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ROMA | White Noise Gallery | 22 aprile – 22 maggio 2021

di DAVIDE SILVIOLI

Compresi fra la caduta del muro di Berlino e il crollo delle Twin Towers di New York, dunque fra la cosiddetta “fine della storia” – come è stata apostrofata da Francis Fukuyama la cessazione della polarizzazione geopolitica Ovest/Est – e i prodromi di una globalizzazione incipiente, gli anni Novanta sono stati un decennio più problematico di quanto si sia ancora intuito. Un periodo che, seppur inquadrato storicamente fra due eventi ben definiti, continua tuttora a esercitare l’effetto delle proprie propaggini culturali, fino a condizionare l’immaginario giovanile odierno. Con ciò si fa riferimento a maniere, gerghi o aspetti di costume oggi diffusi e, nondimeno, all’alveo disciplinare più ampio della visualità, dove stilistiche afferenti agli anni Novanta – soprattutto riconducibili all’universo dei primi video giochi e del web degli albori – stanno, oggigiorno, invadendo letteralmente le grafiche di linee d’abbigliamento, di riviste e siti internet.

Quello che non ricordi, diventi – Luca Grimaldi, Fabio Ranzolin, installation view, White Noise Gallery, Roma

Non è un caso, pertanto, che, nella mostra Quello che non ricordi, diventi, inaugurata alla White Noise Gallery di Roma lo scorso ventidue aprile, sono proprio due artisti vissuti durante la decade in questione in età infantile o preadolescenziale – fasi dove si è particolarmente suscettibili agli stimoli del circostante – a supporre una riflessione nel merito di quanto introdotto. Difatti, l’esposizione, a cura di Eleonora Aloise, Carlo Maria Lolli Ghetti e Chiara Garlanda, attraverso lavori di Luca Grimaldi (Roma, 1985) e Fabio Ranzolin (Vicenza, 1993), suggerisce chiavi di lettura ulteriori ed efficaci per entrare in un contesto tutt’altro che esaurito, sul piano speculativo.

Luca Grimaldi, Triptych 1, 2021, Oil on canvas, 270×100 cm

Più specificatamente, i due autori, ora che il presente fornisce la giusta distanza cronologica per mettere nitidamente a fuoco i fenomeni, osservano gli anni Novanta dalla prospettiva di una categoria sociale che sembra adottare l’evocazione di una ritualità laica appartenente al passato più immediato e rassicurante a disposizione, come via per convivere con lo stato di perenne attesa imposto alle nuove generazioni dalle incertezze dell’attuale “epoca delle passioni tristi – così denominata da Miguel Benasayag e Gérard Schmit. Assecondando tali accenti, il progetto, nel suo insieme, si distingue per il prevalere corale di un’estetica dai caratteri pop (in senso lato), condivisa da entrambi gli interpreti ma risolta, gradatamente, secondo modalità differenti e scaturendo esiti plurali nelle cifre espressive.
Frequentando l’installazione, l’oggetto e la pittura, gli artisti ripercorrono alcuni dei simboli maggiormente emblematici dell’ultimo decennio del secolo scorso, qualificandoli sia in quanto divenuti ormai un autentico retaggio iconografico che come termini di contatto di una tematizzazione comune alle rispettive ricerche. Qui, emerge una riformulazione visiva dei linguaggi del kitsch, dei mass media e della quotidianità più anonima, dove elementi della sfera dell’ordinario si imbevono di proprietà narrative, impostando – fra i due – un’interlocuzione dotata di pertinenza.

Quello che non ricordi, diventi – Luca Grimaldi, Fabio Ranzolin, installation view, White Noise Gallery, Roma

Grimaldi, con l’esercizio di un lessico in grado di metabolizzare precise esperienze della pittura postmoderna – si pensi ai suoi tre Campione e alle stesure vibranti dei dipinti di Eric Fischl – ma attento a connotazioni tipiche della realtà contemporanea, manifesta una pratica dove la resa calda dell’esecuzione manuale redime i soggetti prescelti dall’insapore banalità del consueto, replicando tale sensibilità nelle soluzioni scultoree dislocate negli ambienti della galleria. Ranzolin, tramite un alfabeto di eredità New Pop – si vedano la sua Un saluto a chi c’è stato, un saluto a chi è tornato e gli Shelves di Haim Steinbach – preleva, rivisitandone la semantica, feticci e stereotipi della società dei consumi, fino a sovrainvestire liturgie nazionalpopolari di qualità simboliche di cui, normalmente, sarebbero esenti.
Quello che non ricordi, diventi è aperta al pubblico fino al ventidue maggio.

Fabio Ranzolin, Orphans of great promises, 2021, digital collage, 100×70 cm

Quello che non ricordi, diventi. Luca Grimaldi, Fabio Ranzolin
A cura di Eleonora Aloise, Carlo Maria Lolli Ghetti, Chiara Garlanda

22 aprile – 22 maggio 2021

White Noise Gallery
Via della Seggiola 9, Roma
Info: whitenoisegallery.it 

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