori della città si parla di altre cose, altrettanto fondamentali, magari anche di più… In questo senso, però, è difficile vedere qualcosa che possa reggere il confronto con New York, Londra, Berlino, Parigi, insomma con le grandi città… Infatti, se guardiamo l’arte di questo secolo, possiamo dire che sia stata fatta da artisti che si sono spostati verso i centri urbani, dove è più chiaro che possano esserci delle possibilità diverse. In questo caso invece abbiamo lavorato al contrario: siamo partiti da un artista di città che si sposta al di fuori del contesto cittadino. L’idea – e anche la sfida – era quella di spostare ancora in Valle Camonica qualche esperienza d’arte come già era avvenuto in passato. Se era una terra in cui arrivavano una serie di artisti contemporanei per il loro tempo, non vedo perché questi non possano esserci anche oggi.

Stefano Arienti. Meridiana, Mirad’Or Galleria d’Arti, Pisogne (BS) Foto © Walter Carrera

SA: In effetti si continua in questo modo una tradizione lunghissima, visto che la presenza dell’arte in Valle Camonica è millenaria. Attraverso il tempo infatti ci sono degli esiti di altissima qualità, praticamente in tutte le epoche, e non sono mancati anche degli interventi a noi contemporanei. Ricordo tra gli altri anche un mio lavoro sulla figura di Simone Magnolini a Borno nell’ambito del progetto aperto, curato da Giorgio Azzoni. In quell’occasione, ho cercato di conoscere un po’ di più la Valle Camonica e la sua storia culturale, scoprendo una ricchezza non indifferente. E ritornare in questa terra, e più in particolare a Pisogne – luogo che conoscevo già molto bene per via degli affreschi in Santa Maria della Neve realizzati da Romanino, uno dei miei artisti preferiti –, mi ha fatto molto piacere. L’arte, in questi luoghi, penso sia una continuazione naturale di una storia che è già vivente per via di un territorio molto fertile, che stimola anche la presenza e la ricerca artistica.

Diciamo che la Valle Camonica è da tempi immemori che ha a che fare con l’arte… E, attraverso di essa e la visione degli artisti che ci sono passati e hanno lasciato il loro segno, cambia anche il modo di rivedere questo territorio…
MM: Ogni secolo, per la sua evoluzione, ha lasciato il segno, anche se è difficile da capire o da giustificare. Non si può essere contro la modernità. La si può criticare nelle forme, ma è un processo inevitabile.

Stefano Arienti per Mirad’Or Meridiana
direzione artistica Massimo Minini
in collaborazione con Associazione BELLEARTE

9 luglio – 30 settembre 2022

Mirad’Or Galleria d’Arti
Lungolago, Pisogne (BS) 

Orari venerdì-sabato: dalle 15.00 alle 19.00 domenica: dalle 9.00 alle 12.00, dalle 15.00 alle 19.00 durante la settimana l’installazione è visibile dall’esterno

Info: www.miradorpisogne.com

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