Non sei registrato? Registrati.
LECCE | MUSEO CASTROMEDIANO

intervista a LUIGI DE LUCA di Livia Savorelli

Con la chiusura dei luoghi della cultura, a seguito del diffondersi della pandemia, molti Musei hanno cercato di mantenere il contatto con il proprio pubblico, negato in presenza, riversando il proprio patrimonio culturale nel digitale. C’è chi, invece, come il Museo Castromediano di Lecce, ha utilizzato le tecnologie per amplificare la propria vocazione relazionale, ideando progettualità che fondessero creatività e senso di comunità e appartenenza. Abbiamo dialogato con il direttore Luigi De Luca, ripercorrendo i molti progetti portati avanti dal museo con qualche anticipazione sugli eventi futuri…

Partiamo dagli inizi, per tutti coloro non conoscessero questa realtà museale. Con che finalità nasce il Museo Castromediano di Lecce e attraverso quali canali ed azioni solitamente dialoga con la sua comunità di riferimento?
Fu Sigismondo Castromediano, da cui prende il nome, a dare vita alla collezione archeologica e storico artistica del museo. Egli riversò in questo suo progetto tutta l’idealità ed il sogno risorgimentale di una Italia unita e di un meridione liberato dal giogo borbonico. Il Castromediano nasce dunque come museo del territorio, di cui raccoglie le testimonianze di un passato millenario ma dentro un’idea che la lezione del passato possa essere di monito nel processo di ricostruzione dell’unità e della dignità di un popolo, quello meridionale e di una nazione, l’Italia.

Museo Castromediano, Lecce. Ph Raffaele Puce. Courtesy Polo Biblio-Museale, Lecce

Mai come in questo momento una riflessione sul ruolo del Museo è particolarmente urgente. Tra necessità di conservazione e tutela del patrimonio storico e sua rigenerazione attraverso nuove relazioni di pensiero e strategie che coinvolgano un pubblico sempre più ampio e diversificato, come per lei deve essere riconsiderato il suo ruolo?
La ricerca è la ragion d’essere di un museo. Senza ricerca il museo cade vittima dei luoghi comuni e delle mode. Non ci interessa un museo alla moda, non ci interessa il successo, ci interessa la quotidiana incessante ricerca del senso del nostro lavoro nel rapporto con il patrimonio che custodiamo e con la società in cui operiamo.
Per riconciliare le persone, i differenti pubblici, con il patrimonio culturale non abbiamo bisogno di politiche di marketing. Dobbiamo soltanto instaurare delle relazioni creative basate sulla curiosità, sul gioco, sul desiderio di scoperta, sull’avventura intellettuale. La stessa visita guidata dovrebbe essere sostenuta dalla capacità di stupire e divertire propria del gioco. È la cosa più difficile da farsi perché si tratta di ripensare completamente la formazione degli operatori museali, degli archeologi, degli storici dell’arte ai quali più che competenze specialistiche bisognerebbe chiedere curiosità verso la storia e verso il prossimo, verso le sacre antichità e verso le contraddizioni delle relazioni umane e della società in cui è immerso il visitatore del museo. Curiosità prima di tutto verso la ragione che porta un individuo a varcare la soglia di un museo. Il suo rapporto con la comunità di riferimento, il suo ruolo nella società, la sua famiglia, il suo lavoro. Non è alla domanda di conoscenza nozionistica che la visita al museo deve rispondere ma al bisogno di senso di cui ogni uomo ha bisogno rispetto alla sua vita e al mondo che lo circonda. Senso che non lo si recupera nel rito borghese dell’andare al museo ma nella ricerca costante della capacità dei luoghi della cultura di aprire gli occhi degli uomini sui disastri umani, ambientali, epocali che li circondano e sulle loro cause.

Museo Castromediano, Lecce. Ph Raffaele Puce. Courtesy Polo Biblio-Museale, Lecce

