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ROMA | CASA VUOTA | 13 novembre – 31 dicembre 2021

Intervista a NATASCIA ABBATTISTA di Livia Savorelli

In occasione di un recente viaggio a Roma, ho avuto modo di visitare per la prima volta, Casa Vuota: un appartamento al secondo piano di un palazzo, denso di segni, tracce, della storia di chi per molto tempo quegli spazi li ha abitati e che ora, mantenendo fede alla sua funzione abitativa, si veste di nuove temporanee presenze. Unico vincolo richiesto agli artisti è quello di trasformare il luogo attraverso la propria arte, respirandone le atmosfere, assecondandone la storia, dialogando con l’esterno di quel luogo, per ridargli in ogni occasione una nuova vita, per delineare nuove storie in continua evoluzione.
Casa ma anche progetto curatoriale, fortemente connotato e seguito con passione da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, che proprio quel quartiere – il Quadraro, storica roccaforte della Resistenza romana tristemente ricordata per il rastrellamento nazista del 1944, ma anche luogo in forte trasformazione e aperto alle istanze del contemporaneo (pensiamo ad esempio, agli interventi di Street Art disseminati in vie e piazze del quartiere) – hanno scelto come base di vita e luogo di trasformazione. Perché è di questo che parliamo, del credere fortemente al valore trasformativo dell’arte per tracciare nuove narrazioni, nuovi percorsi di senso, che si innestino sulla storia, sul preesistente, nel segno della continuità.
Durante questa visita, mi sono lasciata trascinare dalle atmosfere perturbanti di Natascia Abbattista (1977) per poi sviluppare il dialogo che potete leggere a seguire, partendo da una fantomatica Riunione di Condominio

Natascia Abbattista, Riunione di condominio, 2021, installazione, traccia audio e sedie, dimensioni variabili, installation view a Casa Vuota. Foto di Fabrizio Provinciali

Come nasce l’incontro con Casa Vuota e che sensazioni hai provato entrando in un ambiente così particolare e connotato, tenendo conto che qui tu avevi già partecipato ad una collettiva nel 2019? Quali suggestioni hanno mosso l’ideazione di questo progetto site-specific e di questa narrazione che possiamo definire decisamente perturbante?
Mi sono avvicinata a Casa Vuota dopo la mostra Gli Ospiti di Pierluca Cetera, nel 2017. Ho conosciuto Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo e mi è piaciuto da subito il loro spazio espositivo e il loro approccio curatoriale: un appartamento vuoto, con le pareti coperte di carte da parati vecchie e consumate, segnato dalle presenze che l’hanno abitato in tempi passati.
Loro erano molto fermi e sicuri sulla scelta degli artisti che intendevano proporre a Casa Vuota e cioè solo artisti che potessero interagire con lo spazio e viverlo attraverso le loro opere. Nel 2019 abbiamo pensato di ambientare nelle stanze di Casa vuota una mostra che assomigliasse a una festa triste (forse presagio di una festa che probabilmente non si sarebbe più ripetuta all’interno di un ambiente domestico visto quello che poi è successo a causa del covid…). Così il mio primo progetto a Casa Vuota e la prima collaborazione con Francesco Paolo e Sabino è stata A destra secondo piano, una collettiva curata da Santa Nastro che coinvolgeva anche altre due artiste, Patrizia Piarulli e Mariantonietta Bagliato, con fotografie, sculture e performance. Poi, quando tempo dopo Francesco Paolo e Sabino hanno visto i miei primi identikit dei serial Killer, realizzati durante il lockdown, mi hanno proposto di progettare la mia prima personale romana che partisse proprio da questa serie di disegni. Io ero a Roma per lavoro e avevo portato con me, come un vero assassino seriale, i miei trofei /ritratti e tra un calice di vino e valanghe di riflessioni sul fare artistico ecco nascere l’idea della mostra. Ma con una linea programmatica sempre chiara: Casa Vuota non deve essere solo pareti da riempire, Casa Vuota deve dialogare e interagire con l’opera stessa. Ma quale location migliore si può offrire a un’artista che affronta il tema della paura e del macabro nel quotidiano? Un appartamento disabitato, con stanze vuote eppure piene di segni lasciati dagli ospiti precedenti, ha da subito suggestionato il mio lavoro. Il risultato? Oltre all’interazione dei miei lavori con lo spazio, è lo spazio stesso a diventare parte integrante dell’opera.

