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BOLOGNA | LABS CONTEMPORARY ART | FINO AL 26 GIUGNO 2021

Intervista a GIUSEPPE DE MATTIA di Maria Chiara Wang

Narrazioni brevi – prima personale di Giuseppe De Mattia nel capoluogo emiliano, ospitata alla Labs Contemporary Art – è una mostra che può essere letta su più piani. Da un lato vi è il racconto della relazione dell’artista con la città di Bologna, dall’altro lo sguardo si allarga al rapporto tra memoria e contemporaneità attraverso l’uso di media differenti come fotografia, video e disegno, in ultimo gli otto testi brevi, uno per opera in esposizione, a firma di altrettanti curatori, offrono l’occasione per indagare gli elementi della ricerca dell’artista pugliese e per approfondire temi più ampi legati al sistema dell’arte. Si giunge così a discutere di argomenti quali: il mercato dell’arte, la funzione della pittura, il ruolo e l’uso sia dell’immagine che della scrittura, l’autorialità.

Giuseppe De Mattia, Ingegno e indipendenza, 2018, still da video HD 7’, realizzato per la mostra “That’s IT! al MAMbo, a cura di Lorenzo Balbi

Ingegno e indipendenza è un video in cui vengono riprese sette tue performance che rappresentano altrettante tappe di quello che Vasco Forconi ha definito un pellegrinaggio che dalla Stazione Centrale di Bologna, attraverso via Indipendenza, ti conduce al centro della città, sette messe in scena che delineano la figura dell’artista-mercante imbonitore: ma è a questo che si è ridotto il mercato dell’arte oggi, a una truffa?  
Non è una questione di ‘oggi’. Dal momento in cui si sente parlare di ‘investimento’ nel nostro ambiente è la fine. Anche perché spesso non è un investimento sull’artista, ma sulla galleria, sul negozio che propone questo o quello. L’investimento è sul confezionamento e sulla presentazione, sul display. Non è un caso che le opere più belle si vedano fuori dalle gallerie e, soprattutto, fuori dalle fiere. Ovviamente è il mio modestissimo parere e tale vuole restare. Ingegno e indipendenza è il primo lavoro che ho fatto sul rapporto tra mercato e sussistenza del mestiere dell’artista, inscenando ‘supercazzole’ e ironizzando su questo. Non so come dire, ma ‘truffa’ per me non ha assolutamente un’accezione negativa. Fa parte del rapporto d’azzardo che c’è stato, c’è e ci sarà sempre tra chi vende e chi compra.

Giuseppe De Mattia, Decorazioni per cavalli da guerra, 2021. Ph Carlo Favero


Nel testo per Decorazioni per cavalli da guerra, Maura Pozzati scrive: «il rapporto tra il cavallo e il cavaliere è simile a quello che esiste tra l’artista e la pittura: bisogna essere preparati e mentalmente forti per domarla perché la pittura è una bestia». Qual è il tuo rapporto con la pittura e, più in generale, quale posto e ruolo ricopre la pittura nel panorama artistico attuale?
Il mio rapporto è che il cavallo della pittura, a cui fa riferimento Maura, mi ha sempre disarcionato e, munito del dono della parola, mi appare in sogno e mi dice a voce chiara: non sei e non sarai mai un pittore! Ho conosciuto bene alcuni pittori e io non lo sono. Me ne sono fatto una ragione.
Ho una bella collezione di pennelli, ne compro continuamente e a volte il mio lavoro ha bisogno di un supporto simile alla pittura: vernice su tela. Infatti utilizzo solo l’acrilico e tinte piatte, perché sono più semplici da dosare. La pittura che io uso ha altra funzione ed esigenza rispetto a quella di un pittore, sono riempimenti di forme o segni semplici che ricopiano un modello esistente dal vero o in fotografia. A volte è un disegno a vernice di grande formato, a volte uno strumento per cancellare o arricchire una fotografia. Può essere su carta, su tela o su PVC, ma non è pittura.
Non saprei dirti che ruolo occupi, penso che sarà importante e resistente ad ogni forma di avanguardia tecnica. Per quanto mi riguarda, continuerò a guardarla sempre con grande ammirazione.

