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BOLOGNA | ABC | 21 marzo – 15 maggio 2015

Intervista a MAURA POZZATI di Alice Zannoni

A Bologna inaugura presso lo spazio Abc, Hestia la mostra colletiva a cura di Maura Pozzati che vede lavorare cinque artiste sul tema della dimora come spazio e come presenza abitata dalla quotidiana e intima bellezza della dea “minore” Hestia; qualche domanda alla curatrice.

Partiamo dal titolo della mostra, Hestia, perché, cosa significa e come si lega all’impianto curatoriale della mostra? 
Hestia, una delle meno conosciute fra le divinità dell’antica Grecia, ma tuttavia tenuta in grande onore, veniva invocata e riceveva la prima offerta nei sacrifici effettuati nell’ambiente domestico. Una divinità minore, dunque, perché legata al mondo femminile, al privato, al domestico: il suo simbolo era il cerchio e la sua presenza era avvertita nella fiamma viva posta nel focolare rotondo al centro della casa. Hestia è il focolare circolare, fissato nel suolo, è l’ombelico attorno al quale la casa si radica nella terra: per questa ragione l’abbiamo presa a nume tutelare della mostra, una specie di portafortuna e di scacciaguai. Poi Hestia è anche qualcosa di più intimo, interiore, perché grazie a lei la cura del focolare diventa un mezzo attraverso il quale la donna, insieme alla casa, mette ordine nel proprio sé: attendere alle cure domestiche diventa allora un’attività che induce alla concentrazione e alla meditazione e quindi necessaria all’arte. Valentina D'Accardi, HESTIA, cm 19x26cm

Hai selezionato cinque artiste con identità, peculiarità poetiche e tecniche espressive molto diverse, ma tutte accomunate, oltre dal fatto di essere donne, da una particolare sensibilità verso lo studio e l’analisi del tempo interiore legato alla memoria di un vissuto trascorso con e nelle veci di Hestia. Come e perché hai scelto gli artisti?
Intanto gli artisti di cui parli sono tutte donne, quindi artiste, perché Hestia è donna ed è capace di parlare e di raccontare di “piccole cose”: fazzoletti usurati, mobili, vestiti, finestre, tendine, vasi, fiori, piccoli recipienti, rami, semi, pentolini, spezie, capaci di sedurre in quanto diretti e accessibili, vicini a noi e a ciò che ci circonda. Ho selezionato le cinque artiste presenti in mostra perché sono state capaci di lavorare sull’idea di spazio domestico in quanto spazio del privato: c’è effettivamente un tocco femminile che unisce nella diversità delle tecniche utilizzate le cinque artiste e c’è un’abilità manuale, capace di cucire, tessere, stirare, trasformare gli oggetti, che ci parla di cose comuni, che troviamo in casa, che possiamo annusare, toccare, consumare, appendere, spostare, guardare, esaminare, usare, lavare, buttare, esporre, nascondere, dimenticare ma che sono tracce autentiche di vita vissuta. Ho scelto le artiste per questa loro capacità di sondare gli spazi interiori, le memorie personali, il tempo interno con una leggerezza e una morbidezza che appartengono molto di più al mondo femminile rispetto a quello maschile.

Marina-Gasparini, Walking-words-on-four-walls, Installazione scala, 1a1
Nonostante la rappresentazione metaforica diretta della divinità del focolare sia l’ambito della casa, nella mostra non si percepisce il senso di chiusura delle “4 mura domestiche”, ma piuttosto emerge la sensazione di leggerezza, libertà e osmosi metafisica tra lo spazio interno ed esterno. Cosa racconta la mostra del lavoro della donna e che relazioni emergono tra un io personale e un io collettivo?
Come cercavo di esprimere prima, il concetto di casa non è quello di abitazione quanto piuttosto quello di dimora: Hestia è la divinità della dimora, è una dea poco pretenziosa e presuntuosa, adatta alle artes minores, quelle riservate alle donne, che non pensano, tradizionalmente alle res gestae, alle guerre, alla politica ma si occupano della routine quotidiana. Ma sono proprio i gesti quotidiani e domestici, comuni, che acquistano una grande importanza proprio perché silenziosi, ripetuti, ordinati, capaci di fare scattare una etica e una nozione di bene comune. Questi gesti quotidiani di cura della dimora, di lettura degli spazi interiori, di recupero delle memorie personali rivelano improvvisamente dimensioni insospettate, che si addicono al mondo dell’arte. Ecco allora che la lingua della pittura, della fotografia, della scultura e dell’installazione possono dialogare tra loro, pur avendo stanze separate e ci raccontano di un mondo di fazzoletti usurati, mobili, vestiti, finestre, tendine, vasi, fiori, piccoli recipienti, rami, semi, con una libertà e una sospensione che disegnano il filo rosso che unisce tra loro le opere di questa mostra.

Sabrina Muzi, Daimon 1, stampa al pigmento, cm 18,5x2, 2014Hai parlato della differenza tra spazio privato e abitazione sottolineando l’intenzione di portare alla luce la declinazione di intimità domestica: cosa significa portare in uno spazio deputato alle esposizioni, e quindi per antonomasia uno spazio pubblico, la dimensione del focolare dell’abitazione?
Non ho considerato lo spazio di Abc una galleria d’arte tradizionale, anzi, il contrario. Tutto è nato quando ho pensato a come “riempire” con delle opere d’arte uno spazio che nulla aveva a che fare con la galleria d’arte tradizionale, poiché in realtà era un appartamento. Mi è venuto facile dunque il passaggio al contrario: se è un appartamento e se vogliamo dedicare una mostra alla divinità Hestia, bisogna che le artiste invitate si interroghino sul loro rapporto con lo spazio domestico e pensino a un lavoro fatto apposta, nuovo, che faccia riflettere sui rapporti tra interno ed esterno, tra tempo della memoria e tempo del lavoro.