Alla luce del tragico momento vissuto, con le chiusure prolungate dei luoghi della Cultura, come  si è posto il Castromediano nei confronti del suo pubblico? Quali strategie, a livello virtuale, avete pensato nell’ultimo anno per alimentare il legame con il vostro pubblico e per acquisirne di nuovo?
Il momento che viviamo, come tutti i momenti di crisi, richiede il coraggio di andare a vedere cosa c’è oltre il muro che la paura erige davanti ai nostri occhi e che rischia di paralizzarci. Il coraggio di guardare in faccia il futuro e dargli un nome. Noi abbiamo deciso di mantenere vivo il rapporto con il nostro pubblico ma senza il ricorso al trasferimento del patrimonio culturale del museo nella grande vetrina digitale. Abbiamo mantenuto con il pubblico un rapporto di tipo progettuale e creativo. Due esempi su tutti. Con il progetto ADD (l’Arte Diminuisce le Distanze) abbiamo voluto che il museo si facesse scuola rompendo la dinamica asfittica della Didattica a Distanza che ha mortificato il concetto stesso di insegnamento. Tra i ragazzi confinati nelle loro stanze e il docente isolato nel ruolo non suo del mezzobusto, abbiamo inserito il museo con i suoi spazi e il suo patrimonio, i suoi archeologi, i suoi storici dell’arte, i suoi restauratori, i suoi grafici, i suoi bibliotecari, i suoi curatori, i suoi comunicatori. Tutti al servizio di una scommessa nuova: lavorare insieme alla Scuola per ricostruire attraverso il patrimonio culturale, l’arte e la bellezza, il senso della comunità e l’appartenenza che il distanziamento sociale rischia di distruggere per sempre nell’animo di una generazione. Le tecnologie digitali se hanno un compito è quello di facilitare il dialogo tra i luoghi della cultura e quelli della formazione più che spingere verso oniriche fughe virtuali. Oggi più che mai dobbiamo tenere saldi i legami con la realtà. Perciò più che di tour virtuali e di innovazione tecnologica abbiamo bisogno di innovazione sociale e culturale. In questo senso va il progetto Bricks4City con il quale, mentre il museo era chiuso, abbiamo promosso, insieme a Città Fertile un team di giovani architetti e urbanisti, un processo di progettazione bottom-up che ha interessato un gruppo di sedici under 30 insieme a dieci famiglie, provenienti da tutta Italia. Attraverso il gioco Minecraft e le strategie di progettazione partecipata, abbiamo ripensato insieme il rapporto tra città e museo partendo dalla riqualificazione degli spazi esterni del Museo Castromediano proiettandolo nel 2030. Oltre la pandemia, in un futuro che vogliamo immaginarci migliore e alla cui costruzione i musei non possono rinunciare. Neppure quando sono chiusi.

Museo Castromediano, Lecce. Ph Raffaele Puce. Courtesy Polo Biblio-Museale, Lecce

L’arte come integrazione e come strumento di inclusione sociale… A partire dal multiculturalismo della città di Lecce, quali progetti in particolare sono stati recentemente sviluppati?
Ci ha insegnato Predrag Matvejević che, nel “fagotto dei migranti”, non c’è solo povertà e miseria ma i semi di un mondo nuovo. Un mondo che immaginiamo fondato sulla grazia e sulla bellezza senza tempo dell’arte;  sulla conoscenza e sull’equilibrio tra uomo ed ambiente. Il nuovo Castromediano ha messo al centro della sua progettualità il riconoscimento dell’alterità come valore imprescindibile dell’essere comunità.
In questa prospettiva rientrano una serie di esperienze: da Musei Accoglienti che ha coinvolto un gruppo di cittadini, migranti, rifugiati, richiedenti asilo, nella integrazione dei servizi di accoglienza del pubblico, attraverso una adeguata conoscenza della storia e dell’arte locale; ad una esperienza più recente in collaborazione con il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), intitolata La Bellezza dell’Integrazione che ha coinvolto un gruppo di richiedenti asilo, impegnati insieme all’artista Nicola Genco in un percorso di integrazione lavorativa che vede il museo trasformato in una sorta di bottega artigiana in cui l’apprendistato coincide anche con la conquista di una cittadinanza culturale. Il valore dei musei non dipende soltanto dal valore del loro patrimonio storico artistico ma dalla loro capacità di essere lievito nella società contemporanea. Ciò che fa contemporaneo un museo non è l’attualità delle sue collezioni ma la sua capacità di favorire attraverso la fruizione del suo patrimonio, un dialogo vero tra le culture, le identità, le memorie dei cittadini, qualunque sia la loro origine, provenienza, religione, sesso.
L’universalità del patrimonio artistico non dipende dal valore delle pietre ma dal legame con una comunità vivente, con le diversità, i conflitti  le tensioni e le speranze che la attraversano e la rendono tale.

Installazione di Nicola Genco nel Museo Castromediano, 2020. Courtesy Polo Biblio-Museale, Lecce

Parliamo di Spazio aperto, progetto che si basa su una call per giovani artisti under 30 rivolta agli studenti delle Accademie di belle arti di Puglia (Lecce, Bari e Foggia) e una serie di incontri basati sul rapporto diretto con gli operatori del settore…
Diceva John Kenneth Galbraith: “Il cambiamento non viene da uomini e donne che cambiano idea, ma dall’avvicendamento fra generazioni“. Ecco il progetto Spazio Aperto è dentro questa strategia di cambiamento generazionale indispensabile per l’arte e per la cultura per sopravvivere. Non è soltanto la concessione di alcuni spazi del museo a giovani artisti delle Accademie di belle arti della Puglia o favorire il dialogo tra questi giovani e i protagonisti del sistema dell’arte a livello nazionale. Non è soltanto una concessione insomma ma una vera rivoluzione che riguarda la cessione di una fetta importante del potere decisionale della direzione del Museo e del Comitato di gestione del Polo Biblio-Museale verso le nuove generazioni.
Con l’obiettivo dichiarato di favorire l’avvicendamento generazionale nella gestione degli spazi culturali i Poli Biblio Museali, cioè la Regione Puglia, lancia un invito per la costituzione di consulte giovanili che collaborino nella gestione dei musei e delle biblioteche che dipendono dai poli Biblio Museali di Brindisi, Foggia e Lecce.
Dopo la positiva esperienza del progetto FACCIAMO UN PATTO che ha visto decine di associazioni giovanili, attive nel campo del volontariato culturale, abitare con la loro progettualità gli spazi, ora l’obiettivo è coinvolgerle nei processi decisionali e nella programmazione dei Poli.