Giuseppe De Mattia, Tre forme semplici, autonome e rotanti, 2021 dettaglio. Ph Carlo Favero


Lorenzo Balbi, relativamente a Tre forme semplici, autonome e rotanti, dirige l’attenzione alla processualità del tuo lavoro legata all’indagine sull’immagine e alla sua trasfigurazione. Puoi approfondire questo aspetto della tua ricerca?
Lorenzo mi conosce bene e sa che con semplicità cerco sempre di complicarmi la vita, di guardare un oggetto sotto tutti i punti di vista possibili. In questa serie, quella delle Forme Semplici intendo, parto da un’immagine esistente che fa parte del rimosso per sua natura. È un fotogramma che sarebbe sfuggito all’attenzione dello sguardo, poiché uno di sedici per ogni secondo di filmino a cui appartiene. Nonostante ciò, io mi focalizzo sulle prime tre forme semplici che ne derivano e le trasformo nell’opera più grande e ambientale dell’intera mostra. Diventa un’installazione in cui puoi inciampare o in cui devi sbatterci il naso. L’immagine in generale, nel mio lavoro, è quasi sempre un grilletto che fa scaturire altro. Questo mi interessa dagli esordi, anche da quando facevo ‘solo’ fotografie. Diciamo che è come se la fotografia non mi bastasse mai da sola, ma che avesse bisogno di suono, di interventi di altri artisti, di segni grafici e di esplosioni come in questa serie.

Giuseppe De Mattia, Fatterelli, Qualche centimetro quadrato di Casa Arcangeli, 2021, ph Carlo Favero

Orsola Vannocci Bonsi definisce Fatterelli. Qualche centimetro quadrato di Casa Arcangeli come “resumè della tua pratica artistica”, “un pastiche visuale e linguistico”. Che valore assume la scrittura all’interno delle tue opere? Quanto è importante la stimolazione del pensiero attraverso la lettura degli appunti scritti sul passepartout oltre all’aspetto della sollecitazione visiva?
Questa serie è la più giovane in ordine di creazione, è nata in un anno complicato in cui mi sono riappacificato con due cose: le mie origini centro salentine e la fotografia analogica. Le due cose sembrano non collegate e invece in questo caso sono state una precisa formula chimica. Avevo voglia di rendere unica la fotografia e quindi l’analogico mi ha aiutato, poiché dopo la stampa distruggo il negativo, e nello stesso tempo avevo voglia di sovvertire la prima regola espositiva della fotografia, cioè l’utilizzo di un cartoncino bianco che ‘da respiro e evidenza’ ad un’immagine e così sono nati i fatterelli. La scrittura per me è sempre stata fondamentale. Ho passato molto più tempo in un negozio di penne di Bologna che nelle aule dell’università o in qualsiasi altro luogo della città. Il negozio si chiamava La casa della penna e io restavo lì per quasi tutto l’orario di apertura. Ho imparato come si vendono, riparano e comprano gli strumenti di scrittura. Ho visto provare, con gesti goffi o sapienti, migliaia di penne o matite da altrettante persone.
In questa serie, poi, ho unito anche la mia grande passione per gli appunti cartacei, per i canovacci teatrali, per i copioni del cinema, per le sottolineature e l’aggiunta di note e le ho portate a dimensione di quadro, coniugandole all’altra passione che è legata all’ascolto di aneddoti popolari. Anche in questo caso l’immagine è l’innesco e la parola è una conseguenza, ma anche viceversa.

Giuseppe De Mattia, Gran copiatore, 2021, Ricoh Aficio MP 2000, Carta Crush Mais A4 120gr, timbro e inchiostro rosso

Con Gran Copiatore, e con la lettura che ne propone Gabriele Tosi, il focus si sposta sui concetti di autorialità, di unicità e originalità dell’opera, versus quello di serialità. In riferimento a questo, è facile anche notare che la firma è “espulsa” dalle tue opere.  Qual è il tuo rapporto con questi aspetti del “lavoro dell’artista”?
Professionalmente provengo da due mondi: il cinema e l’archivio. In tutti e due l’autore non esiste senza una collettività a sostegno. La troupe, la produzione, la distribuzione nel cinema e gli archivisti, i restauratori e gli informatici negli archivi. Quando ho cominciato a fare questo mestiere ho unito le due esperienze precedenti e ho iniziato, quindi, a considerare meno la figura di un unico autore per opera. Ma in realtà non esiste mai un unico autore per un’opera: è il contesto che fa l’autore a mio avviso! Cambiarlo per modulare le influenze sul proprio lavoro è l’unico e vero strumento della mia ricerca. Gli artisti purtroppo sono spesso egoriferiti e allora Gran Copiatore è un po’ una linguaccia a questo atteggiamento: produce e si autentica senza che io sia presente e soprattutto dice sempre la stessa cosa. Citando Vaccari, è l’inconscio tecnologico che qui rende le fotocopie leggermente diverse una dall’altra: il toner della macchina è imperfetto nella distribuzione del nero e la posizione del timbro non è sempre la stessa.

