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BOLZANO | Museion | 6 maggio – 3 settembre 2023

di MATTEO GALBIATI

Sostengo da sempre la massima che dice che si può mentire su tutto, ma non sulle lacrime. Qualunque sia l’emozione che le induce, non possono essere costrette, obbligate. Non si piange a comando, né per dolore, né per gioia. Le lacrime sono evidenza di un’emozione sincera, spontanea e incontenibile nel suo desiderio di manifestarsi. L’artista Shimabuku (Kobe – Giappone, 1969), con quel carattere propriamente giapponese, misto di orgoglio, sensibilità e delicatezza, venuto il suo momento di presentare alla stampa la sua mostra, appena presa la parola non ha potuto sopire, dissimulare o nascondere una viva commozione.

Shimabuku, Me, We, site specific installation, Museion 2023 © Luca Guadagnini

La sincerità con cui ha manifestato pubblicamente tutta la sua emozione, non cercata, non costruita, sottolinea la verità della sua umanità, quella stessa che poi abbiamo ritrovato nelle sue opere e che si trasforma in una convinta narrazione accogliente, alla portata di tutti, comprensibile perché già profondamente radicata, in qualche modo, nei pensieri, nei ricordi e nelle esperienze di ciascuno. Riportiamo questo aneddoto non certo per una sottile malizia, ma, al contrario, proprio per evidenziare l’onestà del suo lavoro, del suo approccio così spontaneo da apparire quasi ludico, pur sempre denso di riflessioni e rimandi.
Museion di Bolzano, con Me, We porta, per la prima volta in Italia, una personale dedicata a questo importantissimo artista contemporaneo e, cosa che oltre a emozionare lui compiace noi e il pubblico cui consigliamo vivamente la visita, rappresenta la sua più ampia mostra europea mai realizzata ad oggi. La sua ricerca, connotata da un approccio definito come crossmediale per la capacità di Shimabuku di fondere linguaggi e codici espressivi, tecniche e materiali, assai diversi tra loro, si manifesta così attraverso un ampio spettro di soluzioni formali scelte, di volta in volta, in funzione del racconto, della situazione, delle considerazioni che vuole esprimere. Non si aspetti il visitatore uno sviluppo consequenziale di opere che denotano uno “stile”, perché questo stile, enfatizzato dalla cultura giapponese originaria, sa modificare la propria formalità e natura esteriore per avere cura del contenuto, per indirizzare l’attenzione su quel senso di esperienza che è proprio della sua interessante narrativa artistica.

Shimabuku, Simbiosi (giacinto & pesce rosso nero), 1992 Courtesy @ SCP AMARANTE / Catherine Hellier du Verneuil © Shimabuku

Le opere sono veri e propri dispositivi esperienziali che, lasciati nella configurazione della loro semplicità minimale, senza distrazioni o divagazioni arrivano all’anima della coscienza: quella che guida l’artista nel rendere vitali, significative e mai pretestuose le sue testimonianze; quella con cui noi, poi, le sappiamo accogliere con pari immediato favore. Non serve nemmeno seguire un ordinamento cronologico, tipologico, ogni tentativo di osservazione scientifica del suo lavoro viene (diciamo per fortuna!) superato dall’empatia che si genera tra noi e lui, tra noi e quello che vediamo e, riprendendo quel Me, We del titolo – attinto da una frase di Muhammad Ali a indicare con concisione ridotta al minimo un rapporto e una relazione – diventa legame immediato. I lavori, che coprono un arco cronologico compreso tra i primi anni Novanta fino ad arrivare a noi (non mancano nemmeno opere realizzate ad hoc per questa mostra che in modo monumentale parlano del territorio in cui ci si trova), ci consegnano, nei due piani di Museion, momenti che sono episodi di prossimità intuitiva e, come si diceva, esperienziale. Il titolo di ciascuno, chiave di accesso della singola opera, ci porta al cuore di riflessioni che, tra paradosso e realtà, manifestano verità senza tempo.

Shimabuku, The snow monkeys of Texas: Do snow monkeys remember snow mountains?, video HD installation view, 2016, © Luca Guadagnini

Ci si muove tra i suoi lavori seguendo un flusso che diventa coinvolgente, accattivante, magnetico e stabilisce una connessione tale da azzerare ogni distanza tra noi, l’oggetto esposto e l’anima del suo creatore. Facilitati poi dalle brevi didascalie narrative, sintetiche, ma assai puntuali (volute dallo stesso artista), comprendiamo ciascun lavoro come testimonianza verificata di un microcosmo, un habitat del pensiero che azzera distanze e crea unità nella reciprocità.
Shimabuku, come pochi altri artisti sanno fare nel nostro presente, segue i percorsi di spunti quasi scanzonati, giocosi e freschi che, per semplificazione ed enfatizzazione del paradosso, acquisiscono poi l’elevazione a potenza assoluta di quei legami universali tra le “cose” del mondo che lui non solo sperimenta, ma sa efficacemente riportarci nella misura giusta della sua arte. Quello di cui ci parla è un mondo dove tutto può accadere e, oltre le distanze fisiche e culturali, temporali e specifiche, tutto è strettamente correlato e unito.
La simbiosi tra un pesce e un bulbo di giacinto, una “mostra” allestita per le scimmie, un polpo che sopravvive, unico della sua specie, al mercato ittico di Tokyo, delle scatole che raccontano la loro storia, il viaggio dell’artista in Europa con un sopracciglio rasato sono alcune delle “situazioni al limite” raccontate nelle opere – volutamente non citiamo nello specifico nessuno dei lavori esposti per lasciare al visitatore il gusto e il sapore della scoperta che diventa, in questo caso, davvero meraviglia – e appartengono a una visione connotata senza essere imposizione ideologica pressante.

Shimabuku, Il più antico e il più nuovo utensile degli esseri umani, 2015 Courtesy the artist and Amanda Wilkinson Gallery, London © Shimabuku

La sua ricerca artistica si pone in modo alternativo, ma non criptico; è lontano da meccanismi intellettualistici perversi e autoreferenziali, sa, invece, generare incanto che diventa presto interesse e, quindi, consapevolezza. Le presenze e le situazioni che testimonia pongono l’artista (e noi con lui) nel mondo non come in un universo di singolarità episodiche e sconnesse, ma dentro accadimenti che sono strettamente e indissolubilmente stretti tra loro.
A Bolzano, in una mostra che annoveriamo tra le migliori della stagione, scopriamo Shimabuku come cantore di poesie, un menestrello moderno che racconta favole in cui humor e profonda leggerezza si combinano in uno stile che, senza sconfinare mai nella banalità o nella retorica, mai sguaiato o chiassoso, sa muoversi silenziosamente verso una forma peculiare di saggezza. Saggezza che sa far valere la sua “giusta morale” senza l’ingombro della severità, perché sempre vicina e prossima agli occhi e al cuore di chi guarda.

Shimabuku. Me, We
a cura di Bart van der Heide

6 maggio – 3 settembre 2023

Museion – Museo di arte moderna e contemporanea
Piazza Piero Siena 1, Bolzano

Orari: da martedì a domenica 10.00-18.00; giovedì 10.00-22.00; lunedì chiuso
Ingresso intero €10.00; ridotto €5.00 (per persone con 65+ anni, studenti, ospiti, soci di FAI, Italia Nostra, MART, Ferdinandeum)

Info: +39 0471 223413
info@museion.it
www.museion.it

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