Quanto incide il rito come esperienza che accompagna il quotidiano femminile in una “banalità” di gesti e azioni che rivelano la propria importanza nella piccolezza del proprio essere? E come il rito diviene trasformato in materia culturale attraverso un altro rito che è la produzione creativa?
È troppo complesso rispondere a questa domanda, dovrei aprire molte parentesi, citare, approfondire, e mi allontanerei da quella leggerezza che invece è la cifra stilistica di questa esposizione. Allestendo la mostra è venuta fuori un’idea di sospensione, che forse solo inconsciamente avevo avvertito quando ho chiamato queste cinque artiste, e non altre, a partecipare al progetto: il lavoro di Anna coi fazzoletti appesi, da sfogliare e toccare, la cucina di Marina coi ricami su tela, da percorrere e leggere; le immagini in bianco e nero di Valentina, dedicate a Hestia, unica presenza umana capace di manipolare il fuoco; la veste sciamanica di Sabrina, che viene voglia di indossare per partecipare a un rituale antico, e la natura morta dipinta senza ombre, silenziosa e sospesa di Paola; tutto questo rimanda alla leggerezza, a qualcosa di aereo, di morbido, di fluttuante che poco ha a che fare con il rito e molto ha a che fare con la profondità dell’universo femminile.

Un altro piano di lettura dei lavori è la scrittura, presente più o meno direttamente nelle opere ma sopratutto presente come contrappunto artistico nel catalogo in cui oltre al tuo testo di presentazione c’è un corredo autobiografico-poetico, fatto appositamente da ogni artista, che diviene una sorta di dote che arricchisce il fruitore della mostra. Raccontaci questa scelta curatoriale.
Per me la scrittura è la componente fondamentale del lavoro del critico d’arte: non esiste critica che non abbia nella scrittura il suo contrappunto creativo e la propria intima ragione di essere. Per cui ritengo il testo di una mostra importantissimo e imprescindibile: ma la voce del curatore ha un senso nella misura in cui si rispecchia e si riverbera nella voce dell’artista, che spesso non è abituata a scrivere, a venire fuori allo scoperto e deve fare uno sforzo. È una specie di lotta con la parola, di sfida che mette sullo stesso ring critico e artista. Per questo ho chiesto alle artiste di scrivere un testo di presentazione del loro lavoro, dove fare emergere la loro idea di dimora, per evidenziare le differenze, anche e soprattutto nella scrittura. Ho voluto che il catalogo della mostra fosse anche da leggere, ricco di suggestioni, di parole, di colori, di sfumature, di accenti. E non è certo un caso che molte artiste abbiano disposto in mostra un tavolino dove esporre un libro da sfogliare, un album, un volume da leggere, da toccare, da interpretare.Paola Angelini, veduta dell’installazione LANDSKAPET, mostra di fine residenza-Nordisk Kunstnarsenter Dale (NKD)-Norvegia-Courtesy Galleria Massimodeluca

A prescindere da discorsi generalisti sul ruolo della donna contemporanea, questa mostra riporta un tema tanto attuale quanto antico (tanto che presente fin dall’antica Grecia). C’è un’intenzione critica rispetto alla femminilità del fare e dell’essere come ombelico della socialità?
Certo che è presente un’intenzione che va in questa direzione: d’altronde parlare di Hestia, una divinità minore, legata al lavoro domestico e alla dimora, significa dare un grande significato alle cose invisibili, a quei gesti di cura della casa e della famiglia che troppo spesso vengono dati per scontati e che passano inosservati. E invece, dietro a quei gesti, c’è una conoscenza antica, che viene da lontano e dietro a quelle mani che lavorano può emergere un’intuizione luminosa, che molto ha a che fare con la creatività e con il pensiero filosofico.

Sei anche responsabile dei progetti culturali della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, un incarico molto importante, ancor più per il ruolo che la Fondazione ha assunto nel tessuto della città. Rispetto alle iniziative culturali private che chiedono un contributo per vedere realizzare il progetto, come incide il tuo profilo professionale nelle scelte del cda?
Il mio profilo professionale come esperta d’arte contemporanea e critica d’arte passa in secondo piano quando lavoro per la Fondazione del Monte per tante ragioni: intanto perché avendo la delega alla cultura mi devo occupare non solo d’arte ma anche di cinema, teatro, musica, didattica, festival, di politiche culturali e solo in minima parte di mostre. E poi perché quando pianifico la programmazione delle mostre in sede e le performance in Oratorio San Filippo Neri preferisco dare da lavorare agli altri, chiamare curatori più giovani, confrontarmi con esperti di fotografia, fumetto, arte antica, teatro per scegliere le competenze specifiche, per aprire le porte e le finestre, per differenziare i pubblici, per offrire gratuitamente diverse offerte culturali, perché il compito di una Fondazione di origine bancaria non è quello di un museo e nemmeno quello di una galleria privata, che insegue il mercato e le mode ma quello di valorizzare il meglio che c’è nel nostro territorio, dando concrete possibilità di lavoro e di vera e propria produzione culturale. Ma ogni tanto mi piace ed è necessario per me tornare a curare la “mia” mostra, sentendomi responsabile solo della sua buona riuscita, della sua qualità, di quello che scrivo correndo il rischio di fallire, di sbagliare.


HESTIA. La dimora, cinque artiste e una divinità
Paola Angelini, Valentina D’Accardi, Marina Gasparini, Sabrina Muzi, Anna Rossi

a cura di Maura Pozzati

21 marzo – 15 maggio 2015
Inaugurazione sabato 21 marzo ore 18

ABC
Via Alessandrini 11, Bologna

Info: +39 320 918 83 04
www.abcbo.it

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