a cura di Sponge Arte Contemporanea
Rave Residency intervista Dolomiti Contemporanee
Il pellegrinare per l’Italia tra le strutture autonome continua. Questo terzo appuntamento della rubrica l’Occhio di Sponge nasce una mattina di gennaio nella Sala Consiliare di Erto e Casso, all’interno del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, dove ci incontriamo con Rave Residency e Dolomiti Contemporanee per dibattere pubblicamente. Ci accomuna il fatto di essere tre residenze d’artista ubicate in luoghi dove la natura possiede una grande forza e l’opera dell’uomo è presente in una misura ancora sana ed equilibrata.
Per Rave Residency e Dolomiti Contemporanee, come per Sponge, l’ambiente assume quindi il ruolo di un vero e proprio laboratorio dove il contesto naturale diviene luogo e stimolo del fare.
Leggiamo insieme il risultato di questo incontro, l’andata di questo viaggio Rave Residency to Dolomiti Contemporanee, in attesa del ritorno…
Che cos’è Dolomiti Contemporanee?
È un progetto nato nel 2001, che porta l’arte contemporanea nella regione delle Dolomiti – Unesco e, altrettanto importante, produce e porta immagini di questa regione fuori da essa. L’arte viene intesa come esperienza capace di costruire ed attuare ragionamenti, e prassi, concretamente rinnovativi, che sappiano attivare procedure concrete e virtuose rispetto al territorio. Alla definizione del suo significato (montagna, ambiente, concetto metaforico e fisico di verticalità, arrampicata come ricerca), all’abbattimento di alcuni stereotipi e immagini culturali fruste e retoriche che lo affliggono (apologia acritica della natura e della sua necessarietà sovrastante, poetiche nostalgiche, cartolinizzazione turistica), alla valorizzazione di alcune sue risorse rilevanti (l’immagine stessa della montagna, e poi i grandi siti che recuperiamo, fabbriche, complessi d’archeologia industriale, edifici civili particolarmente significativi, tutti luoghi inerti situati in contesti critici, che rilanciamo appunto attraverso l’arte, e un progetto culturale dotato di una strategia articolata).
Dolomiti Contemporanee è un progetto sulla montagna. Perché portare l’arte in un contesto roccioso, in cui è già chiaro che la natura vince?
Io non credo affatto che questa natura, che conosco molto bene, vinca, e che questa affermazione sia chiara e certa. E non c’è neppure una competizione in atto, direi, né una gerarchia tra le forze (natura e uomo-che-fa). La natura non vince un bel nulla e, semplicemente, è. L’esserci della natura è automatico. In ciò, è l’opposto dell’arte. C’è, a prescindere dall’uomo. Anche l’uomo, se vogliamo considerarlo natura, c’è a prescindere da sé stesso, dato che non si è autoderminato, e non sa quasi nulla di sé stesso. Però l’uomo può fare una cosa in più, rispetto alla natura, oltre a replicarsi biologicamente. Può pensare, parlare, esplorare. E in questo egli è anche altro dalla natura. La dimensione critica non è una dimensione automatica. L’uomo può realizzare degli artifici (tekne, arte, scienza). Può muoversi al di là e oltre degli impulsi coatti (i cosiddetti istinti, ad esempio, che è ad ogni modo inappropriato attribuirgli), per generare pensieri, affermazioni e negazioni, proiezioni, oggetti, non automatici. Per alcuni le attività che l’uomo può concedersi rimangono poca cosa, e la sostanza della sua realtà coincide con il suo riassorbimento nell’uniformità dell’essere (panteismi, panpsichismi, ilozoismi, ecc.). Io non lo credo. Credo che l’attività poietica, la creazione, e quindi l’arte, non siano attività automatiche, e credo che abbiano un valore. L’arte è artificio. La grande eccitazione che produce un’opera potente, soprattutto nel farla, non è la stessa che produce la contemplazione della natura. Flaubert non è una montagna (né una vacca al pascolo). Non è una natura-in-atto (smise quasi d’esser biologico, Flaubert, per compiere, con enorme dedizione e fatica, la propria opera, il proprio esemplare artifizio critico). L’uomo pensa e fa alcune cose attivando procedure non automatiche, e in questo modo egli non è (esclusivamente) natura, e, forse, a questo punto, se davvero dobbiamo cercare un vincitore che non c’è, è lui a vincer su di essa, dato che questi suoi atti sono autodeterminati (e utili e necessari). In qualche modo, il fare (critico) contrasta con l’esser fatto (passività). Rispetto al nostro progetto poi, questa natura fortissima, alle volte difficile e pericolosa, che sovrasta l’uomo nelle Dolomiti selvagge, è intesa come una risorsa, e un cantiere culturale, e una palestra di stimoli, un’opportunità di lavorare nel corpo vivo di un ambiente impressionante che pulsa. Non è un contesto, inteso come spazio amorfo, spazio equivalente, in cui fare delle cose. È una fonte, di stimoli e contrasti. In questo spazio rocciuto e netto, noi scegliamo, e riattiviamo, alcuni spazi artificiali, nei quali l’uomo ha lavorato a ideare e produrre: fabbriche, poi morte, e non baite o rifugi. Pay-off di DC è: laboratorio d’arti visive in ambiente, dove l’ambiente è questo spazio acceso, proiettivo, la cui identità va coltivata (altrimenti cade, “naturalmente”, in retorica). La”storia naturale” di questi siti dice che essi sono ormai morti. La nostra azione critica, rompe questa fisiologia dell’inerzia, cimiteriale. È necessario forzare lo stato delle cose, attivando procedute atipiche, innescando artificialmente processi imprevisti attraverso una volontà forte, per uscire dallo stallo.