Riunione di condominio è il titolo del progetto ma allude anche a una tua involontaria partecipazione ad una riunione di condominio, durante un tuo sopralluogo a Casa Vuota…
È un aneddoto che fa sorridere. Un giorno, d’estate, raggiungo Casa Vuota per vedere una mostra e, quando arrivo, vedo nel cortile d’ingresso tante persone sedute su sedie di legno e intravedo subito Francesco Paolo e Sabino in mezzo a questo pubblico attento.
Mi rivolgo al mio accompagnatore e, con l’entusiasmo alle stelle, gli dico: “Fabri, guarda che bello! Stanno facendo una performance!”. Ci avviciniamo a guardare, incuriositi da quell’evento.
Dopo poco Francesco mi raggiunge e mi dice: “Scusaci Nat, tra poco saliamo, sta per terminare la riunione di condominio!”.
Insomma, travolta dall’entusiasmo, non avevo capito nulla! Però da questo episodio è venuto il titolo della mostra.

Natascia Abbattista, Riunione di condominio, 2021, installazione, traccia audio e sedie, dimensioni variabili, installation view a Casa Vuota. Foto di Fabrizio Provinciali

Al contempo è anche il titolo di un’installazione che accoglie il visitatore nella sala più grande dell’appartamento. Sei sedie messe in circolo, solo una utilizzabile, sono collocate al centro della stanza, invitando il visitatore ad essere spettatore – in silente dialogo con la vita che scorre all’esterno della casa – di una narrazione che, partendo dalla tua vita reale, diventa anch’essa racconto, al limite dell’ambiguo, di un evento misterioso… Un lavoro giocato sull’ambiguità del linguaggio e sull’incomunicabilità, una riflessione sull’ambivalenza della comunicazione attraverso app e social?
La stanza ospita sei sedie. Ogni sedia è un modulo che si ripete, alternando il concetto di vita e di morte, amore e dolore, innocenza e perversione. Una sedia presenta fiori veri sulla seduta, un’altra è rivestita di chiodi, una di marshmallow, un’altra ancora ha degli spilli. Mi piace giocare con l’ideale “crime” collettivo ed ecco che i fiori possono ricordare un macabro cuscino funebre, chiodi e di spilli rimandano a quelle mappe che si vedono nelle centrali di polizia americane che abbiamo imparato a conoscere attraverso il cinema e la tv, sulle quali vengono evidenziati ritrovamenti di prove o luoghi significativi per un’indagine. Elementi di tortura si alternano a immagini più tenere, come i marshmallow che rimandano idealmente alle tante vittime adolescenti e all’immaginario americano nel quale attecchisce la figura del serial killer. Una sola sedia è vuota e sedendosi su di essa il fruitore è invitato ad ascoltare una serie di messaggi audio tratti dalle mie conversazioni intime e private che, attraverso un montaggio studiato, ricreano una storia. Tante voci riempiono la stanza. Un amico parla dell’organizzazione di una festa, un altro si scusa per non essere arrivato in tempo, la signora del B&B si dispera perché ha trovato la finestra della stanza aperta, mentre un vicino è preoccupato per una strana puzza che invade da giorni il condominio. Tutti insieme i messaggi sembrano raccontare una vicenda raccapricciante. I membri di un gruppo di persone dialogano tra loro, attraverso dei messaggi whatsapp, così come si farebbe in un normalissimo gruppo di amici. Suggestione è la parola chiave. Nella mostra ogni oggetto e ogni suono assumono un significato diverso da quello reale, perché i codici di interpretazione sono cambiati, non sono oggettivi ma rispecchiano quello che viviamo. Siamo condizionati da ciò che ci circonda e di conseguenza diamo ad alcuni elementi della quotidianità connotazioni spesso distorte. Le finestre di Casa Vuota le abbiamo lasciate volutamente aperte, perché guardando verso il condominio di fronte si può osservare l’interno di un’altra casa abitata, disordinata, colorata, affollata di inquilini indaffarati, che ogni sera ci regalano “performance” con le loro vite reali, che la posizione di visitatori della mostra ci consente di osservare. Uomini solitari sui balconi, bambini che piangono, madri alle prese con i più disparati lavori domestici. L’elemento voyeuristico è potente. Quell’appartamento sembra rispecchiarsi nella videoinstallazione intitolata Plastico, una casa di bambole che ho installato sulla parete di fronte alla finestra.

