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SEREGNO (MB) | Artesilva | 13 ottobre – novembre 2012

Intervista a GIULIANO DAL MOLIN di Matteo Galbiati

Si è aperta lo scorso sabato presso la galleria Artesilva di Seregno la nuova mostra personale – curata da Angela Madesani – dell’artista vicentino Giuliano Dal Molin. In quest’occasione è stata presentata una nutrita selezione di opere recenti, alcune delle quali realizzate proprio per l’esposizione nella galleria brianzola. Il linguaggio di Dal Molin si conferma per la sua tipica concentrazione orientata sui valori assoluti della pittura, che rimandano in lui non solo alla dimensione cognitiva della riflessione, ma anche alla fisicità del rapporto con lo spazio-tempo della verifica della visione. La sua pittura riverbera sulle pareti come un attivatore di senso che cerca sempre di frangere la struttura consueta dell’oggetto quadro per aprirsi all’ambiente. Per questo luce, forma, colore, struttura e luogo diventano alcuni dei gradienti essenziali alle dinamiche delle soluzioni monocromatiche di Dal Molin. La regia attenta dell’artista ha orchestrato una sequenza di lavori particolarmente efficaci nel far risuonare silentemente le peculiarità meditative – non solo fisiche – delle forme delle sue opere. Dal Molin parla con una pittura concreta che si lascia toccare con gli occhi, eppure si sovraccarica di un’essenzialità spirituale che conduce lo sguardo, da una sopraggiunta dimensione di senso d’ordine del reale, ad una chiara purezza della mente. La pittura di Dal Molin, da superficie concretamente fisica, si alleggerisce e si disperde nell’elevazione verso la luce. Con una taciuta e sommersa forza intima, pur dirompente, davvero suggestiva per lo spirito di ogni osservatore.

La tua pittura ha alle spalle un lungo percorso, in mostra vediamo, invece, tutti lavori recenti che evidenziano i risultati e l’affermazione di un cambio nella concezione della tua pittura?
È vero. Ho iniziato 25 anni fa eseguendo opere che erano a metà strada tra la scultura e la pittura. Erano interventi che cercavano di allontanarsi dalla scultura tradizionale. Allora, mi interessava, soprattutto, evidenziare una pittura che si concretizzasse tangibilmente nel dialogo con lo spazio e le forme architettoniche. Un tempo mi curavo maggiormente della dimensione segnica del dipingere e spesso i miei quadri si riducevano ad un grande segno curvo che s’inseriva, incidendolo, nello spazio. Il colore si associava a queste forme acuendone la forza nell’ambiente. Ora cerco di guardare oltre la dimensione del quadro dipinto secondo la comune accezione, anche se sono tornato a insistere sulla parete. Le mie nuove opere si pongono in dialogo con l’osservatore secondo una prospettiva consueta, ma non cercano una visione piatta, scontata, mono-direzionata. Vorrei che facessero decorrere lo sguardo su altri luoghi. Le opere recenti non vogliono più dichiararsi come sculture ma come superfici attive che profetano altre visioni.

Caratteristico di questi lavori è una forma a “L” che riscontriamo in quasi tutti. Come nasce e perché?
Questa “L” in effetti è recente, risale solo ad un anno fa circa. Ho iniziato ad utilizzarla per due ragioni principali: la prima è che questo segno-forma mi permette di non ricorrere alla canonica superficie del dipinto – che io non voglio presentare – ma al contrario la apre e la spezza in una geometria inconsueta. Proprio perché rimane una forma tendenzialmente aperta la uso – è la seconda ragione – come mezzo orientante la pittura secondo direttrici spazio-temporali diverse.