Il lavoro di Dolomiti Contemporanee quindi ha senso anche rispetto a questo: negare il regime autocratico di natura, e affermare il valore dell’attività dello spirito (l’uomo che pensa e crea è il proprio spirito in azione), e delle sue attività, e dei suoi (migliori), artifizi critici. Insomma, la natura non basta. E non è autonoma (rispetto allo spirito).
Chi sono i destinatari del vostro progetto? Chi ne beneficia?
Per dire una cosa ovvia: in termini generali, i destinatari di questo progetto sono i destinatari di ogni progetto sensato: il pensiero porta beneficio a chi pensa. L’arte porta beneficio a chi crede nel valore dell’immaginare e del fare. Rispetto alla nostra azione: il progetto non si cala dall’alto, come una proposta aliena, sul territorio. DC, alla sua base, è una mentalità d’apertura e un’architettura. L’identità culturale e artistica del progetto è totalmente autodeterminata e autonoma, a livello ideativo. Ma a livello di pratica operativa, il progetto è una rete, un attivatore, un aggregatore, un catalizzatore. I soggetti che ci sostengono, sono oltre un centinaio. Soggetti isituzionali, politici e amministrativi. Enti pubblici e privati, attivi nella valorizzazione e nello sviluppo del territorio, a livello economico, industriale, sociale. Partner culturali ed artistici. Aziende, realtà produttive. Soggetti legati alla cultura specifica dell’ambiente, come ad esempio la Fondazione Dolomiti Unesco e diversi Parchi naturali, regionali o nazionali. Si lavora quindi sull’identità del territorio attraverso strategie complesse, che cercano e trovano convergenze e condivisioni di obiettivi rispetto a soggetti diversissimi ed eterogenei. A tutti questi riusciamo, attraverso una politica molto concreta, a far ammettere, e a far sostenere, il valore di una progettualità culturale e artistica, che abbia una funzione, e un’efficacia, rispetto all’economia culturale e all’identità dello stesso territorio, al suo uso, alla valorizzazione delle sue risorse. Queste reti si sviluppano e agiscono su diverse scale: localmente, e al tempo stesso in ambiti più ampi, in orbite più esterne.
Quale struttura avete?
Il progetto è stato ideato ed è curato, negli aspetti di strategia culturale, della costruzione delle reti dei rapporti, della sua fisionomia rispetto alla propria funzione ed al rapporto con il territorio, da me (Gianluca D’Incà Levis). Il gruppo di lavoro interno comprende alcune figure che lavorano nella comunicazione (immagine, grafica, web, foto e video), e alcune altre che mi assistono quotidianamente nel progetto, durante tutto l’anno, e soprattutto nelle fase estiva/autunnale, quando dobbiamo attivare e gestire gli spazi e le stazioni principali, le Residenze artistiche, e realizziamo il grosso dell’attività espositiva. Per quanto riguarda artisti e curatori, questi vengono selezionati sulla base di interessi reciproci, compatibilità e qualità. Il progetto è molto “ospitale”. Nelle nostra fabbriche riesumate, può accadere di realizzare più cicli di mostre. Nella fabbrica del 2012 (Blocco di Taibon), si fecero, in quattro mesi, 13 esposizioni, coinvolgendo una decina di curatori e direttori, e oltre 80 artisti.
Come siete/venite finanziati?
Non ci sono risorse adeguate. Quindi, secondo logica (o natura), in teoria non potremmo sostenere le attività. Uno degli elementi peculiari del format di DC è il recupero, la rimessa in funzione, di grandi siti desolatamente abbandonati da anni. Riprendere e riavviare uno di questi siti è cosa complessa e costosa. Il sito non esiste più, in realtà, va generato, e con esso va costruita la sua identità. Con i finanziamenti pubblici, quando arrivano, copriamo una parte di questi costi. Ma alla maggior parte di essi, si fa fronte grazie alla rete dei partner, che cede a nostro favore beni e, soprattutto, opere e servizi. In tal modo, oltre a sistemare ed attrezzare gli spazi, ed a produrre le opere degli artisti, rafforziamo le reti di condivisione. Gli stesso partner sono convinti della nostra progettualità, e vi partecipano attivamente. Il territorio condivide l’impresa. È per questo che, quando dopo alcuni mesi,abbandoniamo le fabbriche, queste, chiuse da anni, hanno finalmente l’opportunità di venir riaffittate. Non vi è stato nulla di naturale in questo processo virtuoso. Una pura forzatura, e un’aggressività, irrituale, nei confronti di una delle peggiori nature che vi siano sulla terra: la natura dell’inerzia.
Dolomiti Contemporanee è un progetto sorto nel 2011, quando da poco le Dolomiti erano divenute Bene Unesco Patrimonio dell’Umanità. Le Dolomiti sono lo spazio, fisico e concettuale, su cui si è deciso di applicare uno sguardo critico e riattivatore, in opposizione alla vulgata che fa delle Dolomiti un luogo atrofico di turismo. Si è deciso così di non coltivare la dimensione contemplativa della montagna, ma di utilizzarne il potenziale di verticalità. Sono stati così selezionati dei siti industriali dismessi, da utilizzare come centri espositivi attivando al loro interno delle residenze per artisti. In tal modo l’arte ha dato prova di poter dare impulso al territorio, riattivando aree dal grande potenziale, risollevandole dall’abbandono.
Info: +39 0437 30685
+39 0427 666068
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www.dolomiticontemporanee.net
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