Non sei registrato? Registrati.

di ALICE ZANNONI

Fondazione Bisazza: non è un museo di impresa e nemmeno l’auto-celebrazione di un imprenditore; è la voglia di raccontare una storia nuova e la denominazione, Architettura Design, esplicita gli intenti dell’istituzione culturale che ha sconvolto la realtà del Nord-Est, quella della scia infinita di capannoni e villette, fabbriche con piscina sul retro o pomodori che crescono sulla cancellata laterale dello stabilimento produttivo di famiglia.
Con 6.000 mq di spazio espositivo, la Fondazione si posiziona proprio lungo il principale asse di collegamento industriale del Nord Italia, a Montecchio Maggiore (Vicenza) e ciò non fa scalpore se si pensa che l’area è la sede storica della produzione di tessere di mosaico, riqualificata magistralmente dall’architetto Carlo Dal Bianco.

Il progetto è ambizioso: uno spazio (4.000 mq) per la collezione permanente con opere di artisti come Fabio Novembre, Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Sandro Chia, Mimmo Paladino e una sezione per mostre temporanee che alterna architetti e designer di fama mondiale mai apparsi in Italia.

Buona la prima! In attesa dell’otto novembre, data della prossima esposizione, Experimental Growth, che vede protagonista il designer israeliano Arik Levy, unanime e condiviso il giudizio della critica, della stampa e dei visitatori nel promuovere a pieni voti la prima mostra Plain Space Architecture e Design, retrospettiva dedicata al lavoro John Pawson, chiusa il 29 luglio. La collaborazione con il Design Museum di Londra ha permesso di portare in Italia un distillato dei trent’anni di carriera dell’architetto e designer inglese, etichettato minimalista per la propensione a progettare con linee geometriche essenziali e volumi senza decorazione. Il matrimonio tra l’assenza poetica di ornamento e la natura cutanea del mosaico ha dato vita a One to one installazione site specific, una sorta di portale d’ingresso che ha mostrato le potenzialità del mosaico in un ottica di nudità: minimale dunque, eppure decorativo nella sua texture giocata sulle infinite tonalità del bianco che ricoprono la struttura ellittica dell’opera senza mai ripetere la stessa composizione cromatica.

Pawson non aveva mai usato l’espediente musivo nei suoi progetti, certamente l’inclinazione a servirsi dei materiali naturali ha facilitato il dialogo con il mosaico in un sottile passaggio che vede la pasta vitrea nobilitare la sabbia, attraverso le trasparenze acromatopsiche che sfumano dal chiaro allo scuro lungo la curvatura e con i giochi di luce/ombra creati dai tagli strutturali all’opera. La mostra è stata curata in ogni dettaglio, esaltando il percorso professionale di Pawson e la natura profonda del suo lavoro come una sorta di “album di famiglia progettuale”: oltre alla timeline con inizio datato 1981, idonea la scelta di mettere in mostra l’abbinamento fotografia-materiali costruttivi per entrare, molto più che idealmente, nell’abbazia di Novy Dvur, nella Baron Hause, nel Martyrs Pavillon, a Pawson Hause e attraversare il Sackler Crossing: legno e marmo da accarezzare, lastre ondulate da toccare per una fruizione veramente sinestetica del progetto coerentemente con l’essenza dell’espressione architettonica in grado di coinvolgere la percezione e i sensi.

Fondazione Bisazza
Viale Milano 56, Montecchio Maggiore (VI)

Info: info@fondazionebisazza.it – +39 0444 707690 – +39 349 3262398

www.fondazionebisazza.it

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •