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MILANO | FONDAZIONE ADOLFO PINI | 10 FEBBRAIO – 7 MAGGIO 2021

Intervista a FLAVIO FAVELLI di Irene Biolchini

Ha inaugurato a Milano la mostra Vita d’artista progettata da Flavio Favelli per la Fondazione Adolfo Pini in quegli spazi che furono la casa di Adolfo Pini (1920-1986) e prima di lui del pittore Renzo Bongiovanni Radice (1899-1970). «Partendo dalla suggestione del libro di Carlo Cassola che, con lo stesso titolo, affronta la questione dell’arte rispetto a certi ideali, alla politica, all’impegno sociale, Favelli interviene nella casa alla ricerca di un confronto tra il passato, la sua eredità e l’opera dell’artista».
In questa intervista lo abbiamo incontrato per parlare del suo legame con gli spazi domestici, i materiali quotidiani e “gli ideali borghesi” (presenti e passati).

Veduta della mostra, Vita D’Artista, Flavio Favelli, Fondazione Adolfo Pini Milano, Foto di Andrea Rossetti, Courtesy Fondazione Adolfo Pini

L’ultimo anno, passato perlopiù in casa a convivere con i nostri ambienti domestici, ha sicuramente accentuato l’attenzione attorno a temi che da tempo animano la tua ricerca. Come è stato per te lavorare a questo progetto in questo momento? Hai riscontrato continuità o divergenze rispetto ai tuoi progetti precedenti?
Mi ha invitato la Fondazione Adolfo Pini la scorsa estate, certo, come dici, anche in relazione alla situazione rispetto all’immaginario della mia opera. Non so se ho creato qualcosa di auspicato, ma devo dire che, tranne allestire in un momento in cui i musei erano chiusi, non è stato molto diverso da altre volte. Cioè la casa, le faccende domestiche e i loro ambienti in fondo ospitano e alloggiano tragici conflitti e questi hanno ancora la forza di dominare anche sulle cose contingenti.
Ho esposto solo opere provenienti da oggetti con un compito preciso, per poi trasformarli, alla fine cambiarli e privarli del loro uso. Sono piani ribaltati e discussi, lampadari bui, bottiglie anonime, tavoli fragili, formalmente solidi e concettualmente precari e pali da ponteggio finemente dipinti, nonostante il loro aspetto volgare. Ci sono anche degli adesivi e delle tabelle di latta di gelati che fanno un po’ la figura d’essere sconci rispetto all’idea di una “bella casa”.

Veduta della mostra, Vita D’Artista, Flavio Favelli, Fondazione Adolfo Pini Milano, Foto di Andrea Rossetti, Courtesy Fondazione Adolfo Pini

In Profondo Oro, la mostra in corso fino al 28 marzo a Calenzano (FI) negli spazi di Gori Tessuti e Casa per il progetto Arte in Fabbrica, hai inserito due pezzi in ceramica. Anche in questo caso il materiale ritorna. Posso chiederti quando hai avvicinato questo linguaggio?
Beh già alcune opere del 2000, composizioni di legno e altri materiali ospitavano dei resti di piatti, ciotole, certe forme interessanti di servizi da tavola e nella mostra del 2003, La mia casa è la mia mente, a Torino, alla Galleria Maze, presentavo un’opera composta da due colonne di lavandini in ceramica. Alla fine non lo sento come linguaggio, ma come “cosa”, cioè le cose di ceramica, come le cose di vetro. Uso le bottiglie, ma non le soffio, così è per la ceramica, che ho sempre visto come “cose” già fatte, come servizi da tè e caffè che da soli simboleggiano la grande e tragica storia del nostro caro Occidente; questi sono i contenitori, raffinati, pensati e prodotti, per bere delle cose scoperte per un desiderio di espansione in altri continenti. È storia sociale e politica, una tazzina è la cosa più ingombrante e meno fragile che ci sia. Alla fine ho fatto molte opere con oggetti di ceramica, gli assemblaggi con tagli di vasi e piatti.

