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BOLOGNA | MAMbo | Fino al 22 novembre 2015

Intervista a GIOVANNI CARRADA e CRISTIANA PERRELLA di Ilenia Moschini

La mostra Gradi di libertà: dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi, prodotta da Fondazione Golinelli in collaborazione con il MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna che la ospita fino al 22 novembre, si propone di trasmettere, grazie al doppio contributo di arte e scienza, un nuovo tipo di conoscenza e comprensione su uno dei temi da sempre al centro della riflessione dell’uomo.
Attraverso un percorso multidisciplinare, che accosta i risultati della ricerca scientifica con le opere di dodici artisti contemporanei, l’esposizione offre numerosi spunti di riflessione sugli aspetti biologici, filosofici, politici, sociali, economici e tecnologici legati al concetto di libertà. Abbiamo chiesto ai due curatori della mostra – Giovanni Carrada per la parte scientifica e Cristiana Perrella per la parte artistica – di illustrarci i criteri che li hanno guidati nella realizzazione di questo progetto e come e perché l’unione di arte e scienza può contribuire in maniera innovativa al dibattito su temi complessi e di grande attualità…

Vanessa Beecroft_VB26 021, 1997_Vibracolor print, 101,6x152,5 cm Edizione di 3_©Vanessa Beecroft_Courtesy Galleria Lia Rumma, MilanoNapoli

Gradi di libertà: dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi è una mostra di arte e scienza. Vi chiedo di spiegarci il significato del titolo e quale pensiate possa essere, sia dal punto di vista artistico, sia dal punto di vista scientifico, il contributo di questa esposizione alla riflessione sul tema della libertà…
Giovanni Carrada:
Le riflessioni sul tema della libertà, a livello personale, sono sempre state polarizzate. Per secoli, la questione che un tempo si chiamava del “libero arbitrio” ha diviso chi considerava i nostri pensieri e le nostre decisioni come assolutamente libere, salvo naturalmente l’esistenza di costrizioni vere e proprie, e chi li considerava invece come predeterminati da quella macchina che chiamiamo cervello. Le ricerche di psicologia e di neuroscienze di questi ultimi anni stanno fornendo risposte nuove a questa antica domanda, che ci mostrano come la verità stia in realtà nel mezzo. Ciascuno di noi, e ciascuna funzione della mente, ha un “grado di libertà” diverso, e ogni decisione può essere più o meno libera a seconda del sistema cerebrale che utilizziamo: quello inconscio e automatico, oppure quello della consapevolezza.
Cristiana Perrella: Cos’è la libertà? Quali sono i suoi limiti? Quanto siamo realmente liberi? L’obiettivo della mostra, come sempre per quanto riguarda i nostri progetti, è non tanto dare risposte ma suscitare domande. Portare le persone a interrogarsi su delle cose che tante volte diamo per scontate, come il fatto di essere liberi. L’arte e la scienza insieme, con il loro doppio sguardo sulla realtà, crediamo possano dare agli spettatori la possibilità di avere una comprensione più profonda e più vasta di un tema immenso come quello di quest’anno. Per quanto riguarda l’arte in particolare, va detto poi che nell’immaginario occidentale essa è da sempre associata al concetto di libertà: l’artista è l’essere libero per antonomasia, l’individuo che si pone in posizione eccentrica rispetto alla società e attraverso la propria opera ne sfida i limiti. È la stessa collettività che con una sorta di tacito patto garantisce all’artista uno statuto speciale, un grado di libertà negato a tutti gli altri membri dell’apparato produttivo. Parafrasando Jean Paul Sartre, possiamo dire che oggi l’artista “è condannato a essere libero”. Proprio per questo credo che il contributo dell’arte alla mostra possa essere quest’anno particolarmente pregnante, perché il tema che abbiamo scelto riguarda gli artisti molto da vicino.

