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Intervista a TOMASO BINGA di Roberto Lacarbonara*

Dalla scrittura poetica a quella futurista, fino alla desemantizzazione del linguaggio e all’analisi delle strutture e sovrastrutture che lo compongono, per indagare le forme ideologiche che si annidano tra le parole, tra le frasi, persino tra le immagini. La ricerca cinquantennale di Tomaso Binga traccia una rotta centrale nell’arte italiana, quella della scrittura verbo-visiva e dell’azione performativa, dove corpo e testo diventano dispositivi di critica e di protesta verso l’apparente neutralità delle parole, dei messaggi. Mai così urgente e impellente, il lavoro di Binga (alter ego di Bianca Pucciarelli Menna – Salerno, 1931) appare oggi capace di urtare contro la retorica di un linguaggio politico, artistico e ideologico assai asfittico e assuefatto, riconducendo il pensiero alla sollecitazione nei confronti delle ragioni femministe, delle battaglie di genere e di quelle ambientaliste. Battaglie e forme della rivolta in cui – sembra insistere la ricerca di Binga – il corpo e le parole dovranno tornare protagonisti, tornare a dire e disdire le logiche massificate e mainstream dei media di massa e di quelli social.

Tomaso Binga, Alfabeto poetico monumentale, 2019 [da Scrittura vivente, 1976], stampa digitale su tela su polistirolo sagomato. Veduta della mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia, FM Centro per l’Arte Contemporanea, Milano, aprile 2019. Courtesy: Dior. Ph. © Alto//Piano

Abbiamo intervistato Bianca Menna, per capire se quell’esigenza che nel 1971 l’aveva portata ad assumere un nome maschile al fine di insidiare il predominio maschile del sistema artistico – omaggio a Marinetti, con la privazione di una “m”, costola del nome – sia ancora una motivazione così forte e radicale o se le cose, magari lentamente, siano un po’ cambiate.

Lo scorso sabato, 28 marzo, l’artista avrebbe dovuto inaugurare la terza mostra da Tiziana Di Caro a Napoli che insieme a Frittelli Arte Contemporanea segue il lavoro dell’artista in Italia.

Vorrei partire dalle più recenti operazioni e rileggere la sua esperienza a ritroso.
Lo scorso marzo (2019) è stata protagonista della sfilata prêt-à-porter Autunno-Inverno di DIOR. La grande maison internazionale ha reso omaggio al lavoro Scrittura vivente del 1976 rielaborando il discorso sul corpo-come-linguaggio, un tema centrale nelle sue ricerche. Come è cambiato questo lavoro in quarant’anni? Quell’alfabeto, quel corpo-segno comunica le stesse urgenze, gli stessi valori?
Quel primo alfabeto è stata la base, il modello primigenio, del mio lavoro sul corpo che si fa parola. Nel tempo ho realizzato altri alfabeti e opere visuali centrati su questa forma di linguaggio, che in quarant’anni non ha perso né forza né significato anche se le urgenze del nostro tempo non sono più quelle che hanno infiammato le battaglie degli Anni ’70.

Tomaso Binga, Lettera V, particolare dell’Alfabetiere murale, 1976, collage su cartoncino
(21 elementi), cm 32,5×24 (cadauno). Ph. Ciro Fundarò. Courtesy: Collezione Archivio Menna – Binga e Galleria Tiziana Di Caro

Come è cambiata invece la difesa delle istanze femministe? Cosa non abbiamo ancora capito… noi (uomini)?
Scenari e istanze sono diversi ma il punto è che i diritti conquistati dalle donne non sono al sicuro, perché la paura che la perdita di sovranità ha generato nell’universo maschile rende ancora oggi le donne un bersaglio, una minaccia… È un percorso lungo e complesso quello che, speriamo, metterà pace tra i sessi. Dico sempre che per superare gli stereotipi da cui siamo condizionati dobbiamo sforzarci di immaginare come sarà il mondo tra cinquanta o cento anni. Già oggi i generi non sono più solo due, maschio o femmina; questo dovrebbe invitarci a smettere di de-finirci ma semplicemente essere!

Tomaso Binga, Alfabetiere murale, 1976, collage su cartoncino (21 elementi).
Ph. © Amedeo Benestante. Courtesy: Collezione Archivio Menna – Binga e Galleria Tiziana Di Caro

La grande differenza tra le rivolte ideologiche del ‘68 e successive e le attuali battaglie – ecologiste, per i diritti di genere, contro la violenza sulle donne… – hanno visto una progressiva “scomparsa” del corpo. Se un tempo il corpo era oggetto di azione e di riflessione, oggi la battaglia si fa virtuale, astratta, social… Si può difendere il diritto ad avere un corpo anche senza mostrarlo?
Non solo si può, si deve. Un femminicidio ogni tre giorni mi pare rappresenti una “scomparsa del corpo” tutt’altro che virtuale! Se da una parte la società impone un modello “immateriale” di relazione, dall’altra è il corpo fisico, ancora una volta il corpo delle donne, ad imporsi alla nostra attenzione per la violenza di cui è oggetto. Bisogna fare attenzione, la virtualità, l’astrazione, il potenziale creativo che la tecnologia applicata ai social mette a disposizione possono portarci verso una pericolosa alienazione.

Tomaso Binga, Sono… IO. Sono… ME [dettaglio], 1977, scrittura a inchiostro su composizione fotografica, 2 elementi, cm 40×30 cad. Collezione privata. Ph. © Claudia Cataldi, Prato. Courtesy: l’artista e Frittelli arte contemporanea, Firenze

Molti dei suoi lavori hanno origine dalla desemantizzazione del linguaggio. Nel linguaggio si annida una forma di potere, di sessismo, di ideologia: per questo occorre smontare il testo ed esaminare le strutture e sovrastrutture che lo compongono. Lei ha sempre scritto poesie, sin da bambina. Quand’è che si è accorta di questo “tradimento” delle parole, del fatto che le parole mentono, ci tradiscono, non dicono quello che vogliamo dire?
Sì è vero! Le parole ci tradiscono… Ma le parole sono metafore di sopravvivenza per scardinare pregiudizi vetusti. Voglio citare in proposito alcune frasi di un prontuario, apparentemente divertente ma che rivela un risvolto oltraggioso per noi donne, composte con sostantivi e aggettivi maschili che al femminile cambiano significato:
Uomo allegro = buontempone sorridente; Donna allegra = Meretrice!
Uomo disponibile = tipo gentile, generoso; Donna disponibile = idem
Uomo facile = accondiscendente, mite; Donna facile = idem

Tomaso Binga, Bianca Menna e Tomaso Binga. Oggi spose, 1977, fotografia, 2 elementi, cm 19×13 cad. Ph. © Alto//Piano. Courtesy: Fondazione Filiberto e Bianca Menna e Frittelli arte contemporanea, Firenze

Fu determinante Marinetti allora, così come Baudelaire. Quali altri riferimenti sono stati preziosi nel tempo? Quali incontri, quali collaborazioni?
La poesia ha avuto un ruolo non solo importante ma determinante per la mia crescita artistica tanto che innumerevoli poesie e opere visuali sono dedicate ai miei Padri Poetici da Dante a Boccaccio, da Rimbaud ad Artaud, da Brecht a Truffaut. Avendo compreso tale importanza ho voluto dedicare a uno dei più grandi poeti ermetici del Novecento, da me letto e analizzato con grande interesse e passione, una mia opera dal titolo emblematico La mano di Ungaretti. È un omaggio alla sua mano, prolungamento del pensiero, che scrive con una penna quasi chiusa, versi come tracce di immagini folgoranti che incidono nel profondo del nostro pensiero!

Tomaso Binga, Carta da Parato, Casa Malangone, 1976, installazione, carta da parati, inchiostro su carta da parati, dimensioni variabili, particolare. Ph. © Antonio Niego. Courtesy: l’artista e Galleria Tiziana Di Caro

Quali sono state invece le mostre o le esperienze più significative per la sua carriera e crescita professionale?
Ho sempre sostenuto che le mostre più importanti sono le collettive perché organizzate da un critico che persegue una sua ricerca e teorizza un suo pensiero, per cui tutte le mostre di donne degli Anni ’70-’80 organizzate dalla gallerista Romana Loda e da Mirella Bentivoglio, critica e artista, che hanno dato a noi coraggio e consapevolezza. Per la mia ricerca Verbo-Visiva, sicuramente determinanti sono state le frequentazioni con gli artisti fiorentini (Miccini, Pignotti, Marcucci, Ori, La Rocca) e i napoletani (Stelio M. Martino, Luca, Alfano) che in quel momento si stavano confrontando con il cambiamento linguistico visuale determinato dai nuovi mezzi di comunicazione.

Veduta della mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia,
FM Centro per l’Arte Contemporanea, Milano, aprile 2019. Ph. © Alto//Piano

Lei ha sempre sfidato l’opinione pubblica con grande entusiasmo e generosità, persino mettendosi in discussione in luoghi spesso lontanissimi dall’arte, meno “protetti” di un museo, di una galleria. Ad esempio nelle incursioni televisive, o anche nel confronto con la grande moda. Non crede ci sia stato il rischio di banalizzare alcune posizioni ideologiche andando in tv dove spesso i messaggi approdano in maniera acritica se non addirittura ridicolizzata?
Sì ma credo anche che sia un rischio che va preso. Avere paura di essere banalizzati o peggio messi in ridicolo è lo spettro di ogni artista, di ogni essere umano, direi. I circoli intellettuali o il mondo dell’arte non sono meno severi, anzi. Sono cerchi di fuoco che vanno attraversati con ironia, leggerezza e desiderio di mettersi in gioco. È quello che credo di avere fatto partecipando negli Anni ‘90 al Maurizio Costanzo Show con le mie stranianti poesie sonore, in primis non comprese ma subito dopo applaudite con vigore, o più recentemente accettando l’invito di Maria Grazia Chiuri a presentare il mio Alfabeto Vivente rivisitato con un acrostico femminista di forte impatto sociale, per la sfilata Dior, a Parigi, della collezione pret-à-porter F/W 2019.

