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MILANO | Fabbrica Eos | Fino al 25 marzo 2017
Intervista a MANUEL FELISI di Luisa Castellini

Che sia elemento naturale, oggetto o tecnica, la ricerca di Manuel Felisi è una danza sul tempo. Un movimento asincrono, che non ne asseconda il farsi ma neppure vi si oppone. Un tentativo di scriverne un altro per giocarci a piacimento – gioco possibile, infatti, solo poeticamente – e quindi invitare l’altro da sé, il fruitore, a fare altrettanto, soprattutto nella sua ultima mostra da Fabbrica Eos.

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

In questa mostra hai portato alle più alte conseguenze il desiderio di coinvolgere il fruitore, di condurlo a fare esperienza di una temporalità altra, in che modo?
La mostra è stata concepita con l’idea di costruire l’opera insieme al fruitore, con la sua esperienza e le sue sensazioni. È un insieme di suggestioni che si articolano attraverso quattro installazioni, che vogliono essere un viatico per accedere alla propria memoria o a luoghi emozionali che abbiamo dimenticato. È il fruitore a costruire la mostra.

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Perché l’acqua, un elemento che spesso è stato protagonista delle tue installazioni, torna in questa mostra in due stati differenti ma sempre connessi alla memoria?
Ad accogliere il visitatore in galleria è Una sola. Una goccia che dal soffitto cade sul pavimento incessantemente. Il suono di questa caduta è amplificato diventando parte stessa del processo e restando aperto a qualsiasi accoglimento e interpretazione. Lacrima, catarsi, rigenerazione, forza: la goccia cade in un buco, o lo ha creato? E invade ora dopo ora il pavimento della galleria. Mi affascina l’idea che l’acqua abbia una memoria. Che le gocce cadute rechino il ricordo di questa mostra, delle persone che le hanno respirate. E ancora, che quelle microscopiche sui miei abiti congelati nell’installazione Tempo immobile, una volta tornate allo stato liquido, possano essere una mia traccia.

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione, Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Tre anni fa alla Gam di Genova Nervi (Menoventi, 2013) hai congelato alcune opere del museo. A Torino, (Tempio, 2015) alcuni testi sacri. Oggi, in mostra, alcuni tuoi abiti e oggetti. Quale rituale si sta consumando?
Attraverso il processo di raffreddamento si può garantire la fruizione ai posteri. Il dazio da pagare è la perdita di questi beni, che per giungere intatti nel futuro devono essere strappati a un presente, che magari non li può o non li vuole comprendere, apprezzare o, al contrario, li fraintende o ne abusa. Così per l’arte e la religione. Ho portato il processo alle sue conseguenze, sottraendo me stesso, attraverso una serie di oggetti significanti, al tempo, costruendo una memoria, un memento mori.

È stata una sorta di catarsi la selezione degli oggetti di Tempo immobile?
Ognuno ha una storia, racchiude una memoria, come tutti gli oggetti con cui costruisco le mie opere del resto. Così c’è il mio primo completo grigio “serio” indossato al matrimonio di un amico. Un maglione amatissimo. L’eskimo del liceo. Un montone comprato a Istanbul durante una bella mostra con Fabio Giampietro. Oggetti, tutti, dai quali è stato difficile separarmi.

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione alla Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

Manuel Felisi, Tempo immobile, 2017, installazione alla Fabbrica Eos, Milano. Foto di Viola Tofani

In Tana, sorprendi il fruitore con un’installazione ambientale. Cosa ci attende al di là dello specchio?
Attraversando le ante di un vecchio armadio con le porte a vetri, ci si trova in un ambiente buio. L’illuminazione proviene dal basso evocando le torce alle quali tutti, bambini, ci siamo affidati almeno una volta per farci luce in un nascondiglio improvvisato, magari proprio in un vecchio armadio. E infatti è qui che siamo catapultati: la testa viene sfiorata da abiti appesi in alto e d’improvviso ci troviamo in una dimensione che avevamo scordato: quella dell’infanzia.

Perché hai scelto per questa installazione abiti senza passato, ma con la memoria della prossima stagione, quella di Etro?
Se avessi appeso i miei abiti, quelli di alcuni membri della mia famiglia o recuperati in qualche mercatino, avrebbero portato i propri odori, colori, il ricordo di una moda, di chi li ha abitati. Volevo invece che il fruitore potesse vestire questi abiti con la propria memoria, speranze e aspettative comprese. Solo così, in una sorta di campo neutro, è possibile rivivere o ritrovare quello che andiamo cercando avventurandoci nel nostro buio.

Nord 45 Est 9 sono le coordinate della grande parete sulla quale la memoria ritrova la forma dell’immagine tornando alle sue parti costitutive, cosa è accaduto?
È come se avessi scomposto il processo che conduce alle mie immagini. Le garze, i tessuti, i rulli da tappezziere, quelle texture e quei pattern, portatori di una storia, con i quali da sempre lavoro incontrano sulla parete la mia pittura. L’immagine fotografica torna a sua volta alla sua essenza facendosi ombra. Di fronte alla parete, grandi rami dipinti di bianco proiettano la propria ombra sulla mia pittura, ricordando, ancora una volta, il senso del tempo e dell’effimero.

Manuel Felisi, Tempo Immobile
a cura di Alberto Mattia Martini

17 febbraio – 25 marzo 2017

Fabbrica Eos
p.le Baiamonti 2, Milano

Orari: martedì – venerdì 10.30-13.00 / 15.30 – 18.30
sabato su appuntamento

Info: fabbricaeos.it
manuelfelisi.it

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