Natascia Abbattista, Plastico, 2021/2009, videoinstallazione, installation view a Casa Vuota. Foto di Fabrizio Provinciali

Osservando attentamente questa casa di bambole, si è colpiti da alcuni elementi discordanti e al tempo stesso inquietanti (minuscoli identikit, richiamo all’installazione omonima all’ingresso ma soprattutto un video trasmesso da una tv da 4 pollici) che portano immediatamente alla mente quei plastici che molte trasmissioni realizzano per spiegare le dinamiche dei delitti più efferati. Siamo di fronte a slittamenti semantici, oggetti prelevati da una realtà che viene decifrata attraverso dei nuovi codici di interpretazione… Cosa volevi provocare nello spettatore attraverso Plastico?
In Plastico l’elemento macabro è presente e assente!
Mi piace questa condizione di assenza/presenza che viene decisa da chi guarda. In questo l’opera diventa perturbante a seconda dell’esperienza personale del fruitore.
Il mio Plastico ricorda la ricostruzione della casa in cui si è consumato un delitto. Nel salotto, in un piccolissimo schermo, vengono trasmesse le inquietanti immagini di Gomarro, un mio video del 2009, proposto a Casa Vuota senza la traccia audio.
La verità è che siamo di fronte ad una casa di bambola arredata con oggetti e mobili in miniatura, così come nel mio video l’attore non ha ucciso nessuno, ma sta preparando un comunissimo polpettone di carne secondo una ricetta tipica pugliese.

Natascia Abbattista, Plastico, 2021/2009, particolare, videoinstallazione, installation view a Casa Vuota. Foto di Fabrizio Provinciali