Paolo Gioli, Dalla serie Fiori secchi, 1997, Polaroid bn, 20×25 cm, trasferita su carta da disegno

Tra i progetti futuri del Museo, una grande mostra di Paolo Gioli per il Castromediano che si connette a tutta una serie di celebrazioni dell’artista, che si svilupperanno tra la Puglia e la Cina? Come nasce il desiderio di dedicare un omaggio a una figura quale quella di Paolo Gioli?
Questo progetto è il frutto di quella che io chiamo la vocazione del Castromediano ad essere un museo di relazioni. Il museo vive del rapporto con il contesto culturale circostante. Abbiamo volutamente rinunciato ad una parte della nostra iniziativa culturale autonoma per intercettare quella che emerge dalla società e sostenerla. Così è stato per la mostra di Paolo Gioli, nata dall’incontro con il Cineclub “Canudo” di Bisceglie. Non è un nostro progetto ma è un progetto che abbiamo fatto nostro ripensandolo insieme ai curatori in stretta connessione con la collezione archeologica permanente, in continuità con un processo di confronto che ha visto il museo accogliere negli ultimi anni dialoghi con la contemporaneità, tanto che “L’antico è contemporaneo” è diventato il claim della nuova vita del museo. L’allestimento si adatta agli spazi progettati da Franco Minissi e i corpi, i busti, le nature morte, le fotografie deformate assumono significati diversi nel dialogo/confronto con le testimonianze della civiltà messapica, greca e romana.
Un dialogo necessario che ci evita di chiuderci dentro asfittici recinti identitari o peggio ancora campanilistiche celebrazioni di un passato idealizzato e a rifuggire da improbabili primati per riconnetterci con la realtà fatta di una identità comune che è regionale e mediterranea, che è antica senza essere slegata dalla società alla quale ci riporta l’arte senza aggettivi.
La mostra di Paolo Gioli rappresenta per il Castromediano una nuova tappa di quello che vuole essere un museo in movimento, senza un approdo definitivo nell’evoluzione dei suoi spazi e dei suoi allestimenti. Il concetto di movimento e della incessante ricerca di un approdo impossibile racchiude il senso del nuovo Castromediano, il museo pubblico più antico di Puglia e, nello stesso tempo, specchio della contemporaneità.

Paolo Gioli, Dalla serie Vessazioni, 2009, Polaroid 60×50 cm e trasferimento Polaroid su acrilico

Museo Castromediano
Vialele Gallipoli 28, Lecce

Info: 0832 373 572 / museocastromediano.lecce@regione.puglia.it
App: IO PRENOTO

Facebook: @MuCastromediano

 

IN CORSO:

PAOLO GIOLI.
ANTOLOGICA/ANALOGICA. L’opera filmica e fotografica (1969-2019)

a cura di Bruno Di Marino, con la collaborazione di Rosario Scarpato
un progetto di Cineclub Canudo

opening: 5 marzo, ore 17
ingresso libero su prenotazione

NATURA CORPO VOLTO MEDIUM
Museo Castromediano, Lecce
5 marzo – 9 maggio 2021

SCHERMI-SCHERMI
Palazzo Tupputi, Bisceglie
6 marzo – 9 maggio 2021

Three Shadows, Beijing (Cina)
26 giugno – 29 agosto 2021

Luigi De Luca nello studio dell’artista Pietro Guida

Dopo gli studi in semiologia, Luigi De Luca si è dedicato al management pubblico in ambito culturale. Dal 2017 è direttore del Museo Castromediano di Lecce e coordinatore dei poli biblio-museali della Regione Puglia.
È stato per lunghi anni direttore dell’Istituto di Cultura Mediterranee della Provincia di Lecce, ruolo nel quale ha organizzato numerose mostre e coordinato numeri progetti di cooperazione culturale internazionale. Per la Provincia di Lecce ha ricoperto anche il ruolo dirigente del Servizio Politiche Giovanili e Rapporti con l’Università oltre che di responsabile dell’ufficio cultura.
È stato tra i fondatori di Apulia Film Commission di cui ha ricoperto la carica di Vice Presidente.
Ha iniziato la sua carriera come operatore culturale presso il Teatro Pubblico Pugliese di cui è stato anche amministratore. Tra le sue pubblicazioni il volume LA FABBRICA DEL MONDO. Organizzazione ed economia della cultura nell’epoca della globalizzazione, Lupo Editore (2010).

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •