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ROMA | SPAZIO IN SITU | 11 GIUGNO – 8 OTTOBRE 2022 

di MARIA VITTORIA PINOTTI

Nelle scelte estreme risiede il carattere e non è la prima volta che lo spazio indipendente romano Spazio In Situ si pone su tale rara traiettoria di ricerca, nel senso che gli artisti che propone nell’attuale mostra sono tutti provenienti da un ventre materno, laddove l’arte viva e limpida per il suo carattere estremo, è sinonimo di dialettica e spirito di libertà. La collettiva in questione si intitola Broken Screen ed è in programmazione dall’11 giugno all’8 ottobre 2022, con le opere degli artisti Barbezat-Villetard, Rowena Harris, Cédric Raccio, Sarah Ancelle Schönfeld, Marco Strappato, Vincent Tanguy, Maurizio Vicerè e Fabien Zocco. Tale selezione è generata da un solerte ed apprezzato atteggiamento del curatore Porter Ducrtist, la cui identità è velata da un’aura di mistero, che ha da tempo ha avviato una solida e vasta collaborazione con lo spazio espositivo. Proprio la scelta di dedicare una rassegna al valore oggettuale dello schermo, si offre in maniera del tutto involontaria, in affinità con le recenti opinioni del filosofo Byung-Chul Han, secondo cui le odierne consuetudini di vita ci hanno indotto a perdere il contatto con il reale, rimanendo così soggiogati alla sfera dell’infomania.[1] Indagare la varietà dei temi di Broken Screen significa scandagliare le abitudini dell’uomo contemporaneo, il quale acquisisce sempre di più un atteggiamento feticista dei dati acquisiti tramite schermo, sia esso un telefonino, sia un desktop, ed anche un iPad, così come un televisore. Esplorando le peculiarità di un’arte riflessiva, il curatore ha creato un percorso sviluppato come un “prologo in atti”, in cui le opere, tutte diversissime, sono accomunate da un’entropia informativa capace di condurci e rapportarci con il mondo attraverso uno sguardo panottico e feticista, ovvero con una ammirazione fanatica ed esclusiva verso lo schermo, sì da farci perdere il contatto con il reale.

Marco Strappato, Untitled (ground), 2015, cemento, marmo Portoro 10cm Ø, iPad (video in loop), Ph. Credit Marco De Rosa, Courtesy Spazio In Situ

Presentandosi come una audace metafora dell’ecosistema ambientale, l’opera di Marco Strappato è caratterizzata da un inusuale accostamento: se l’iPad proviene dall’universo dell’infosfera, come strumento che derealizza il mondo, la sfera in marmo e la trave in cemento derivanti dalla materialità sono elementi di antitesi formale, così da trasmettere una freddezza quasi marmorea. La scultura appare come un casto dialogo di intransigente purezza di valori giocati su un avventuroso equilibrio dalla involgente precarietà; il video riprodotto da un iPad raffigurante dei ghiacciai in fase di scioglimento è simbolo del precario ecosistema ambientale. Se nello schermo di Strappato vibra in maniera inaspettata il tacito e segreto appello alla terra, con Barbezat-Villetard il suggestivo auspicio scompare per trasporsi visivamente in una quinta teatrale che il visitatore attende di occupare. Dal carattere quasi di un contemporaneo ready made, la bizzarra e singolare scultura del duo franco svizzero è composta da un divano, alcune coperte riscaldanti, batterie ed un caricatore. Una scelta alquanto iconica che intende delineare l’odierno consumatore, il quale a contatto con lo strumento informativo, vive, quasi rassegnato, uno stato di fredda alienazione domestica ed intellettuale.

Broken Screen, 2022, installation view Spazio In Situ, Roma, Ph. Credit Marco De Rosa, Courtesy Spazio In Situ

Dinanzi alle sculture in cemento levigato proposte da Rowena Harris, rappresentati delle scarpe bizzarramente tagliate di netto sulle punte a mo’ di frattura, si rimane inaspettatamente avvolti da un’onda emotiva che scuote la nostra sensibilità. Giacché la piacevole passeggiata, che il curatore Ducrist ci induce a seguire nello scritto di sala in cui la mostra è descritta come un «immenso desktop, all’interno del quale lo spettatore si trova a navigare», alla vista dell’opera della Harris, tale invito si trasforma in una inesplicabile minaccia. Di altrettanta attrattività della stessa artista, per il suo carattere obsoleto, è la scultura composta da lampade abbronzanti, una lastra di alluminio ed un asciugamano, anche in questo caso vibra forte l’attrazione a misurare l’espressione del proprio corpo entro uno spazio ambiguo e surreale. Così per la Harris la scultura è un territorio libero atto a stimolare la fantasia con forme e contenuti misteriosi, generata da un fare artistico di libere associazioni e affiliazioni alquanto stravaganti.