Giuseppe De Mattia, Guardando negli occhi un fiero leone, 2021, dettaglio. Ph Carlo Favero

In Disegni segreti. Guardando negli occhi un fiero leone emerge un altro aspetto importante messo in luce anche dalle parole di Claudio Musso, ovvero il rapporto di fiducia che si instaura tra l’artista e il suo pubblico e, ancor più, con il suo collezionista. In un’epoca dove tutto è esposto alla visione diretta senza filtri, l’occultamento si rivela un’operazione concettuale per restituire valore sia all’atto del guardare che all’immagine, dico bene?
Dici bene. L’atto del guardare è un atto di fede e come tale viene monumentalizzato e reso scultura in questo lavoro. Qui c’è un riferimento diretto ai porta-preghiere degli induisti, dei tubini in metalli di vario genere che custodiscono fino alla morte delle preghiere dedicate a chi le indossa; portare queste preghiere al collo è un atto di fede estrema. Noi ci dobbiamo fidare di tutti: del pilota dell’aereo che ci porta a destinazione e del chirurgo che ci opera, perché non fidarci dell’artista che mi dice di aver visto qualcosa?

Giuseppe De Mattia, Cancellature rosse mangia-carta, 2021, stampa xerox su carta cotone e arilico, dittico, cm 30×40 ciascuno

La didascalia potenziata di Forme tradizionali di protesta a firma di Fabiola Naldi propone il tema della definizione dello spazio d’azione e di responsabilità dell’artista e del sistema che lo rappresenta, qual è la tua posizione rispetto a tali argomenti?
Fabiola mi ha spinto molto per tirar fuori questa serie di lavori che prenderà tutt’altra forma tra qualche tempo. Sarà una performance la cui documentazione, unitamente ai cartelli rossi, ne saranno gli strumenti, così come sono le opere degli artisti gli strumenti per dire certe cose; sono le nostre opere ad avere un forte peso comunicativo e a dover arrivare immediatamente. Questa serie ha come spazio di azione una protesta diretta nei confronti del mercato e delle regole di competizione tra artisti. Sarà sviluppata contro le classifiche di cui siamo stufi, sia quando ne siamo dentro che quando ne siamo fuori. Tale proposta sono certo non parli per tutti, ma sicuramente parla per alcuni con cui condivido tali ideali.
Infine, con Cancellature rosse, mangia-carta, Enrico Camprini riporta l’attenzione sul rapporto tra immagine fotografica e segno pittorico e sull’espediente della cancellatura come esercizio per lo sguardo: descriveresti più in dettaglio questi aspetti della tua ricerca?
Qualcuno ha visto della censura in questo mio “cancellare” che spesso contraddistingue un segno a pennello su immagini fotografiche. In realtà per me sono delle aperture e dello guide allo sguardo, delle strutture di visione più specifica, di campo ristretto. Sono qualcosa che non limita lo sguardo, ma ne limita il campo per dare molto più spazio a quel poco che vi sto facendo intravedere così dovrete investire tutto il vostro tempo su dettagli piccoli. È come se fossero degli squarci fatti a delle tende pesanti per vedere qualcosa che diventerà molto più importante, perché conquistato con la fatica dell’occhio e della sua relazione con il cervello.

Giuseppe De Mattia, Narrazioni brevi, installation view, ph Carlo Favero

GIUSEPPE DE MATTIA. Narrazioni Brevi

Note critiche di: Lorenzo Balbi, Orsola Vannocci Bonsi, Enrico Camprini, Vasco Forconi, Fabiola Naldi, Claudio Musso, Maura Pozzati, Gabriele Tosi.

8 maggio – 26 giugno 2021

Labs Contemporary Art
Via Santo Stefano 38, Bologna

Info+39 051 3512448, M +39 348 9325473
info@labsgallery.it
www.labsgallery.it

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