I mass media hanno contribuito, con una narrazione quasi al limite del morboso, a dare una grande notorietà a chi si è macchiato dei peggiori delitti, facendo diventare i più noti serial killer delle vere e proprie icone, conosciute dai più. Tu enfatizzi questo mood, dedicando un’intera parete all’installazione Identikit composta da 52 disegni dei più noti serial killer. Anche in questo caso, la tua è un’analisi antropologica di quel Fascino discreto dell’orrore che turba ma anche attrae… Quando e con che intenti hai iniziato ad approfondire questi aspetti, soffermandoti sulle storie dei killer seriali?
In realtà io sono una fifona, io sono la classica persona che, se si alza di notte per andare in bagno, per paura accende tutti gli interruttori che trova durante il percorso. Ma allo stesso tempo sono affascinata dal mostruoso e dal perturbante (Unheimlich da heim, che vuol dire casa in tedesco!).
Penso di essere simile alle volpi che di notte si inchiodano sulla strada con gli occhi sbarrati e si muovono solo quando l’auto per poco non le investe.
È un discorso che andrebbe affrontato parlando di paura, di inconscio e di psicoanalisi citando appunto, tra i tanti, anche Carotenuto e Freud. Restando in superficie, ti dico che la cosa più interessante per me quando ho iniziato a realizzare i primi identikit sono appunto le storie di questi personaggi, le loro biografie terribili e sanguinolente. Come dici tu, è un interesse al limite del morboso e i mass media le hanno fatto diventare immagini di largo consumo quotidiano. Siamo bombardati continuamente da immagini violente che fanno parte ormai del nostro quotidiano.
I miei identikit quindi sono icone, sono simboli a cui mi piace dare una connotazione in chiave pop.
Tornando alle loro biografie, ti faccio qualche esempio. Lo sapevi che Ed Gein ha ispirato film come “Psyco”, “Non aprite quella porta” e il personaggio di “Bloody Face” in “America Horror Story”? Myra Hindley e Ian Brady hanno influenzato fortemente gli attori di “Natural Born Killers”. Rodney Alcala era noto come ‘The dating game killer’, per aver partecipato negli Anni ‘70 alla nota trasmissione televisiva del gioco delle coppie. Leonarda Cianciulli, detta “La saponificatrice”, scioglieva le sue vittime nella soda caustica e le trasformava in sapone. Ted Buny ha tutt’oggi un suo fan club e ci sono video su TikTok in cui le ragazze si videoregistrano come sue vittime. E le storie degne di essere ricordate sono tantissime.
Sì, sono anche io in qualche modo vittima di tutti questi aneddoti e racconti pazzeschi, che vanno a toccare le mie paure e che scuotono fortemente il mio inconscio.

Natascia Abbattista, Identikit, 2021, installazione di pastelli acquerellati su carta, dimensioni variabili, installation view a Casa Vuota: Foto di Fabrizio Provinciali

Ad ogni visitatore proponi un’esperienza nell’esperienza, da vivere rigorosamente in solitaria: l’ingresso in una stanza con una tapparella socchiusa, la vista di un frigo (oggetto così ricorrente in tante storie dell’orrore) e quella musica di sottofondo Eternità de I Camaleonti, così rassicurante ma al contempo piena di rimandi e doppi sensi, soprattutto se ascoltata in un contesto che non è difficile decifrare. Cosa volevi attivare pensando ad un ambiente così immersivo?
Dopo aver ascoltato le storie di pazzi sanguinari, dopo sinistri plastici, video con pezzi di carne cruda e interiora, messaggi ambigui che ci rimbombano nelle orecchie, io invito le persone che vengono a visitare la mostra a entrare in un ambiente diverso. Rigorosamente una alla volta.
In una stanza buia illuminata flebilmente solo da una luce sinistra proveniente da un suggestivo congelatore orizzontale, ecco che il gioco è fatto!
Chi si trova al centro della stanza buia, con la porta chiusa alle sue spalle, non riesce più a vedere un semplice elettrodomestico. Questo oggetto di uso quotidiano diventa ricettacolo di suggestioni che assumono forme e significati differenti. Alcuni mi hanno rivelato che hanno avuto paura, altri ancora mi hanno confidato che sentivano la voglia di scoperchiare il congelatore e vedere dentro (c’è chi l’ha fatto davvero, a suo rischio e pericolo!) altri invece l’hanno percepita come una stanza rilassante in cui trovare il tempo per riflettere e forse anche esorcizzare le paure.
Tutto il progetto della mostra, infatti, si concentra sempre sulla parte oscura e al tempo stesso leggera e familiare che esiste nell’uomo, in ognuno di noi.
Questi pensieri si accompagnano alle note di una canzone d’amore il cui testo dice: “Stare qui ha il sapore dell’eternità...”.

Natascia Abbattista, Eternità, 2021, installazione, traccia audio, frigorifero, elementi perturbanti, tapparella socchiusa e porta chiusa, dimensioni variabili, installation view a Casa Vuota. Foto di Fabrizio Provinciali

Natascia Abbattista. Riunione di condominio
a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo

13 novembre – 31 dicembre 2021

Casa Vuota
via Maia 12 int. 4A, Roma

Info:
392.8918793 | 328.4615638
vuotacasa@gmail.com 

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