Bambino di guerra | SIKÉ (Euno Edizioni)
Antonio Ferrara lo ribadisce spesso, scrivere per ragazzi è una cosa seria. Egli non si nasconde dietro false intenzioni: la sua arte è rivolta prima di tutto ai giovani lettori, per rispondere all’urgenza di fornire loro parole, per dare voce alle loro emozioni ed aiutarli a crescere.
Sostenuto da numerose case editrici, sia dai grandi gruppi editoriali che da quelli indipendenti, Ferrara, scrittore ed illustratore prolifico, ha iniziato a scrivere tardi, a 43 anni, in seguito ad un’esperienza professionale molto forte: dopo sette anni trascorsi come educatore in una comunità alloggio per minori, egli scopre la necessità di dare voce a giovani difficili e disagiati, a presunti ragazzi “cattivi”. Ero cattivo è il suo primo grande successo – grazie al quale ha vinto il premio Andersen nel 2012 per il miglior libro oltre i 15 anni – ispirato all’esperienza trascorsa nella comunità. Nelle sue storie Ferrara parla di adolescenti che hanno vissuto vicende difficili, ingrate, talvolta distanti dai nostri giovani sia nel tempo che nello spazio: i suoi protagonisti attraversano un ostacolo, corrono un rischio per imparare a risalire, per riorganizzare la speranza – citazione del titolo di un suo libro dello scorso anno, scritto insieme a Filippo Mittino, psicoterapeuta dell’età evolutiva che collabora da anni con l’autore. Il lieto fine non è sempre assicurato, ma il tentativo di superamento del problema e le sensazioni provate dai protagonisti hanno un’azione terapeutica sui giovani, gli adoleggenti lui li chiama: le parole dei racconti aiutano i ragazzi a verbalizzare le emozioni ed a comprendere meglio il cambiamento verso il quale stanno andando.
Antonio Ferrara è noto per i suoi testi, ma nasce come illustratore: crea immagini per i suoi libri, ma anche per le parole di altri autori. La sua tecnica? Difficile da definire, da imbrigliare in una categoria: ama sperimentare e giustapporre tecniche diverse.
Ferrara è molto prolifico, dicevamo. Questa primavera è nelle librerie con alcune nuove pubblicazioni, delle quali ha scritto i testi: Sulla soglia del bosco, edito da Einaudi Ragazzi, Milla ed Intelligenze – quest’ultimo illustrato da Arianna Papini – entrambi editi da Carthusia Edizioni.
Il libro del quale vogliamo occuparci è un’altra novità editoriale, Bambino di guerra, un tema difficile che vede Ferrara impegnato sia come autore che illustratore. L’opera è pubblicata da Siké Edizioni, marchio editoriale di Euno Edizioni, piccola casa editrice nata nel 2011 in provincia di Enna. Con il marchio Siké, creato nel 2018, sono pubblicati libri realizzati con carte provenienti dalla lavorazione agroindustriale di agrumi, mais, olive, caffè e kiwi. Bambino di guerra è stampato su carta di agrumi, mentre la copertina è su carta di mais. Un intento ecologista attento al territorio ed alle contaminazioni culturali di cui la Sicilia si è da sempre contraddistinta.
Bambino di guerra è la storia di un bambino-soldato coinvolto nei massacri in una delle innumerevoli guerre africane, ispirata dalle testimonianze dei ragazzi sopravvissuti e raccolte sul campo dai volontari. Il libro si pregia di una severa e lucida prefazione di Alex Zanotelli, sacerdote e missionario comboniano che per anni ha vissuto l’inferno delle guerre e della povertà africane: Padre Zanotelli affronta il gravoso tema dell’utilizzo delle armi leggere, drammatico vanto dell’industria italiana, seconda solo al primato statunitense, ed esportate in tutti i teatri di guerra del mondo, anche in quelli volutamente dimenticati dalla distrazione del benessere. «L’Africa – afferma Zanotelli – è il continente più povero, ma anche il più afflitto da guerre: nel 2018 c’erano ben 60 Stati coinvolti nei conflitti africani. E questo non avviene a caso. L’Africa, infatti, è anche il continente più ricco di risorse naturali. Verrebbe da dire, allora, maledetta la ricchezza. Maledetti l’oro, i diamanti, il petrolio che sono il vero problema di questo continente, la vera motivazione dei tanti conflitti in corso». Il rapimento e l’addestramento forzato di migliaia di bambini servono a destabilizzare le comunità, le quali si vedono private di coloro che amano di più e del loro futuro. Ciò che colpisce è lo spirito di sopravvivenza dei ragazzi, piegati all’ubbidienza e disposti a qualsiasi terribile efferatezza, anche verso i loro stessi compagni. Antonio Ferrara offre parole ed immagini alla loro sofferenza, costruendo un percorso che dall’inferno della barbarie conduce il giovane soldato verso la salvezza.