Sarah Ancelle Schönfeld, Universal Cleaner (Tiles), 2015, stampa digitale incollata su dibond 160×120 cm, Ph. Credit Marco De Rosa, Courtesy Spazio In Situ

Ancelle Schönfeld e Cédric Raccio, da par loro, ragionano sull’aspetto lucido e riottoso dello schermo, in quanto dispositivo informativo dal carattere liscio ed assente. C’è una ragione per cui le opere di Cédric Raccio appaiono allo spettatore fredde e compassate: una temperalità che deriva verosimilmente dalla visione dell’artista secondo cui nell’immaginare spazi vuoti e fratturati si trasmettono, al contempo, messaggi di verità. Così, l’opera in vinile su cui è trascritto Image not available non presenta un carattere ermeneutico, bensì aptico, quasi un delicato tocco, una carezza pronta a trasmettere un senso di resistenza o, come in questo caso, di surreale assenza. Anche con Sarah Ancelle Schönfeld si è ben lontani dalla comfort zone interpretativa, infatti, l’opera fotografica raffigurante una superficie sporca si pone lontano dalla filosofia dell’esteticamente corretto, seguendo invece una traiettoria che devia le normali abitudini fotografiche. Quest’opera appare aspra, o, come direbbe Roland Barthes, è figlia di un certificato di presenza [2] laddove non v’è né immagine né realtà, offrendo, di converso, una limpida ratificazione umana, una ipostatizzazione dell’essere, secondo un procedimento analogo che assumiamo di fronte ad uno schermo informatico.

Broken Screen, 2022, installation view a Spazio In Situ, Roma, Ph. Credit Marco De Rosa, Courtesy Spazio In Situ

Vincent Tanguy e Fabien Zocco anche loro partecipi alla mostra con due opere video riflettono sull’aspetto della coecitas, ovvero il sentimento che spinge l’artista a rivedere tutto sé stesso per farsi veggente di un futuro in luoghi geograficamente surreali. Con una poeticità minimale il video di Fabien Zocco si pone nell’ambiente esterno dello spazio espositivo; le scarne parole proiettate in verticale si presentano come strumenti didattici segnati su una lavagna immaginaria, quale sinonimo un’arte riflessiva che induce il visitatore ad un infingimento rispetto alle numerose fratture caratterizzanti l’attuale società, qui risolte nella relazione con il proprio Io ed il resto del mondo. Contrariamente, Vincent Tanguy pone in essere una parziale fuga dal qui e dal dove, rendendosi fantastico protagonista di un videogioco nella futuristica Shanghai quasi un avvallo, una esortazione verso una realtà de-realizzata e post umana in cui la vita altro non è che un mero scambio di informazioni. Da ultimo, le due tele grigie di stampa calandrata a sublimazione su tessuto nautico di Maurizio Vicerè dialogano l’una di fronte all’altra nel neutro spazio espositivo, lavori che affiorano per il loro carattere ostinato, privi di un senso univoco di lettura e aperti a possibili chiavi interpretative. Esercizi sull’atto del vedere, ed apprezzare si intende, secondo la stessa azione che eseguiamo di fronte alla vista di uno schermo, un gesto in altri termini, alla base dell’esperienza estetica, qui vicina ad una tragedia della visione, giacché la superficie è priva di riflesso d’immagine, risultando come una suggestiva, profonda ed introspettiva ricerca di verità.

Maurizio Vicerè, HH_16, 2022, stampa calandrata a sublimazione su tessuto nautico, telaio di alluminio, 200×120 cm, Ph. Credit Marco De Rosa, Courtesy Spazio In Situ

In ultima analisi con Brokeen Screen Spazio In Situ altro non appare che un sismografo alquanto attento capace di registrare quanto va accadendo nel quotidiano panorama dell’arte contemporanea, giacché lo spazio offre chiavi di lettura forti e lungimiranti per la loro visionarietà e capacità di penetrazione critica. Risultanti, nel loro insieme, della solerte attività organizzativa di Porter Ducrist, un curatore dai tratti aleatori e temerari, che sa osare gestendo artisti non come un gallerista per antonomasia, siccome fisicamente sfuggevole nello spazio espositivo dallo stesso ordito, se non con scritti caratterizzati da una dialettica arguta ed asciutta, scevra di autoinganni e stravaganti interpretazioni manipolatorie. Spazio In Situ, in conclusione, assurge ad uno degli spazi espositivi più avanzati e strutturati della capitale, lontano dall’art system e dal cuore cittadino, con una posizione inusuale e controcorrente per il pubblico dei classici amatori dell’arte adusi a rappresentare le vernici della popolarità, ponendosi invece quale meta preferita per tutti coloro che intendono capire e far ricerca di un’arte quale motivo di vita e stile interiore.

Broken Screen
a cura di Porter Ducrist

Barbezat-Villetard, Rowena Harris, Cédric Raccio, Sarah Ancelle Schönfeld, Marco Strappato, Vincent Tanguy, Maurizio Vicerè, Fabien Zocco

11 giugno – 8 ottobre 2022

Spazio In Situ
Via San Biagio Platani 7, Roma

Info: insitu.roma@gmail.com | Per visite contattare Andrea Frosolini T.  335 653 0941

 

[1] Byung-Chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, 2022, p.  7

[2] Roland Barthes, La camera chiara, nota sulla fotografia, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2003,  p. 87

 

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