Cao Fei, Whose Utopia, 2006, Video, 20’ [Videostills] Courtesy l’artista e Vitamin Creative Space, Guangzhou

La mostra si compone di sei sezioni nelle quali le opere di dodici artisti contemporanei sono affiancate da video divulgativi e a exhibit di carattere scientifico e interattivo. Chiedo a Giovanni Carrada di illustrarci i temi e i concetti che sottendono ogni sezione e a Cristiana Perrella di descriverci il percorso espositivo.
G.C.:
Il titolo della prima sezione è E se la libertà fosse solo un’illusione? Le influenze sociali possono infatti condizionare potentemente le nostre scelte e i nostri comportamenti. Il celebre esperimento del neurobiologo Benjamin Libet, ad esempio, sembra dimostrare che il cervello ha già deciso per noi ancora prima di esserne consapevoli. Molti esperimenti presentati in mostra indicano quanto ciascuno di noi sia condizionabile, pur non rendendosene conto. Ma ciascuno di noi conosce bene gli effetti del tifo sportivo, delle mode, delle abitudini, delle superstizioni, dell’indottrinamento politico e di ogni tipo di conformismo. Eppure, esistono persone più libere di altre e circostanze in cui ciascuno dimostra di esserlo.
La seconda sezione I due cervelli, mostra infatti che la mente è il prodotto dell’attività di due sistemi cerebrali: uno intuitivo e involontario, automatico e rapidissimo, che non si ferma e non si stanca mai, in grado di fare quasi tutto; l’altro, invece, consapevole e riflessivo, volontario e lungimirante ma molto più lento, in grado di fare solo una cosa alla volta. Ed è soprattutto da questo secondo “cervello” che dipendono i nostri gradi di libertà. La terza sezione Liberi si diventa indaga invece i meccanismi che possono rendere una persona più libera di un’altra. Se libertà significa vivere la vita secondo le proprie idee, allora il concetto di libertà stessa si valuta innanzitutto in base alla quantità e alla qualità delle idee contemplabili che si formano principalmente in un’età – l’adolescenza – in cui il cervello si riorganizza profondamente. A questa età sono le esperienze a plasmare il cervello, dandoci l’opportunità di decidere chi siamo, che cosa faremo e penseremo nel resto della nostra vita.
Libertà o gabbia digitale? è invece il titolo della quarta sezione. Le tecnologie digitali con le quali crescono i giovani di oggi – i cosiddetti nativi digitali – ci offrono molte più possibilità, a livello personale e sociale, ma ci può essere un prezzo da pagare. Che cosa diventa il nostro cervello, dipende da come lo si utilizza. Le protesi digitali della mente possono distrarci, metterci in crisi, sprecare la nostra attenzione, impoverire pensieri e ricordi e fare appassire la nostra capacità di seguire un ragionamento diminuendo i nostri gradi di libertà. A meno che non si impari ad usarle meglio.
La quinta sezione Arte, scienza e libertà si inserisce in questo percorso ma è anche un po’ il manifesto delle mostre della Fondazione Golinelli. Esistono infatti analogie straordinarie fra l’impresa scientifica e l’arte, soprattutto moderna e contemporanea. Il rifiuto dell’autorità, la scoperta di quello che si nasconde dietro le apparenze, la continua ricerca, il perseguimento di eccellenza, l’originalità, la creatività e la libertà che regna nelle loro comunità ne fanno delle vere e proprie “scuole di libertà”.
Chiude il percorso della mostra la sezione La libertà è la condizione della libertà. La libertà sociale e politica è infatti una condizione essenziale per lo sviluppo della libertà a livello personale. Senza questa, non sono liberi i media, Internet, la scienza, l’insegnamento, l’espressione delle persone e tutti gli stimoli che si possono ricevere dall’ambiente. La democrazia ha bisogno di una manutenzione continua e attenta in tutti i meccanismi che nella società contribuiscono a dare a ciascuno di noi più gradi di libertà a livello mentale. La scienza suffraga una verità antica: siamo davvero liberi, solo a condizione che tutti lo siano. Se c’è qualcuno fra noi che non è libero, forse non siamo così liberi nemmeno noi.
C. P.: Ad aprire la mostra è l’installazione dell’artista americana Susan Hiller Die Gedanken sind frei (I pensieri sono liberi): più di cento canzoni popolari, accomunate da testi che raccontano l’urgenza di libertà, sia essa individuale o collettiva, sono raccolte e messe a disposizione del pubblico grazie a un jukebox mentre le loro parole rivestono le pareti della sala.