I capitoli sono brevi, più di quanto l’autore ci abbia fino ad ora abituati, ma le parole sono schiette colpendo nel la nostra sensibilità come un pugno. Osserviamo le immagini ed auspichiamo di aver mal compreso ciò che esse stanno per raccontarci: il testo dialoga con esse, svelando i particolari di una quotidianità bellica lontana da noi. Ferrara ama disegnare volti, con grandi occhi e grandi bocche che assaggiano la morte e trasudano orrore per le ingiustizie subite. Se sceglie di non disegnare il volto, troviamo altri riferimenti della presenza dell’uomo, per esempio una gamba o alcune sagome in lontananza che testimoniano i movimenti dei soldati. Il protagonista corre un rischio terrificante, disumano, mortale: il giovane soldato sente la morte e vede i suoi coetanei portati via dalla tirannia di altri uomini. Questa storia è solo una goccia nel mare sconfinato dello sfruttamento dell’infanzia, così Ferrara e Zanotelli fanno un appello alle scuole: si augurano che siano proprio i giovani studenti a mettersi in ascolto di questo problema, per comprendere la verità e, nel futuro, inventare iniziative per il cambiamento.
Sono moltissime le domande che vorremmo rivolgerti. Conosciamo bene la tua esperienza di educatore presso una comunità alloggio: da qui parte il tuo percorso di autore. Meno noto è il tuo pregresso. Di cosa ti occupavi prima di diventare scrittore? Chi era Antonio Ferrara? E quanto il tuo “prima” ha influenzato la tua attività di autore di figure e parole?
Prima sono stato pittore, grafico pubblicitario, portalettere, scaricatore di posta notturna dai treni, spalatore di neve e infine educatore di comunità alloggio, appunto. Soprattutto dai lavori di pittore e di grafico è scaturito il mio interesse per l’illustrazione.
Nelle tue scorribande letterarie in giro per l’Italia sei sempre affiancato da tua moglie, Marianna Cappelli, fotografa ed attrice, esperta di lettura ad alta voce. Insieme incontrate i ragazzi delle scuole primarie e secondarie, tenete laboratori di lettura ad alta voce e scrittura creativa. Cosa significa per te lavorare con Marianna? In che modo la sua professionalità e la sua passione ti accompagnano nel tuo lavoro?
In mille modi diversi. È la prima lettrice (severissima) di tutti i miei testi. Ne legge poi ad alta voce diversi brani ai ragazzi, con effetti emozionanti anche per me. Insieme a me conduce i laboratori di letto/scrittura che teniamo in giro per l’Italia (dal titolo Se saprei scrivere bene), durante i quali fornisce efficaci suggerimenti tecnici – sia agli adulti che ai ragazzi – per leggere ad alta voce in maniera espressiva e suggestiva. Tiene insieme a me il laboratorio di scrittura e fotografia Ritrarsi, il cui titolo contiene due diversi significati: farsi in coppia un ritratto fotografico a vicenda ed arretrare per meglio osservare il proprio compagno/a, e via dicendo.
Le parole hanno un ruolo ben preciso nei tuoi libri. In diverse occasioni hai dichiarato che nei libri per ragazzi il linguaggio deve essere lieve, avvicinandosi il più possibile alla lingua parlata dai giovani. Non dobbiamo tralasciare che tu sei anche un illustratore e che la pratica grafica ha anzi anticipato quella della scrittura. Qual è la funzione delle figure nei tuoi libri? Come scaturiscono le immagini in relazione al testo? In che modo esse contribuiscono alla sollecitazione dell’esperienza estetica dei giovani lettori?
Anche quando non sono accompagnati da immagini i miei testi rimangono sempre decisamente “visivi”, poiché per anni sono stato soltanto illustratore, per diventare solo successivamente autore/illustratore. Chi scrive sempre “vede” le immagini che evoca col testo (evocare è un verbo bellissimo, la cui etimologia vuol dire appunto “tirare fuori dal buio”). Se poi ti capita pure la fortuna di illustrare il testo che hai prodotto allora la faccenda è una vera magia, perché in fondo si tratta di mostrare a tutti le figure che da scrittore avevi in qualche modo già visto. Per i ragazzi è un richiamo in più, anche perché testo e immagini sono due testi autonomi e paralleli, che si intrecciano, che un po’ si tradiscono e un po’ restano fedeli l’uno all’altro.
I libri che hai illustrato mostrano complessivamente una mutevolezza nelle tecniche scelte, pur serbando uno stile riconoscibile, in particolare nella rappresentazione grafica dei volti umani: i grandi occhi e le bocche, sia frontalmente che di profilo, arrivano al lettore e lo agguantano per tutta la lettura della pagina. Raccontaci delle tecniche che utilizzi nelle tue tavole illustrate e di come avviene la scelta a seconda del racconto.
Spesso adotto la tecnica mista, ossia assemblo in una stessa tavola matita, penna biro, pennarello, acquarello, matite colorate, collage. Altre volte, quando le storie sono più cupe, lavoro con l’acrilico: una mano di nero di base che, col pennello intinto nel bianco, coprendo parte del fondo, trasformo in una sorta di silhouette che diventa alla fine il mio personaggio. Niente matita, dunque, niente progetto. Le figure scaturiscono direttamente dalla “cancellazione” pittorica e parziale del fondo. Il disegno ne risulta comunque fortemente strutturato, ma non è una fase progettuale; è piuttosto un punto d’arrivo.
Torniamo a Bambino di guerra: le tavole sono molto schiette, talvolta vorremmo aver travisato ciò che le figure mostrano – la violenza inferta alle persone, le mutilazioni, la morte – ma ahimè il testo non smentisce ciò che accade ai personaggi della storia. Come sono nate le illustrazioni del tuo libro?
In queste tavole, appunto, dove i colori sono pochi e sorvegliati, è possibile vedere la tecnica della “cancellazione” del fondo di cui parlavo. Essendo tale cancellazione veloce e apparentemente approssimativa, l’effetto che se ne ricava è quasi di xilografie (stampe da incisione su legno), senza sfumature, dure, secche, proprio come il testo che le accompagna.
La scena che di volta in volta decidi di illustrare ti si presenta improvvisamente, mentre rileggi il testo, con un’urgenza che ti orienta repentinamente.
Alex Zanotelli termina la prefazione con l’auspicio di portare il problema dei bambini-soldato e di tutti gli sfruttamenti dell’infanzia nelle scuole italiane: i ragazzi non devono essere più ciechi, ma guidati a comprendere questo enorme problema. Bambino di guerra può contribuire in concreto alla diffusione della conoscenza sulle guerre combattute in Africa: secondo te, la sua lettura cosa può suscitare nel giovani lettori? In che modo li può rendere consapevoli?
Colpendoli alla pancia (o al cuore, se si preferisce) per poi portarli al cervello. La letteratura per ragazzi è per me anche denuncia e lavoro per ottenere giustizia sociale.
Titolo: Bambino di guerra
Autore: Antonio Ferrara
Prefazione: Alex Zanotelli
Data pubblicazione: 18 aprile 2019
Editore: Siké (Euno Edizioni)
Collana: La biblioteca di Nellina
Prezzo: 15 €
ISBN: 978-88-3334-035-7
www.sikeedizioni.it
www.eunoedizioni.it
Antonio Ferrara è nato a Portici, in provincia di Napoli, dove ha vissuto fino all’età di vent’anni. Da allora vive a Novara, dove ha lavorato come educatore in una comunità alloggio. È scrittore, illustratore e formatore. È convinto che scrittura, lettura e illustrazione costituiscano un dirompente e proficuo mezzo per fare educazione sentimentale, prevenzione del disagio. Ha pubblicato con diversi editori. Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue. Ha ricevuto diversi premi, tra i quali nel 2012 il premio Andersen come autore e nel 2015 lo stesso premio come illustratore. Nel 2017 è tra i vincitori del premio Cento. Nel 2018 vince il Bancarellino.