Quindi l’opera è un punto di origine che si apre nello spazio-tempo?
Esattamente! Il mio colore vuole proprio – grazie anche alla forma non forma del supporto – mettere in relazione il brano pittorico con l’ambiente. Come dicevo prima, la mia ricerca parte da un riferimento segnico-scultoreo del gesto pittorico. L’opera, ora, non solo diviene punto di origine, ma si espande con energia nello spazio. I dipinti accostano colori differenti e forme diversamente avvicinate ed orientate, queste soluzioni combinatorie attuano una rigenerazione costante e prolungata della pittura, opera dopo opera. Ogni mio lavoro mantiene un individuale punto di origine e allargamento, e ostenta quella costante ed inedita tensione che gli è propria. Vorrei che il colore-pittura potesse trasformarsi sempre in modo circostanziato ma anche molto libero.

Guardando alle tue opere si rende evidente quanto la superficie del dipinto non sia scontata, ma rivesta un ruolo determinante, ben oltre ogni monocromia spersonalizzante…
Certamente. È qui che trovo la possibilità per la luce e l’ombra di verificarsi come sintesi estrema di opposti. Sulla superficie posso organizzare gli elementi compositivi e li accosto per integrarli in un unicum coerente che è l’opera finale. È la superficie che evidenzia il superamento dell’oggetto quadro e che supporta la storia del mio colore.

Non è casuale il fatto che tu dica storia del tuo colore. La monocromia che raggiungi non è affatto il risultato di un stesura uniforme di un colore unico…
Infatti sulla superficie pittorica si riporta una lenta stratificazione, risultato di un lavorio minuzioso sull’accumulo di colori in diversi livelli. In questo possiamo leggere l’evidenza evolutiva del tempo, che trascorre e muta le cose, proprio guardando a fondo la superficie del lavoro. Affiorano – o spariscono – combinazioni particolari che determinano il risultato finale di una tonalità e la registrano, bloccandone anche la storia che l’ha preceduta e aprendo la fattibilità di quella futura rispetto alla casualità del luogo della sua verifica. La scoperta finale del colore avviene quindi per sedimentazioni successive che, pur affini a certi modi della pittura convenzionale, re-interpretano le modalità accademiche e tradizionali del dipingere.

Dove troviamo la traccia più evidente di questa storia?
Nel bordo. Mi piace pensare alla mia opera non solo come ad un luogo piatto e circoscritto alle due dimensioni, mi curo sempre che la consistenza reale e tridimensionale si mantenga e sia denunciata. In questo senso anche il profilo, più o meno basso, del bordo delle mie opere diviene elemto cardine. Co-protagonista della determinazione dell’opera. È il bordo che conserva le tracce e le imprecisioni degli istanti che hanno definito la formazione dell’opera conclusiva. Il bordo indica spesso il percorso compiuto.

Il colore diventa in te anche una soluzione alchemica. Osservandolo si rimane suggestionati dalla sua consistenza materica e tattile…
Ho detto che la superficie è il luogo dell’accadere della pittura e il mezzo per l’indagine della sua esperienza. Il colore determina, nella sua consistenza, proprio questa agitazione epidermica e il caratteristico movimento tellurico e vibratile sulla sua superficie. Il colore non è convenzionale perché lo animo e lo lavoro in modo particolare: mescolo alle tinte anche polveri di differente granulosità e materiali. All’acrilico aggiungo quindi quarzi e vetri il polvere che, oltre a mutare la consistenza materica, permettono alle opere di dialogare in misura più sensibile con i diversi spostamenti e le minime variazioni dell’intensità luminosa.

Cosa chiedi alla tua arte?
Quello che più m’interessa è che abbia la capacita di mantenere viva la propria evoluzione nel tempo. Questo per me è un dato fondamentale. Io vedo l’arte come ad un percorso in cui ciascun artista debba individuare e rendere palese la sua crescita e la sua maturazione. L’arte è alla perenne ricerca di un cambiamento e nessun lavoro dovrà mai essere uguale ad un altro. L’importante è che, in questa crescita e mutazione evolutiva, non si perda il senso della coerenza del proprio fare.

Giuliano Dal Molin. L’esperienza della pittura
a cura di Angela Madesani

13 ottobre – novembre 2012

Artesilva
via San Rocco 64/66, Seregno (MB)

Info:+39 0362231648 – info@artesilva.com

www.artesilva.com

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