Dakota (Hair), 2004, C-print, cm 70 x 101 cm, collezione Agnes B., Parigi (copyright obbligatorio in caso di pubblicazione) in mostra al MAMbo- Museo d'Arte Moderna di Bologna, dal 18 settembre al 22 novembre 2015

Si prosegue con le opere di Vanessa Beecroft e di Dr. Lakra – un grande murale realizzato appositamente per la mostra – che parlano dei condizionamenti che ci impone la società o che ci autoimponiamo, limitando di fatto la nostra possibilità di scelta. Poi Theching Hsieh, con One Year Performance 1980-81, documentazione dell’azione con cui l’artista si dà per un anno una regola di vita rigidissima che in realtà si rivela essere una forma estrema di esercizio di libertà, che lo porta a sottrarsi agli stessi bisogni fisiologici del suo corpo. Esercitare la libertà vuol dire conoscerla e riconoscerla, cosa che si impara a fare in una delicata fase di passaggio della vita: l’adolescenza. Le foto dell’americano Ryan McGinley vedono ragazzi e ragazze vivere gli eccessi della vita metropolitana o relazionarsi con spazi naturali incontaminati e testare i propri limiti, così come i protagonisti del video di Halil Altindere. Dal reale al virtuale, i giovani protagonisti dei video di Ryan Trecartin popolano invece un mondo allucinato dai colori psichedelici, dove la sovrabbondanza di mezzi di comunicazione va a scapito del dialogo e i rapporti umani sono consegnati a vuote e surreali conversazioni in chat, a mostrare rischi e limiti dei nuovi media digitali.

Ryan Trecartin_Tommy Chat Just Emailed Me_2006_video [videostill]_Courtesy Electronic Arts Intermix (EAI)_New York

Nella sezione dedicata al ruolo di arte e scienza come “palestre” di libertà troviamo le opere di Cao Fei, un video che racconta come in un contesto standardizzato e alienante come quello della fabbrica, la creatività porti un inedito spazio di libertà e di poesia, e di Bob and Roberta Smith (pseudonimo di Patrick Brill), che con i suoi slogan dipinti su cartelli (usati per una performance la sera dell’inaugurazione) attira l’attenzione sul ruolo che l’arte può svolgere nella vita di tutti i giorni se praticata sin dalle scuole. Igor Grubić introduce invece l’arte nel tessuto a volte grigio della vita quotidiana con i suoi 366 rituali di liberazione, uno al giorno: azioni – in buona parte illegali – con le quali l’artista croato interviene nel contesto cittadino, cercando di attivare il pensiero o anche solo mostrare sotto una luce diversa ciò che vediamo abitualmente. Nella parte finale della mostra, dedicata alle situazioni in cui la libertà è negata dalla mancanza di democrazia, Nasan Tur presenta i suoi Backpacks, kit completi per lo svolgimento di azioni quali protestare, parlare in pubblico, sabotare ma anche cucinare che possono essere presi in prestito dai visitatori e utilizzati per azioni private e collettive. Chiude il percorso espositivo l’opera di Pietro Ruffo, artista da sempre attento nella sua ricerca ai temi affrontati nella mostra. I traditori della libertà rappresenta – attraverso la tecnica peculiare dell’artista romano, un insieme di disegno a matita e intaglio su carta – sei “cattivi maestri” il cui pensiero, secondo l’analisi di Isaiah Berlin, uno dei maggiori pensatori liberali del XX secolo, è all’origine di ideologie autoritaristiche e illiberali. Filosofia e pratica artistica si incontrano in quest’opera sullo sfondo di una lettura socio-politica che sfocia nella riflessione su temi di carattere universale, così come la stessa mostra Gradi di libertà si propone di fare.

Quali sono i criteri che ha adottato nella scelta degli artisti e delle rispettive opere?
C.P.:
Gli artisti di Gradi di libertà provengo letteralmente dai quattro angoli del globo: Cina, Stati Uniti, Messico, Italia, Gran Bretagna, Croazia, Turchia, Corea… a dimostrare che il tema della libertà è un tema davvero universale ma che allo stesso tempo il contesto geopolitico in cui gli artisti operano determina delle sfumature di senso molto specifiche nel modo in cui tale tema viene affrontato nelle opere. Opere che, come sempre nei progetti che curo per la Fondazione Golinelli, sono scelte tra quelle in grado di comunicare con un pubblico anche non necessariamente specializzato in arte contemporanea, senza troppe mediazioni. Sono tutte opere molto profonde ma, allo stesso tempo, d’impatto immediato, diverse tra loro anche nei linguaggi scelti, che vanno dal video alla fotografia, dal disegno all’installazione, alla performance al murale, al lavoro che utilizza il suono. In accordo con i temi delle varie sezioni, sono state scelte per la capacità di attivare connessioni impreviste o di chiarire, attraverso la loro evidenza visiva, concetti complessi, oppure di suscitare emozioni in grado di trasmettere, rispetto alla scienza, un diverso tipo di conoscenza e di comprensione.