Tomaso Binga, Scrittura arrampicata verticale [dettaglio], 1976, collage su cartoncino, cm 70×50.
Collezione privata. Ph. © Andrea Chemelli. Courtesy: l’artista e Frittelli arte contemporanea, Firenze

Cosa non rifarebbe mai più e cosa rifarebbe assolutamente?
Rifarei tutto… Anche perché le mie dissacranti performance sono sempre state condotte con stile e ironia. L’unico mio rimpianto è di non aver avuto il coraggio di presentare nudo un giovane modello che doveva interpretare, come previsto dal copione, la mia performance Nomenclatura (1974).

Da quarant’anni prosegue l’impegno con il Lavatoio Contumaciale? Quello era il nome del luogo e dell’associazione avviata “per lavare e bollire le idee infette o passatiste”. Ci sono ancora idee infette e virali nell’arte?
Nel lontano 1974 alla ricerca di un luogo per la nascente associazione culturale tutta al femminile, io e mio marito Filiberto ci imbattemmo in un locale con una bella targa che lo qualificava come “Lavatoio Contumaciale” cioè lavatoio a distanza dove venivano lavati e bolliti i panni delle malattie infettive. Ci sembrò emblematico chiamare la neo-associazione con quel nome, per lavare e bollire idee infette o passatiste, a marinettiana memoria, che rievocasse anche la condizione ed il lavoro delle donne. Luogo d’incontro e di aggregazione tra le più antiche associazioni culturali del quartiere Flaminio, il Lavatoio Contumaciale ha svolto, in questi 44 anni, una intensa attività, promuovendo, sin dall’inizio, manifestazioni e dibattiti sui diversi temi dell’attualità, della letteratura e della poesia, delle arti visive, del teatro, del cinema e dei nuovi media. Sì, le idee infette esistono ancora, sono dure a morire e minacciano ancora la democrazia. Agli artisti il compito di vigilare affinché la libertà di espressione non sia offuscata dalla maldicenza e dalla prevaricazione.

Tomaso Binga, Il confessore elettronico / La moglie del cardinale, performance.
Powered by Franco Curletto within the special project HEAD.
© Perottino-Piva-Bottallo-Peirone / Artissima 2019

Quali sono le mostre o gli interventi che vedremo nei prossimi mesi?
Dal 5 giugno 2020 sarò all’International Center of Photography di New York nell’esposizione itinerante curata da Gabriele Schor, Feminist Avant-Garde of the 1970s.

*Intervista tratta da Espoarte #108.


Tomaso Binga (alias Bianca Pucciarelli in Menna – Salerno, 1931) vive e lavora a Roma. Nel 1971 assume uno pseudonimo maschile per denunciare, con ironia provocatoria, la discriminazione di genere nel mondo dell’arte. La sua ricerca artistica si muove nell’ambito della scrittura verbo-visuale e della poesia sonoro-performativa, di cui è tra i massimi esponenti in Italia. È rappresentata da Frittelli arte contemporanea (Firenze) e Galleria Tiziana Di Caro (Napoli).
Tra le mostre recenti: Per-formare una collezione, Museo MADRE, Napoli (2013); Tomaso Binga. Scrivere non è descrivere, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli (2015); Altra misura. Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni ’70, Frittelli arte contemporanea, Firenze (2015); Tomaso Binga. Polistiroli e Ritratti Analogici, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli (2016); TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai”, Fondazione Prada, Milano (2017); Corpo a corpo | Body To Body, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2017); Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia, FM Centro per l’arte contemporanea, Milano (2019); Doing Deculturalization, Museion, Bolzano (2019); EVA VS EVA. La duplice valenza del femminile nell’immaginario occidentale, Villa d’Este, Tivoli (2019); Tomaso Binga: A Silenced Victory, Mimosa House, Londra (2019); This is my body – My body is your body – My body is the body of the word, Le Delta, Namur (2019). Prossimamente: Scrivere Disegnando – When Language Seeks Its Other, Centre d’Art Contemporain Genève, Ginevra (gennaio 2020). Frittelli arte contemporanea le ha dedicato una personale a cura di Raffaella Perna, nel febbraio di quest’anno.

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