Veduta della mostra, Vita D’Artista, Flavio Favelli, Fondazione Adolfo Pini Milano, Foto di Andrea Rossetti, Courtesy Fondazione Adolfo Pini

La ceramica, da sempre connessa all’idea di uso quotidiano, si presta in modo naturale a certi tuoi modi di operare. Posso chiederti come sono nati i pezzi presentati in Profondo oro?
I fratelli Gori mi hanno indicato un ceramista a Sesto Fiorentino, vicino alla fabbrica Ginori; la Toscana è una terra particolare, è uno dei luoghi più “distanti” in Italia, è un mondo a parte e infatti ho trovato una situazione letteraria, diciamo, dove il vecchio padre, il signor Parigi, delle Ceramiche Parigi, mi è apparso come una figura oracolare, con le sue sentenze, più che a parlare di ceramica, a spiegare il mondo. La ditta non ha modellatori, ma solo stampi e così ne ho scelto uno usato in passato per un grande posacenere da albergo di lusso ed è stato dipinto con due specie di placche oro zecchino, uno lucido e l’altro opaco, una sorta di doppio riquadro dove spegnere la sigaretta, azione che probabilmente finirà nei ricordi con la sua ingombrante e sozza cenere. Ho creato una piccola serie di posacenere dorati, ma esposti a muro.

Veduta della mostra, Vita D’Artista, Flavio Favelli, Fondazione Adolfo Pini Milano, Foto di Andrea Rossetti, Courtesy Fondazione Adolfo Pini

In che modo i materiali presenti all’interno dello spazio sono entrati nell’opera? Quali sono gli oggetti che ti hanno maggiormente influenzato?
Più che i materiali, direi le “cose” degli spazi della Fondazione e certi “micro luoghi” si sono presentati come appigli in relazione al tipo di opere a cui stavo lavorando e ai miei, diciamo, “classici”, come il tavolo, la bottiglia, l’adesivo pubblicitario, il lampadario, il mobile. Che sono poi dei concetti, delle figure, dei modelli attorno a cui ruotano (e infatti il meta-lampadario gira su se stesso) le immagini cardine della vita immaginale, personale, sociale (e politica) che ho vissuto e che vivo.

Veduta della mostra, Vita D’Artista, Flavio Favelli, Fondazione Adolfo Pini Milano, Foto di Andrea Rossetti, Courtesy Fondazione Adolfo Pini

Quanto degli “ideali borghesi illuminati” custoditi all’interno della Fondazione rimane e rimarrà nell’immediato futuro secondo te? Te lo chiedo all’indomani della seconda chiusura dei musei, che ha messo in luce il triste silenzio culturale in cui sembriamo essere avvolti.
Non lo so e credo che non sia così importante, perché gli “ideali borghesi”, così forse come tutti gli ideali, hanno sempre qualcosa di mistificatorio, anche se sono illuminati. È una specie di rapporto ambiguo fra questi e l’arte che ne è immersa fino al collo, anche se, apparentemente, se ne vuole liberare. Questi ideali, che poi oggi si traducono in fondazioni private ed imprese, sono sempre più fondamentali per sostenere l’arte perché il pubblico non ha più le forze (e anche forse l’interesse) e quindi l’arte è contemporaneamente sospesa e tenuta al laccio. Rimane la consapevolezza che l’opera ha senso, rimane libera, non è creata per la vendita (a differenza di tutti gli altri prodotti umani), risponde ad una certa esigenza poco sondabile, anche se poi ha un prezzo preciso. L’arte consapevole è quella capace di apprezzare e rompere allo stesso tempo la famosa tazzina.


Vita d’artista
di Flavio Favelli
con testo critico di Francesca Guerisoli

10 febbraio – 7 maggio 2021

Fondazione Adolfo Pini
Corso Garibaldi 2, Milano

Orari: dal lunedì al venerdì 10:00 – 13:00 | 15:00 – 17:00
Ingresso su prenotazione: Eventbrite, www.eventbrite.it

Info:  +39 02 874502
www.fondazionepini.net

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