Susan Hiller, Die Gedanken sind frei (Thoughts Are Free), 2011-2012, Materiali vari, dimensioni variabili

Nell’ambito della mostra, avete organizzato un evento speciale dal titolo L’arte della libertà che si è tenuto lo scorso 23 ottobre presso l’Opificio Golinelli e al quale hanno partecipato scienziati e artisti. Quali spunti di riflessione e approfondimento sono emersi durante questa maratona di arte e scienza? Qual è stato il riscontro del pubblico che ha partecipato all’evento?
G. C.:
Nella maratona del 23 ottobre il pubblico ha potuto incontrare di persona scienziati e artisti, cioè le figure che sono dietro le nostre mostre, e rivolgere loro delle domande: tutte cose che in una mostra non è possibile fare. Ma abbiamo invitato anche dei testimoni, che hanno raccontato ad esempio che cosa passa per la testa di un giovane islamista che decide di lasciare l’Italia per andare in Siria e arruolarsi nell’esercito dell’Isis, per chiederci come si possa arrivare a rinunciare alla libertà che abbiamo, oppure come sta morendo la libertà in Turchia, dove la democrazia viene anno dopo anno svuotata da dentro. Evento come questo permettono a dei curatori di avere un feedback diretto su interessi e reazioni del pubblico, una cosa che normalmente si è costretti a immaginare.
C. P.: Il tema scelto quest’anno per la nostra mostra è talmente vasto e complesso che è sembrato importante ci fosse un momento di confronto e di dibattito, in cui accostare alla presentazione di contenuti scientifici molto specifici esperienze anche molto pratiche e concrete, come quelle portate dagli artisti e delle due “testimoni”, le giornaliste Cristina Giudici e Yasemin Taskin, invitate a parlar di come, in contesti culturali e geografici lontani dal nostro, la libertà venga intesa e difesa. Credo che i numerosi studenti che hanno partecipato alla maratona abbiano avuto tanti stimoli, molto diversi ma in relazione tra loro, e la possibilità di interrogarsi in modo più approfondito sui propri gradi di libertà.

La mostra si inserisce in una delle aree progettuali della Fondazione Golinelli denominata “Arte, scienza e conoscenza” e che offre al pubblico occasioni di confronto e dibattito su temi scientifici di grande attualità. Come sono strutturate le attività di quest'”area”? In che modo e perché l’unione di arte e scienza può contribuire a far luce su questioni spesso complesse ma che riguardano lo sviluppo sostenibile della società?
G. C.:
Arte e scienza sono due modi di indagare la realtà andando oltre le apparenze, e condividono la stessa radice fondamentale: l’immaginazione. Offrendo i loro due punti di vista sullo stesso problema, o sullo stesso aspetto della realtà, i rispettivi significati si possono non solo aggiungere, ma moltiplicare nella mente del visitatore. Arte e scienza propongono chiavi di lettura diverse ma complementari. Una guarda la realtà, l’altra le emozioni che suscita. Una guarda l’universale, l’altra il particolare e il personale. E non c’è ragione per continuare a tenerle separate, perché la mente umana è una sola, come la cultura è una sola.
C. P.: Le attività dell’area “Arte Scienza e Conoscenza” partono dalla mostra che ogni anno la Fondazione produce e Giovanni e io curiamo, secondo un format ormai consolidato che accosta i risultati delle più recenti ricerche scientifiche alle opere di artisti contemporanei, ogni anno in dialogo su un tema specifico. Attorno a questo progetto, che sicuramente è il più impegnativo da tutti i punti di vista, nascono altre occasioni di approfondimento, come ad esempio la maratona di cui abbiamo parlato. Tali occasioni, con l’apertura dell’Opificio e con la disponibilità dunque di una sede così capiente e attrezzata, saranno sempre di più.

Gradi di libertà: dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi
una mostra ideata e prodotta da prodotta da Fondazione Golinelli
a cura di Giovanni Carrada e Cristiana Perrella

Artisti in mostra: Halil Altindere, Vanessa Beecroft, Cao Fei, Igor Grubić, Susan Hiller, Tehching Hsieh, Dr. Lakra, Ryan McGinley, Pietro Ruffo, Bob and Roberta Smith, Ryan Trecartin, Nasan Tur

18 settembre – 22 novembre 2015

Orari: martedì, mercoledì, venerdì  12.00 – 18.00
giovedì, sabato, domenica e festivi  12.00 – 20.00
lunedì chiuso

Info: www.artescienzaconoscenza.it
www.mambo-bologna.org
www.fondazionegolinelli.it

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